Originariamente Scritto da
-BORG-
La fine è vicina... o no? - 04/03/09
di Claudio Todeschini
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Tutto molto bello, almeno a grandi linee: i videogiochi che diventano mainstream, la cultura del videoludo si diffonde, ecc. ecc. Ma c'è anche una ragione più pratica (leggasi economica) dietro a quella che ormai è diventata una delle regole ferree di questo settore, e che spiega perché questo approccio è ormai il più diffuso: sviluppatori già "sul pezzo", gameplay rodato, asset pronti, titolo conosciuto e quindi più spendibile sul mercato, ecc.
Salvo che, come ci fa notare
ars technica, dal punto di vista della narrazione, per quelli che il gioco lo comprano e lo finiscono, c'è sempre la fregatura di non vedere mai arrivare a conclusione una trama. Perché il finale dev'essere per forza aperto, deve lasciare qualche questione in sospeso per il seguito, spalancare nuovi possibili scenari e sottotrame da portare avanti nei titoli successivi o derivati. Senza arrivare al famigerato colpo di pistola nell'oscurità sparato nell'ultimo secondo dell'ultima puntata di una serie televisiva, da questo punto di vista i videogame cominciano seriamente ad assomigliare a un serial, con i
cliffhanger che chiudono un episodio, lasciandoci nell'attesa di scoprire cosa succederà in quelli successivi. Quando va bene. Quando va male, la conclusione è raffazzonata e priva di mordente.
Riprendendo la domanda con cui si chiude l'articolo citato qualche riga sopra, quando è stata l'ultima volta che avete finito un gioco e vi siete trovati completamente soddisfatti dall'esperienza appena vissuta? In cui avete visto chiudersi una storia che, per quanto bella, per quanto coinvolgente, sapevate essere arrivata a conclusione? Per sperare di avere un finale decente occorre per forza seguire l'esempio di Tabula Rasa, che ha chiuso i battenti con un'epica avventura conclusiva prima di staccare la spina ai server? Un gioco deve fallire perché la sua storia possa giungere a conclusione?