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Risultati da 26 a 50 di 289
  1. #26
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Chiwaz ha scritto ven, 18 aprile 2003 00:14
    Io comincerei col dire che per tantissimi anni una componente fondamentae del linguaggio dei VG è stato il punteggio, poiché tramite esso il VG ti comunicava la tua bravura di videogiocatore: più punti fai, più sei bravo e più sei progredito nel gioco.
    C'era l' High Score da battere come obiettivo, anche perché i VG di 10-15 anni fa non si potevano "finire", poiché gli stage, una volta terminati, ripartivano daccapo esattamente uguali, magari coi nemici più veloci.

    Ora questo è un linguaggio caduto in disuso: i giochi con un punteggio sono rarissimi, e al contrario gli stage non si susseguono più in un loop, ma hanno un inizio e una fine ben definiti.

    Che idte, secondo voi si può parlare di due "età" distinte, ponendo il punto di svolta al passaggio dai giochi con le vite ai giochi con i salvataggi? Cambiamento legato anche al passaggio di piattaforma, naturalmente, qualcosa come arcade--->PC

    Scusate se sto facendo un minestrone, ma per ora mi interessa buttare lì più spunti possibile e risistemarli in seguito.
    Sì, occorrerebbe differenziare i gameplay.

  2. #27
    Il Puppies L'avatar di Lestat de Lioncourt
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Credo sia importante anche l'interfaccia, in che modo (materialmente) il giocatore interagisce col videogioco.

  3. #28
    Chiwaz
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Per ora volevo stare ancora più a monte.

  4. #29
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    interessantissimi molti interventi. diciamo che, a questo punto, possiamo creare una prima linea guida per il discorso:

    il punteggio (abilità, gratifica, comprensione)

    interfaccia (comunicazione giocatore / gioco)

    spirito (inteso come "immaginario" da cui nasce un videogioco. ma, anche, target a cui il videogioco è rivolto)

    da quanto postato da emack possiamo prendere:

    rapporto interfaccia / ambiente / personaggi che, possiamo ampliare in interfaccia / ambiente / personaggi / aspettative del giocatore.

    come modelli sceglierei:

    Half Life: per la sua natura polivalente
    Thief: per la sua natura "multinarrativa"
    Final Fantasy VII: per la sua natura espressiva

    che ne dite? ovviamente alcuni concetti li devo ancora spiegare o introdurre (sono tornato adesso a casa dopo una lunga giornata, abbiate pietà) cosa che farò già da domani.

    intanto inviterei a leggere il testo postato da emack per chi fosse interessato all'avventura che stiamo intraprendendo.

  5. #30
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Half Life:
    Punteggio: Direi che la gratifica dipenda dall'aver salva la pellaccia e dalla comprensione del mistero.

    Interfaccia: L'interazione protagonista - ambiente è affidata quasi totalmente all'uso di armi e azionamento di leve (corrispettivo digitale), mediante mouse e/o tastiera (corrispettivo analogico).

    Spirito: Immaginario fantascientifico. 15+

    Ambiente: Fondamentalmente di due tipi: a) base scientifica; b) pianeta alieno. Il primo diventa ostile dopo un pò, mentre il secondo è sin da subito avverso. Il primo è caratterizzato dalla presenza di scienziati, guardie e militari (con un crescente numero di alieni), invece il secondo è popolato esclusivamente da alieni (di cui, però, non sembra evidente una genealogia).

    Personaggi: Il protagonista è uno scienziato. Ciò teoricamente sposterebbe il "gameplay" su qualcosa di molto "cerebrale", mentre non è così. Il modello di gameplay proposto è dunque quello di "sparare più duro e più a lungo possibile", con notevoli varianti tattiche (il confronto coi marines).
    Vi sono guardie impaurite, colleghi scienziati collaborativi e non.

    Aspettative del giocatore: Idem come "punteggio".


    Thief
    Punteggio: Portare a termine la missione con la migliore tattica possibile.

    Interfaccia: Il mouse è lo strumento per eccellenza per interagire analogicamente con l'ambiente. Tramite il suo utilizzo, si rende digitalmente l'uso di chiavi, di armi, di strumenti.

    Spirito: Immaginario fantasy. Per l'elaborazione di tattiche di gioco complesse, 18+.

    Ambiente: Cittadella basso-medievale (se non ricordo male) inglese. Popolata per lo più da nemici (nella fattispecie: guardie).

    Personaggi: Il protagonista è un ladro dal passato misterioso. Carattere dimesso e pratico. In tal caso, riflette totalmente il gameplay: per riuscire a vincere, occorre una mistura tra attitudine stealth e decisività.

    Aspettative del giocatore: Portare a termine la missione.

    NOTARE la differenza tra "aspettative" e "punteggio", nel caso di thief.


    Non ho mai giocato a FFVII.

    Mi pare, però, che stiamo facendo un discorso troppo a valle: ciò che muove l'intero mondo dei videogiochi è il gameplay, non semplicemente definibile come mistura tra interfaccia e ambiente. Dunque, va considerato e definito prima di affrontare qualsiasi altro aspetto.

    Il gameplay è ciò che realmente muove i designer. Quando scrivono, a me di non volersi disinteressare totalmente del gioco (come è invece capitato al designer - miyamoto, mi pare, non ne sono sicurissimo - di MGS2: questi ha trascurato quasi totalmente la definizione della struttura di gioco, dedicandosi per lo più alla caratterizzazione del suo personaggio. Ecco perché questo va considerato come il primo passo all'avvicinamento al cinema: una volta stabilito un gameplay vincente, ci si può dedicare ad altro. E' un pò il discorso di Warren Spector al GDC 2003, che salva, in un certo qual modo, i sequel e i tie-in).
    Dunque, quando nelle sessioni di brainstorming confrontano le idee, esse sono totalmente inerenti al gameplay (qual è lo scopo? come raggiungerlo? perché raggiungerlo?). Finora abbiamo definito esaurientemente "lo scopo", una parte del "perché", ma abbiamo tralasciato la chiavarda: il "come". E il come non è solamente interfaccia.

    Dal postmortem di Thief (http://www.gamasutra.com/features/199907 09/thief_01.htm):
    "The Concept

    The Thief team wanted to create a first-person game that provided a totally different gaming experience, yet appealed to the existing first-person action market. Thief was to present a lightly-scripted game world with levels of player interaction and improvisation exceeding our previous titles. The team hoped to entice the player into a deep engagement with the world by creating intelligible ways for the world to be impacted by the player.

    The central game mechanic of Thief challenged the traditional form of the first-person 3D market. First-person shooters are fast-paced adrenaline rushes where the player possesses unusual speed and stamina, and an irresistible desire for conflict. The expert Thief player moves slowly, avoids conflict, is penalized for killing people, and is entirely mortal. It is a game style that many observers were concerned might not appeal to players, and even those intimately involved with the game had doubts at times."


    Secondo me, dovremmo inserire nel confronto anche B&W.


  6. #31
    NEO-GEO
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Si con B&W si potrebbe provare ad introdurre l'argomento "libertà d'azione" (perdoanete se non sono tecnico). Tendenza che si è sviluppata sopratutto negli ultimi anni. Dare al giocatore la libertà di decidere la strada che più gli aggrada per giungere alla conclusione della sua missione o compito. Non metterlo davanti ad una struttura lineare da seguire come "binari", ma un po' più complessa, dove le strade sono molteplici.

  7. #32
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    allora, pensavo, più che altro, di esaminare i singoli aspetti individualmente cercando di trascendere. cominciamo proprio dal punteggio che sembra il banale metro di misura delle abilità del giocatore e che, invece, potrebbe essere molto di più. la prima domanda da porsi è: perché il punteggio è sparito dalla maggior parte dei videogiochi; ovvero, perché si è trasformato in altro?
    non credo che sia solo un problema di evoluzione. il punteggio, nella maggior parte dei giochi, è rimasto. magari si è frammentato in stats varie che determinano come si è affrontato il livello (prendiamo thief che ha, in questo senso, un quadro riepilogativo piuttosto corposo) o si è nascosto in modo subdolo in voci molto particolari come "tempo di gioco trascorso". negli rpg, poi, è lo scheletro stesso dei personaggi ad essere punteggio; le armi che utilizzano, i vestiti che indossano. inteso in questo senso ben più ampio il punteggio permane e permarrà sempre all'interno dei videogiochi (ricordiamo che, per un certo periodo, veniva usato anche nelle avventure grafiche) perché non solo da un indice preciso di come si è giocato: permette, altresì, un confronto fra i giocatori che entrano in contatto fra di loro. partendo dalla dimensione microscopica della cosa prendiamo i "vecchi tempi": un bar, degli amici si riuniscono intorno ad un coin op. il primo traguardo che ci si pone è superare il punteggio massimo preimpostato (che di solito non era mai troppo alto, come si può verificare facilmente facendo partire il MAME)... fatto ciò, se il gioco continua e tutti i partecipanti si lasciano prendere, inizia una specie di sfida in cui i livelli superati e il punteggio raggiunto determinano non solo l'abilità del giocatore ma anche la sua "posizione sociale rispetto al gioco". ovvero, ricordo con disinvoltura quando andavo in un bar in cui c'era sempre un arcade da provare. l'ordine di chi giocava era determinato dalla bravura dimostrata nel gioco. i meno abili lasciavano spazio ai più abili e li guardavano giocare con ammirazione. se avete vissuto un'esperienza simile ricorderete senz'altro il nugolo di ragazzini che si mettevano intorno al giocatore "forte" per vedere come giocava. magari per copiargli le tattiche. il rapporto che nasceva non era solo di tipo ludico: gioco per divertirmi. come in tutti i "giochi" (intesi in senso antropologico) nascevano una serie di dinamiche sociali che confluivano in una gerarchizzazione non scritta determinata dall'abilità dimostrata. la cosa è verificabile anche attualmente, soprattutto esaminando il gioco online dove sono stati coniati dei termini specifici per determinare l'abilità del giocatore. la skill (così si usava e, penso, si usa in Unreal Tournament) non determinava solo la volontà di quantificare la bravura dimostrata online. attribuiva anche, ad un giocatore, una specie di ruolo sociale più elevato che cresceva tanto più la skill era vista come elevata. ricordo distintamente, nella comunità che si era creata intorno al gioco su NGI, alcuni giocatori molto forti essere in possesso di una specie di diritto naturale che li faceva ascoltare dagli altri anche se dicevano delle stupidaggini. la loro skill e la fama che da essa derivava determinava la loro posizione all'interno di quella microsocietà (community) che li accettava come membri dominanti e li trattava da tali (in fondo, anche qui in TGMonline, perché tante paranoie per i messaggi persi? non sono anch'essi un metro numerico che determina una specie di valore aggiunto all'interno della nostra "microsocietà"?). così avviene con le armi e i livelli in diablo, così avviene in tutti i giochi esistenti: la gerarchizzazione è inevitabile e il punteggio ne è uno degli indici per quel che riguarda i videogiochi.
    ma, tornando alla domanda iniziale, perché il punteggio si è modificato negli anni? perché in un Thief sarebbe assurdo vedere assegnato per ogni nemico addormentato un certo punteggio, per ogni nemico ucciso un altro ecc.? la spiegazione è più complessa di quello che si pensi.
    un punteggio inteso nei vecchi termini sarebbe elemento straniante per il giocatore. il videogioco è diventato, con gli anni, pura illusione. l'atmosfera, il coinvolgiemento e la storia sono diventati elementi considerati imprescindibili per giochi di un certo genere e, ogni elemento che riporti il giocatore nella dimensione del reale, ovvero che gli comunichi, mentre sta giocando, che si trova davanti solo ad un videogioco, viene visto come deleterio per lo scopo che molti sviluppatori ormai si prefiggono.
    l'effetto straniante di un punteggio di tipo numerico in un gioco come Thief comporterebbe, quindi, una violazione di quell'equilibrio fra realtà e finzione che esaminavo nel primo post partendo da Coleridge. cambiando lo scopo del videogioco, con gli anni, è cambiato anche l'approccio del videogiocatore che è portato ad accettare alcune convenzioni (ad esempio una scheda personaggio in un RPG, un'inventario virtualmente infinito in un'avventura grafica ecc.) per ogni genere, ma non gradisce elementi troppo in contrasto con quello che considera accettabile. guardiamo ad esempio la strada che stanno prendendo gli FPS: l'arsenale spropositato che ci portiamo dietro in quasi tutti i titoli di questo genere inizia ad essere percepito come assurdo. eppure, il problema, all'interno di un videogioco non dovrebbe porsi: sono in un mondo virtuale che non contempla gli stessi limiti della realtà. eppure è proprio il confronto con la realtà a far percepire come assurdo il potersi portare dietro troppe armi. questo "abuso della finzione" viene visto come elemento di uscita dall'illusorietà del mondo virtuale perché cozza contro un immaginario che, con gli anni, è mutato e che porta a indicare negativamente ciò che prima gli era indifferente.

  8. #33
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    http://www.asahi-net.or.jp/~cs8k-cyu/win dows/noiz2sa_e.html

    questo lo ha segnalato il buon Gabbi in freeware. può essere utile per parlare di "stile" e, inoltre, per il suo essere sviluppato senza alcun scopo di lucro...



  9. #34
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Karat45 ha scritto sab, 19 aprile 2003 12:18

    l'effetto straniante di un punteggio di tipo numerico in un gioco come Thief comporterebbe, quindi, una violazione di quell'equilibrio fra realtà e finzione che esaminavo nel primo post partendo da Coleridge. cambiando lo scopo del videogioco, con gli anni, è cambiato anche l'approccio del videogiocatore che è portato ad accettare alcune convenzioni (ad esempio una scheda personaggio in un RPG, un'inventario virtualmente infinito in un'avventura grafica ecc.) per ogni genere, ma non gradisce elementi troppo in contrasto con quello che considera accettabile. guardiamo ad esempio la strada che stanno prendendo gli FPS: l'arsenale spropositato che ci portiamo dietro in quasi tutti i titoli di questo genere inizia ad essere percepito come assurdo. eppure, il problema, all'interno di un videogioco non dovrebbe porsi: sono in un mondo virtuale che non contempla gli stessi limiti della realtà. eppure è proprio il confronto con la realtà a far percepire come assurdo il potersi portare dietro troppe armi. questo "abuso della finzione" viene visto come elemento di uscita dall'illusorietà del mondo virtuale perché cozza contro un immaginario che, con gli anni, è mutato e che porta a indicare negativamente ciò che prima gli era indifferente.
    Mentre leggevo, in cuor mio comprendevo pian piano dove volessi arrivare.
    Vuoi arrivare a individuare questo "limite", e per far ciò ci hai chiesto prima di codificare aspetti del linguaggio videoludico.
    Per comprenderti meglio, ho appena scaricato il gioco da te proposto: ti comunicherò oggi pomeriggio le mie impressioni.

    Però, a caldo, posso aggiungere una piccolissima domanda: la plausibilità (a livello di design e di utenza, dunque al livello del produttore e del consumatore) è elemento definito "consciamente" o "inconsciamente"?

  10. #35
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    ilVlad ha scritto gio, 17 aprile 2003 13:32
    Karat45 ha scritto gio, 17 aprile 2003 11:40
    Detto in altri termini: Gordon Freeman è uno scienziato e vive in un mondo sì fantascientifico ma non fantastico. Cosa comporta questa delimitazione? L’ovvia conseguenza che se, ad esempio, il nostro eroe potesse volare in virtù di arti magiche non dichiarate nel background del gioco, noi giocatori inizieremmo a porre domande al gioco (in termini allegorici, astraete) che, se non trovassero risposta, porterebbero al ritorno dell’incredulità e ci porrebbero in modo critico verso il gioco
    inizio col riportare un’interessante intervento di Ray Bradbury, che si riallaccia al discorso di rientrare in certi canoni avendo l’accortezza di non valicare la soglia, il patto creatosi con il fruitore del media in oggetto. Bradbury ad esempio differenzia Fantasy e Fantascienza: il primo è ciò che non potrà mai accadere ma si fa accadere comunque, il secondo è la scrittura di ciò che è possibile che avvenga: razzi spaziali, auto, telefoni ecc. Andare su Marte a bordo di un’astronave è “fantascienza”, ma atterrare su Marte e trovarci i marziani e un’atmosfera respirabile, quella è “fantasy”.

    Il creare dei canoni è necessario, ma quanto ciò è conscio e quanto inconscio? Ci sono dei film in cui tali vincoli vengono scardinati e si giunge al limite di ciò che il pubblico è disposto a “sopportare”, creando azioni che smuovono i piatti della bilancia introducendo un punto di vista obliquo, disturbante. I film di Lynch o la caduta delle rane di Magnolia, ad es. Essendo pronti e ricettivi durante la visione tali fatti, benché inizialmente poco credibili o inaccettabili, possono comunque divenire humus su cui lavorare e quindi “materia culturale”.

    Ciò accade nei videogiochi? Penso di si, in rarissimi casi, ma il punto è capire cosa differenzia questo media dagli altri e dove poter affondare i principi di identificazione del VG non solo come svago. Ad. es, Metal Gear Solid 1 mi ha tanto affascinato e rapito al punto che lo considero il più bel VG mai creato. Ma questo non è dato forse dalla forte componente cinematografica che lo pervade? Penso di si e quindi non riesco a rispondere all’affermazione “Occorre capire come un videogioco può produrre senso proprio in virtù del suo essere “oggetto culturale” e non solo di divertimento.” Così come non riesco ad accettare che si costruiscano castelli in aria su uno sterile esercizio intellettualoide come fatto in Metal Gear Solid 2… ma se fosse proprio quello ciò a cui i VG tendono? Eppure le opere di Miyamoto non puntano certo sul lavoro cerebrale, ma vengono considerati dei capolavori… perché divertono senza stancare mai e avvincono… non so dove andare a parare… mi fermo qui che è meglio…
    penso, che il discorso di scardinare le convenzioni, sia proprio uno dei punti più importanti di un qualsiasi discorso che pretenda di avere un futuro... il problema è, però, che queste convenzioni vanno individuate per poter essere scardinate. non possono essere lasciate a vagare nell'intuizione... il problema non è tanto l'innovazione in se, ma è il preparare l'utente all'innovazione.

  11. #36
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    xli ha scritto gio, 17 aprile 2003 14:32
    non mi sento in questo momento in grado di poter ricostruire dei canoni estetici per i vg. posso pero' riportare dei pensieri che ho lettto in giro sulle diverse sfaccettature della valenza artistica dei vg.

    Innazitutto e' giustissimo notare la mancanza di strumenti adeguati allo studio critico dei vg. e' infatti sbagliato applicare gli strumenti critici del cinema (la prima cosa che in genere viene fatta) o di altre frome d'arte ai vg, senza rappotarli al nuovo medium.

    Si studia da decenni ormai la narrativa interattiva e direi che questo puo' gia' aiutare a dare una posizione artistica ad ALCUNI VG.

    (sto leggendo in questo periodo, infatti, un libro di Janet Murray, professoressa e ricercatrice di letteratura interattiva al MIT, chiamato Hamlet on the Holodeck, the future of narrative in cyberspace) questo prende anche in considerazione ambienti multiutente (MUD e vg...) ma ancora lo sto leggendo e mi astengo quindi dall'espreimere pareri o riportare significati che forse ancora non ho ben capito.

    Tuttavia, non vorrei che si pensasse al vg solo come medium per trsmettere 'storie', cioe' come mezzo narrativo. La comunicazione infatti non e' solo narrativa (molte arti non prevedono la fruizione di una storia), tuttavia (sempre forse per l'accostamento al cinema) si tende ad escludere dalla discussione i vg che non abbiano una trama.

    Questo e' quantomai errato, specie alla luce di molti studi di psicologia cognitiva e scienze cognitive fatte su sistemi interattivi.

    Ad esempio una considerazione che mi ha colpito e' stata la scoperta dell''amplificazione' come fonte di meraviglia per il fruitore.

    Il fatto che un piccolo movimento per noi (tasti, joystick, mouse...) provochi nel mondo simulato un'azione sproporzionata (acrobazie, astronavi che volano...), ci da un senso di potere e di meraviglia.


    Inoltre non sono da sottovalutare neanche gli aspetti piu' profonadamente intrecciati con le meccaniche di gioco: la morte, game over, high score, salvataggio.
    Queste cose condizionano la fruizione piu' di quanto a prima vista si sarebbe disposti ad accettare.

    so di non aver portato nulla di definitivo (devo ancora leggere molti libri a riguardo) tuttavia credo di aver portato all'attenzione aspetti spesso trascurati nell'analisi dei vg.
    scrissi qualcosa sulla morte nei videogiochi come "fine" della narrazione. era una recensione di Another World per un sito di retrogaming... se mi va lo ricerco... tanto pare che non piacque molto...
    il tuo discorso è sensato e potrebbe introdurre input interessanti. ad esempio i "salvataggi" sembrano un qualcosa di meramente "tecnico" ma cosa comportano a livello della fruizione del gioco?
    se puoi postaci qualcosa di tuo a riguardo o, magari, facci un sunto di quanto stai leggendo. se ti va, of course

  12. #37
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Black Tiger ha scritto gio, 17 aprile 2003 18:35
    Karat45 ha scritto gio, 17 aprile 2003 11:40
    Samuel T. Coleridge:
    Ma è lo stesso Coleridge della Ballata del Vecchio Marinaio???

    Tornando seri, i videogiochi sono un arte???
    Forse lo erano una volta, quando le decisioni non erano dettate da canoni monetari, ma da canoni artistici...
    Penso che la maggiorparte di voi non sia mai stato in una softwarehouse e quindi sia difficile credere che il proprio divertimento principale sia solo frutto di scielte di marketing, ma è così...
    Voi vi chiedete se Guerre Stellari sia arte o industria???
    Forse l'episodio girato nel '77, ma ora no...Per favore non potete pensare che la decisione di fare degli interi personaggi in digitale e l'intera pellicola in digitale anch'essa, sia una scielta dettata da gusto artistico ed estetico...
    Tornando ai VG, Pur essendo consapevole che molti effetti e soluzioni possano stupire, ci si deve rendere conto che è proprio per questo semplicissimo motivo che un VG non è arte...
    Un VG deve stupire, deve far sognare, deve poter traportare una persona in un mondo simulato, ma solo per poter colpire e conquistare un possibile acquirente...
    Penso sia ormai un lustro che non vedo un titolo veramente originale, un titolo che abbia qualcosa da trasmettere oltre ad uno sfogo psicofisico degno neanche di essere considerato alternativo ad una corsetta, ad un giro in moto, ad una partita al pallone...
    Ora è tutto piatto, tutto uguale, plastificato, confezionato (male tra l'altro...) da poter essere solo venduto ad un pollo...

    è estremamente infantile credere che la musica, il cinema, i VG di oggi siano da considerare arte...
    Se la pensate così andate a trovare quelli della EA, o Britney Spears, o Lucas...
    Per favore, lo so anche io che non sono tutti così e che ci sono dei poveracci che si fanno un mazzo tanto e che cercano di sognare davvero i prodotti che vendono...
    Ma si è partiti in generale ed ho parlato in generale...
    prova Out Of Order... è un'avventura grafica gratuita sviluppata per il solo gusto di farla...

  13. #38
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    NEO-GEO ha scritto sab, 19 aprile 2003 11:48
    Si con B&W si potrebbe provare ad introdurre l'argomento "libertà d'azione" (perdoanete se non sono tecnico). Tendenza che si è sviluppata sopratutto negli ultimi anni. Dare al giocatore la libertà di decidere la strada che più gli aggrada per giungere alla conclusione della sua missione o compito. Non metterlo davanti ad una struttura lineare da seguire come "binari", ma un po' più complessa, dove le strade sono molteplici.
    "libertà di azione"... ti do un bacino se rispondi a questa domanda: cosa comporta, a livello narrativo, la libertà di azione in un VG?

  14. #39
    NEO-GEO
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Karat45 ha scritto sab, 19 aprile 2003 14:17
    NEO-GEO ha scritto sab, 19 aprile 2003 11:48
    Si con B&W si potrebbe provare ad introdurre l'argomento "libertà d'azione" (perdoanete se non sono tecnico). Tendenza che si è sviluppata sopratutto negli ultimi anni. Dare al giocatore la libertà di decidere la strada che più gli aggrada per giungere alla conclusione della sua missione o compito. Non metterlo davanti ad una struttura lineare da seguire come "binari", ma un po' più complessa, dove le strade sono molteplici.
    "libertà di azione"... ti do un bacino se rispondi a questa domanda: cosa comporta, a livello narrativo, la libertà di azione in un VG?
    Assolutamente niente. E' solo uno strumento come un altro con il quale il programmatore arrichisce lo scenario o il "mondo fittizio" aumnentatndo la sua verosimiglianza.Mi scuso se sono rimasto così "a valle".

    P.S. cmq grazie ma declino il bacino sia se me lo sono meritato oppure no.

  15. #40
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Serata del cavolo.

    Allora, ho provato il vg da te consigliato: si tratta di uno shoot'em up con un layout originale. L'autore lo "indica" come "astratto", e in effetti si tratta di rettangoli e figure geometriche, simbolizzanti navicelle che si sparano tra di loro.

    Che dire? Lo "stile"... Beh, abbiamo visto molti artisti partire da una base abbastanza comune (es. il sogno interrotto), nella fattispecie un gameplay ultracollaudato, per poi rendere tale base originale (es.: "Sogno causato dal volo di un’ape", di Dalì), in tal caso per mezzo della grafica. Non voglio assolutamente paragonare questo software ad un'opera d'arte. Però la meccanica è quella: ognuno ha il suo "stile". Ognuno riesce a scomporre la realtà dando ad ogni suo pezzo un nome differente. Non ho parlato di "importanza" perché altrimenti si sarebbe arrivati davvero a un'opera d'arte (perché il gameplay non sarebbe stato più quello di uno shoot'em up).

    "Distribuzione gratuita": beh, questo è il tipico esempio di software sviluppato "dalla comunità per la comunità", nel senso che molto probabilmente l'autore si è avvalso di pezzi di codice sparsi per la rete, ha frequentato una scena, un underground, e dunque sarebbe stato irrispettoso oltreché inutile (dato lo scarso valore) rendere il frutto del suo impegno un prodotto commerciale. E' un mero esercizio di "stile", tutto qua. Preludio a qualcosa di più importante, certo, ma pur sempre di un esercizio si tratta.

    Quote:
    "libertà di azione"... ti do un bacino se rispondi a questa domanda: cosa comporta, a livello narrativo, la libertà di azione in un VG?
    Allora qua hai posto un paletto non indifferente (che andava specificato prima, non ora): vuoi analizzare prodotti videoludici con un tessuto narrativo.
    Beh, avrei dovuto capirlo, in un certo senso. Perché se Coleridge e tutto il resto appresso vale pienamente con un game con un'intelaiatura storica, esso non vale più completamente per altri generi di giochi. Ergo, se vuoi fare un discorso "a monte", a mio avviso bisogna scalare ancor di più.
    Secondo me, dobbiamo sviscerare il gameplay.

    E' forse questa la tua rece? http://www.16bit.emuita.it/reviews/genes is/aw.htm


  16. #41
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    no, emack... secondo me un videogioco narra qualcosa anche quando non ha nessuna storia... questo vale per quasi tutti i generi...

  17. #42
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Karat45 ha scritto dom, 20 aprile 2003 11:33
    no, emack... secondo me un videogioco narra qualcosa anche quando non ha nessuna storia...
    Solo ed escusivamente se hai fantasia e vuoi 'veramente' giocare.
    Giocheresi ora in CGA?


    Karat45 ha scritto dom, 20 aprile 2003 11:33

    questo vale per quasi tutti i generi...
    Dipende.

    Spero di non sparire come nell'intervento precedente.

  18. #43
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    masp, ho chiesto scusa per i post cancellati ma ci tengo che il topic non finisca OT... ovviamente, essendo questo tuo mess. in argomento non verrà cancellato.
    giocherei ai giochi in cga? penso di sì visto che, con gli emulatori, mi sono rigiocato anche giochi risalenti alla fine degli anni 70... non disdegno ciò che appare vecchio...
    immaginati come sarebbe il mondo dei vg senza pacman...

  19. #44
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Dal tuo post precedente m'era parso di capire il contrario.
    Comunque, resto della convinzione che la narratività in un manageriale non sia l'elemento predominante. Dunque, ribadisco la precedenza al gameplay.

    Però credo che adesso tu debba scoprire le tue carte.

  20. #45
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    in parte già le ho scoperte... in parte non so ancora se è ora... l'idea sarebbe quella di creare una specie di movimento o manifesto... ma, per ora, a partecipare alla cosa siamo troppo pochi...
    purtroppo la fase successiva, in quanto decisamente nuova, è la più rischiosa...

  21. #46
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Tentar non nuoce.
    Si può sempre "salvare" e riprendere il ragionamento in terreni più fertili, qualora il tuo messaggio non fosse capito e/o non creasse sufficiente seguito.

  22. #47
    Banned L'avatar di Chizuru Yoshida
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Mi pare non sia ancora stato definito in modo univoco cosa accomuna TUTTI i videogiochi, oltre all'interattività.
    A me oltre al punteggio (intendendo per punteggio un'accezione allargata, come spiegava karat) non viene in mente altro.
    Questo perchè all'inizio un vg era considerato uno svago, un passatempo in cui cimentarsi, e con l'introduzione di un metro di valutazione (il punteggio) si inseriva la componente "sfida", dove un giocatore poteva dimostrare la propria supremazia, sugli altri o sulla macchina. Col tempo i vg si sono evoluti e si sono diversificati, un po' come in letteratura esistono moltissimi generi, e per ognuno di essi si possono trovare caratteri distintivi che li caratterizzano. Per questo credo non ci sia poi molto su cui discutere, a valle: i videogiochi hanno troppe forme, adess ocme adesso, per trovare un insieme rigoroso (e corposo, sennò ci si limita a una mera definizione) che li racchiuda tutti.

  23. #48
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Altre info possono essere trovate agli indirizzi:

    Harvey Smith, "Systemic Level Design", GDC 2002. http://www.gdconf.com/archives/2002/harv ey_smith.ppt

    Randy Smith, "Design Fundamentals of Stealth Gameplay in the Thief Series", GDC 2002. http://www.gdconf.com/archives/2002/rand y_smith.ppt

    Noah Falstein. "Interactive 'Show, Don't Tell': Fundamental Principles of Interactive Entertainment", 1996. See http://www.theinspiracy.com/ArShowDT.htm

    A mio avviso è fondamentale dare un'occhiata a Chris Crawford. The Art of Computer Game Design, Chapter 6: "Design Techniques and Ideals." 1984. http://www.erasmatazz.com/free/AoCGD.pdf

    Per chi non avesse tempo o voglia di leggere l'intera risorsa appena postata, ecco un "breve" adattamento della stessa ad opera di Greg Costikyan. "I Have No Words & I Must Design", all'indirizzo http://www.costik.com/nowords.html.

    So What Is a Game?

    A game is a form of art in which participants, termed players, make decisions in order to manage resources through game tokens in the pursuit of a goal.


    Decision Making

    I offer this term in an effort to destroy the inane, and overhyped, word "interactive." The future, we are told, will be interactive. You might as well say, "The future will be fnurglewitz." It would be about as enlightening.

    A light switch is interactive. You flick it up, the light turns on. You flick it down, the light turns off. That's interaction. But it's not a lot of fun.

    All games are interactive: The game state changes with the players' actions. If it didn't, it wouldn't be a game: It would be a puzzle.

    But interaction has no value in itself. Interaction must have purpose.

    Suppose we have a product that's interactive. At some point, you are faced with a choice: You may choose to do A, or to do B.

    But what makes A better than B? Or is B better than A at some times but not at others? What factors go into the decision? What resources are to be managed? What's the eventual goal?

    Aha! Now we're not talking about "interaction." Now we're talking about decision making.

    The thing that makes a game a game is the need to make decisions. Consider Chess: it has few of the aspects that make games appealing -- no simulation elements, no roleplaying, and damn little color. What it's got is the need to make decisions. The rules are tightly constrained, the objectives clear, and victory requires you to think several moves ahead. Excellence in decision making is what brings success.

    What does a player do in any game? Some things depend on the medium. In some games, he rolls dice. In some games, he chats with his friends. In some games, he whacks at a keyboard. But in every game, he makes decisions.

    At every point, he considers the game state. That might be what he sees on the screen. Or it might be what the gamemaster has just told him. Or it might be the arrangement on the pieces on the board. Then, he considers his objectives, and the game tokens and resources available to him. And he considers his opposition, the forces he must struggle against. He tries to decide on the best course of action.

    And he makes a decision.

    What's key here? Goals. Opposition. Resource management. Information. Well talk about them in half a mo.

    What decisions do players make in this game?


    Goals

    Sim City has no goals. Is it not a game?

    No, as it's own designer willingly maintains. It is a toy.

    And the only way to stay interested in it for very long is to turn it into a game -- by setting goals, by defining objectives for yourself. Build the grandest possible megalopolis; maximize how much your people love you; build a city that relies solely on mass transit. Whatever goal you've chosen, you've turned it into a game.

    Even so, the software doesn't support your goal. It wasn't designed with your goal in mind. And trying to do something with a piece of software that it wasn't intended to do can be awfully frustrating.

    Since there's no goal, Sim City soon palls. By contrast, Sid Meier and Bruce Shelley's Civilization, an obviously derivative product, has explicit goals -- and is far more involving and addictive.

    "But what about roleplaying games?" you may say. "They have no victory conditions."

    No victory conditions, true. But certainly they have goals; lots of them, you get to pick. Rack up the old experience points. Or fulfill the quest your friendly GM has just inflicted on you. Or rebuild the Imperium and stave off civilization's final collapse. Or strive toward spiritual perfection. Whatever.

    If, for some reason, your player characters don't have a goal, they'll find one right quick. Otherwise, they'll have nothing better to do but sit around the tavern and grouse about how boring the game is. Until you get pissed off and have a bunch of orcs show up and try to beat their heads in.

    Hey, now they've got a goal. Personal survival is a good goal. One of the best.


    If you have no goal, your decisions are meaningless. Choice A is as good as Choice B; pick a card, any card. Who cares? What does it matter?

    For it to matter, for the game to be meaningful, you need something to strive toward. You need goals.

    What are the players' goals? Can the game support a variety of different goals? What facilities exist to allow players to strive toward their various goals?


    Opposition

    Oh, say the politically correct. Those bad, icky games. They're so competitive. Why can't we have cooperative games?

    "Cooperative games" generally seem to be variants of "let's all throw a ball around." Oh golly, how fascinating, I'll stop playing Mortal Kombat for that, you betcha.

    But are we really talking about competition?

    Yes and no; many players do get a kick out of beating others with their naked minds alone, which is at least better than naked fists. Chess players are particularly obnoxious in this regard. But the real interest is in struggling toward a goal.

    The most important word in that sentence is: struggling.

    Here's a game. It's called Plucky Little England, and it simulates the situation faced by the United Kingdom after the fall of France in World War II. Your goal: preserve liberty and democracy and defeat the forces of darkness and oppression. You have a choice: A. Surrender. B. Spit in Hitler's eye! Rule Britannia! England never never never shall be slaves!

    You chose B? Congratulations! You won!

    Now, wasn't that satisfying? Ah, the thrill of victory.

    There is no thrill of victory, of course; it was all too easy, wasn't it? There wasn't any struggle.

    In a two-player, head-to-head game, your opponent is the opposition, your struggle against him; the game is direct competition. And this is a first-rate way of providing opposition. Nothing is as sneaky and as hard to overcome as a determined human opponent. But direct competition isn't the only way to do it.

    Think of fiction. The ur-story, the Standard Model Narrative, works like this: character A has a goal. He faces obstacles B, C, D, and E. He struggles with each, in turn, growing as a person as he does. Ultimately, he overcomes the last and greatest obstacle.

    Do these obstacles all need to be The Villain, The Bad Guy, The Opponent, The Foe? No, though a good villain makes for a first rate obstacle. The forces of nature, cantankerous mothers-in-law, crashing hard-drives, and the hero's own feelings of inadequacy can make for good obstacles, too.

    Just so in games.

    In most RPGs, the "opposition" consists of non-player characters, and you are expected to cooperate with your fellow players. In many computer games, the "opposition" consists of puzzles you must solve. In LARPs, the "opposition" is often the sheer difficulty of finding the player who has the clue or the widget or the special power you need. In most solitaire games, your "opposition" is really a random element, or a set of semi-random algorithms you are pitted against.

    Whatever goals you set your players, you must make the players work to achieve their goals. Setting them against each other is one way to do that, but not the only one. And even when a player has an opponent, putting other obstacles in the game can increase its richness and emotional appeal.

    The desire for "cooperative games" is the desire for an end to strife. But there can be none. Life is the struggle for survival and growth. There is no end to strife, not this side of the grave. A game without struggle is a game that's dead.

    What provides opposition? What makes the game a struggle?


    Managing Resources


    Trivial decisions aren't any fun. Remember Plucky Little England?

    There wasn't any real decision, was there?

    Or consider Robert Harris's Talisman. Each turn, you roll the die. The result is the number of spaces you can move. You may move to the left, or to the right, around the track.

    Well, this is a little better than a traditional track game; I've got a choice. But 99 times out of a 100, either there's no difference between the two spaces, or one is obviously better than the other. The choice is bogus.

    The way to make choices meaningful is to give players resources to manage. "Resources" can be anything: Panzer divisions. Supply points. Cards. Experience points. Knowledge of spells. Ownership of fiefs. The love of a good woman. Favors from the boss. The good will of an NPC. Money. Food. Sex. Fame. Information.

    If the game has more than one 'resource,' decisions suddenly become more complex. If I do this, I get money and experience, but will Lisa still love me? If I steal the food, I get to eat, but I might get caught and have my hand cut off. If I declare against the Valois, Edward Plantagenet will grant me the Duchy of Gascony, but the Pope may excommunicate me, imperilling my immortal soul.

    These are not just complex decisions; these are interesting ones. Interesting decisions make for interesting games.

    The resources in question have to have a game role; if 'your immortal soul' has no meaning, neither does excommunication. (Unless it reduces the loyalty of your peasants, or makes it difficult to recruit armies, or... but these are game roles, n'est-ce pas?) Ultimately, 'managing resources' means managing game elements in pursuit of your goal. A 'resource' that has no game role has nothing to contribute to success or failure, and is ultimately void.

    What resources does the player manage? Is there enough diversity in them to require tradeoffs in making decisions? Do they make those decisions interesting?


    Game Tokens

    You effect actions in the game through your game tokens. A game token is any entity you may manipulate directly.

    In a boardgame, it is your pieces. In a cardgame, it is your cards. In a roleplaying game, it is your character. In a sports game, it is you yourself.

    What is the difference between "resources" and "tokens?" Resources are things you must manage efficiently to achieve your goals; tokens are your means of managing them. In a board wargame, combat strength is a resource; your counters are tokens. In a roleplaying game, money is a resource; you use it through your character.

    Why is this important? Because if you don't have game tokens, you wind up with a system that operates without much player input. Will Wright and Fred Haslam's Sim Earth is a good example. In Sim Earth, you set some parameters, and sit back to watch the game play out itself. You've got very little to do, no tokens to manipulate, no resources to manage. Just a few parameters to twiddle with. This is mildly interesting, but not very.

    To give a player a sense that he controls his destiny, that he is playing a game, you need game tokens. The fewer the tokens, the more detailed they must be; it is no cooincidence that roleplaying games, which give the player a single token, also have exceptionally detailed rules for what that token can do.

    What are the players' tokens? What are these tokens' abilities? What resources do they use? What makes them interesting?


    Information

    I've had more than one conversation with a computer game designer in which he tells me about all the fascinating things his game simulates -- while I sit there saying, "Really? What do you know. I didn't realize that."

    Say you've got a computer wargame in which weather affects movement and defense. If you don't tell the player that weather has an effect, what good is it? It won't affect the player's behavior; it won't affect his decisions.

    Or maybe you tell him weather has an effect, but the player has no way of telling whether it's raining or snowing or what at any given time. Again, what good is that?

    Or maybe he can tell, and he does know, but he has no idea what effect weather has -- maybe it cuts everyone's movement in half, or maybe it slows movement across fields to a crawl but does nothing to units moving along roads. This is better, but not a whole lot.

    The interface must provide the player with relevant information. And he must have enough information to be able to make a sensible decision.

    That isn't to say a player must know everything; hiding information can be very useful. It's quite reasonable to say, "you don't know just how strong your units are until they enter combat," but in this case, the player must have some idea of the range of possibilities. It's reasonable to say, "you don't know what card you'll get if you draw to an inside straight," but only if the player has some idea what the odds are. If I might draw the Queen of Hearts and might draw Death and might draw the Battleship Potemkin, I have absoutely no basis on which to make a decision.

    More than that, the interface must not provide too much information, especially in a time-dependent game. If weather, supply state, the mood of my commanders, the fatigue of the troops, and what Tokyo Rose said on the radio last night can all affect the outcome of my next decision, and I have to decide some time in the next five seconds, and it would take me five minutes to find all the relevant information by pulling down menus and looking at screens, the information is still irrelevant. I may have access to it, but I can't reasonably act on it.


    Or let's talk about computer adventures; they often display information failure. "Oh, to get through the Gate of Thanatos, you need a hatpin to pick the lock. You can find the hatpin on the floor of the Library. It's about three pixels by two pixels, and you can see it, if your vision is good, between the twelfth and thirteenth floorboards, about three inches from the top of the screen. What, you missed it?"

    Yeah, I missed it. In an adventure, it shouldn't be ridiculously difficult to find what you need, nor should victory be impossible just because you made a wrong decision three hours and thirty-eight decision points ago. Nor should the solutions to puzzles be arbitrary or absurd.

    Or consider freeforms. In a freeform, a player is often given a goal, and achieving it requires him to find out several things -- call them Facts A, B, and C. The freeform's designer had better make damn sure that A, B, and C are out there somewhere -- known to other characters, or on a card that's circulating in the game -- whatever, they have to be there. Otherwise, the player has no chance of achieving his goal, and that's no fun.

    Given the decisions players are required to make, what information do they need? Does the game provide the information as and when needed? Will reasonable players be able to figure out what information they need, and how to find it?

    ____________________________

    Proseguendo nella lettura dell'articolo, è interessante notare come "la tensione narrativa" non sia considerato uno degli elementi principalmente caratterizzanti i videogames.


    _____________________________

    Doug Church. "Formal Abstract Design Tools." (Gamasutra, 1999. Originally Game Developer magazine, Vol 3, Issue 28, July 1999.) http://www.gamasutra.com/features/199907 16/design_tools_01.htm
    [estratto]
    Same Tools, Different Games

    Perceived consequence is a tool often used in RPGs, usually with plot or character development. A plot event will happen, in which the game (through characters or narration) essentially comes out and says, "Because of X, Y has happened." This is clearly a fairly pure form of perceived consequence.

    Often, however, RPGs are less direct about consequence. For example, the player may decide to stay the night at an inn, and the next morning he may be ambushed. Now, it may be that the designers built this in the code or design of the game. ("We don't want people staying in town too much, so if they start staying at the inn too often, let's ambush them.") However, that causality is not perceivable by the player. While it may be an actual consequence, to the player it appears random.

    There are also cases where the consequence is perceivable, but something still seems wrong. Perhaps there's a fork in the road, where players must choose a direction. As a player travels down the chosen path, an encounter with bandits occurs, and the bandit leader proclaims, "You have entered the valley of my people; face my wrath." This is clearly a consequence, but not of a decision players thought they were making. Players bemoan situations where they are forced into a consequence by the designers, where they are going along playing a game and suddenly are told, "You had no way of knowing, but doing thing X results in horrible thing Z."

    Here we can look at how Mario uses the perceivable consequence tool in order to gain some insight into how to make it work for us without frustrating players. In Mario, consequences are usually the direct result of a player decision. Rarely do players following a path through the game suddenly find themselves in a situation where the game basically says, "Ha ha, you had no way of knowing, but you should have gone left," or "Dead end! Now you get crushed." Instead, they see they can try a dangerous jump or a long roundabout path or maybe a fight. And if it goes wrong, they understand why.

    So it should come as no surprise that, in RPGs, often the best uses of consequence come when they are attached to intentional actions. Being given a real choice to do the evil wizard's bidding or resist and face the consequences has both intention and consequence. And when these tools work together, players are left feeling in control and responsible for whatever happens. However, being told "Now you must do the evil wizard's bidding" by the designer, and then being told, "As you did the evil wizard's bidding, the following horrible consequences have occurred," is far less involving for the player. So while both examples literally have perceived consequence, they don't cause the same reactions in the player.

    Same Game, Different Tools

    Of course, there are reasons why RPGs often force players into a given situation, even at the cost of removing some of the player's feeling of control. The usual reason is to give the designer greater control of the narrative flow of the game. It is clear that "story" is another abstract tool, used in various ways across all game styles in our industry. But it's important to remember that, although books tell stories, when we say "story" is an abstract tool in game design, we don't necessarily mean expository, pre-written text. In our field, "story" really refers to any narrative thread that is continued throughout the game.

    The most obvious uses of story in computer and video games can be found in adventure-game plot lines. In this game category, the story has been written in advance by designers, and players have it revealed to them through interactions with characters, objects, and the world. While we often try to set up things to give players a sense of control, all players end up with the same plot.

    But story comes into play in NBA Live, too. There, the story is what happens in the game. Maybe it ends up in overtime for a last-second three-pointer by a star player who hasn't been hitting his shots; maybe it is a total blowout from the beginning and at the end the user gets to put in the benchwarmers for their moment of glory. In either case, the player's actions during play created the story. Clearly, the story in basketball is less involved than that of most RPGs, but on the other hand it is a story that is the player's — not the designer's — to control. And as franchise and season modes are added to sports games and team rivalries and multi-game struggles begin, story takes on a larger role in such games.

    STORY: The narrative thread, whether designer-driven or player-driven, that binds events together and drives the player forward toward completion of the game.






  24. #49
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Chizuru Yoshida ha scritto lun, 21 aprile 2003 00:48
    Mi pare non sia ancora stato definito in modo univoco cosa accomuna TUTTI i videogiochi, oltre all'interattività.
    A me oltre al punteggio (intendendo per punteggio un'accezione allargata, come spiegava karat) non viene in mente altro.
    Questo perchè all'inizio un vg era considerato uno svago, un passatempo in cui cimentarsi, e con l'introduzione di un metro di valutazione (il punteggio) si inseriva la componente "sfida", dove un giocatore poteva dimostrare la propria supremazia, sugli altri o sulla macchina. Col tempo i vg si sono evoluti e si sono diversificati, un po' come in letteratura esistono moltissimi generi, e per ognuno di essi si possono trovare caratteri distintivi che li caratterizzano. Per questo credo non ci sia poi molto su cui discutere, a valle: i videogiochi hanno troppe forme, adess ocme adesso, per trovare un insieme rigoroso (e corposo, sennò ci si limita a una mera definizione) che li racchiuda tutti.
    A game is a form of art in which participants, termed players, make decisions in order to manage resources through game tokens in the pursuit of a goal.

  25. #50
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Emack ha scritto lun, 21 aprile 2003 20:49
    Chizuru Yoshida ha scritto lun, 21 aprile 2003 00:48
    Mi pare non sia ancora stato definito in modo univoco cosa accomuna TUTTI i videogiochi, oltre all'interattività.
    A me oltre al punteggio (intendendo per punteggio un'accezione allargata, come spiegava karat) non viene in mente altro.
    Questo perchè all'inizio un vg era considerato uno svago, un passatempo in cui cimentarsi, e con l'introduzione di un metro di valutazione (il punteggio) si inseriva la componente "sfida", dove un giocatore poteva dimostrare la propria supremazia, sugli altri o sulla macchina. Col tempo i vg si sono evoluti e si sono diversificati, un po' come in letteratura esistono moltissimi generi, e per ognuno di essi si possono trovare caratteri distintivi che li caratterizzano. Per questo credo non ci sia poi molto su cui discutere, a valle: i videogiochi hanno troppe forme, adess ocme adesso, per trovare un insieme rigoroso (e corposo, sennò ci si limita a una mera definizione) che li racchiuda tutti.
    A game is a form of art in which participants, termed players, make decisions in order to manage resources through game tokens in the pursuit of a goal.
    non ti sembra un pò limitata come definizione? insomma, gli stessi termini possono essere usati anche per descrivere un imprenditore... è troppo vaga e tralascia ogni considerazione di tipo estetico concentrandosi solamente su ciò che è ludico...

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