Pag 7 di 12 PrimaPrima ... 56789 ... UltimaUltima
Risultati da 151 a 175 di 289
  1. #151
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Karat45 ha scritto gio, 29 maggio 2003 12:21

    postulo così la presenza di, non uno ma tre narratori all'interno di un videogioco:
    -il primo è colui che pensa e scrive la storia sulla carta, storia che poi viene utilizzata come collante delle diverse situazioni di gioco.
    -il secondo è colui che disegna le mappe e che determina le possibilità del personaggio, è un narratore meno visibile rispetto al primo, ma, se ragionate in base all'esempio sopra, vi accorgerete che è tanto e più importante del primo narratore.
    -il terzo narratore è il videogiocatore che, scegliendo tra tutte le possibilità messegli a disposizione, determina una storia simile alle altre ma diversa nelle sue proposizioni.
    Esiste un quarto.
    Che determina la libertà d'azione e narrazione del mapper.

  2. #152
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
    Data Registrazione
    15-09-01
    Località
    Roma
    Messaggi
    13,593

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    sarebbe chi realizza il tool di sviluppo?

  3. #153
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Karat45 ha scritto mar, 03 giugno 2003 00:10
    sarebbe chi realizza il tool di sviluppo?
    Sì.

  4. #154
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
    Data Registrazione
    15-09-01
    Località
    Roma
    Messaggi
    13,593

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    emack, le tue risposte stanno diventando stringatissime...

  5. #155
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Karat45 ha scritto mar, 03 giugno 2003 00:22
    emack, le tue risposte stanno diventando stringatissime...
    Lo sto notando.
    Forse perché ho sempre meno da dire...
    Forse mi sono esaurito. Forse sono tutto qui.

  6. #156
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    è tutto morto?

  7. #157
    Lo Zio L'avatar di WhiteKen
    Data Registrazione
    02-03-02
    Località
    Magari lo sapessi
    Messaggi
    2,137

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Mi inserisco nella discussione con molta umiltà, vista la mia scarsa propensione, almeno finora, dimostrata durante le sessioni di gioco.

    Ho riscontrato però in questi ultimi anni la visione del gioco-rifugio, gioco come alienazione dalla realtà, come ricostruzione della realtà in ambiti nuovi e inesplorati.
    E' il caso del GDR-Online, delle community che nascono attorno a giochi come Ultima o DAOC.
    In questi casi il gioco svolge un ruolo, quello del puro intrattenimento, relegato in posizione arretrata. Al centro c'è l'esperienza diretta, il contatto con altre persone in un contesto sociale completamente diverso, non corrotto da canoni estetici imposti dalla cultura moderna, contatto, questo, che si verifica tra anime per lo più affini e crea legami di un certo rilievo.
    Il desiderio di crearsi un io virtuale, l'importanza di queste sfere sociali e l'influenza che hanno sullo sviluppo psicologico delle persone (a volte terapeutico, al contrario di come asseriscono molti giornalisti male informati), eleva la sfera videoludica.
    Ritengo che lo sviluppatore del VG deve sentirsi maggiormente sensibilizzato da questo aspetto della sua creazione, dall'importanza che il mondo da lui creato avrà per queste persone.

    Non ho finito qui il discorso ma devo staccare, continuerò più tardi.

  8. #158
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Giusta osservazione, White.

    Quindi, postuliamo l'esistenza di un quinto narratore: la comunità.

    Il sistema comincia a delinearsi. Sarò più chiaro stasera, quando avrò finito di studiare.

  9. #159
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
    Data Registrazione
    15-09-01
    Località
    Roma
    Messaggi
    13,593

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    non esiste un'opera dell'ingegno umano che non sia anche frutto della comunità in cui questa è nata

  10. #160
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Karat45 ha scritto lun, 09 giugno 2003 20:16
    non esiste un'opera dell'ingegno umano che non sia anche frutto della comunità in cui questa è nata
    appunto

  11. #161
    Lo Zio L'avatar di WhiteKen
    Data Registrazione
    02-03-02
    Località
    Magari lo sapessi
    Messaggi
    2,137

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Rieccomi con più calma e dopo aver meditato più a lungo.

    Siamo (siete... ) partiti dall'idea del videogioco come esperienza, quindi come tale dell'importanza data alla capacità di immedesimazione di un soggetto dimostrata nella sessione di gioco.

    Quindi si è compreso come il videogioco spinga a facilitare tale immedesimazione, e come l'evoluzione tecnica di questi ultimi anni abbia contribuito non poco a semplificare le cose.

    Passo avanti: non sempre necessita una reale base graficamente realistica, un sonoro avvolgente per immedesimare il giocatore e indurlo a vivere il videogioco come una vera e proprio nuova esperienza sensoriale. Vi sono giochi che senza una base tecnologica sviluppata attirano per il fascino indiscusso del contenuto.

    Tra di essi rientrano i primi esperimenti di GRD online, coadiuvati dall'irresistibile fascino del videogioco come esperienza di gruppo, che riunisce attorno alla sua struttura una vera e propria comunità.

    Salto ulteriore: il videogioco come esperienza proibita.
    Mi riferisco alla possibilità di immedesimarsi in schemi comportamentali rifiutati dalla società, e come tali inavvicinabili all'interno di essa.
    In GTA sei un ladro violento e senza scrupoli.
    In Carmageddon un guidatore sadico.
    In Mafia un gangster.
    In Unreal Tournament 2003 un guerriero assetato di sangue.

    Quanta immedesimazione c'è in questi giochi, e quanto essa è importante ai fini della riuscita del gioco?
    Il gioco ti attira perchè ti offre la possibilità di essere ciò che non sei, di infrangere le regole senza danno sul tuo stato sociale. La nostra anima risulta ardere come non mai di fronte alle urla dei poveri passanti in GTA, perchè l'emozione che tale esperienza suscita non la proverete mai fuori da quello schermo.
    Ma è vera immedesimazione? Oppure il nostro io esorcizza così la violenza dal nostro corpo, liberandoci dagli stress della giornata, permettendo ai nostri freni inibitori di allentare la tensione per quell'ora passata a massacrare pixel?

    In sostanza il videogioco offre una dimensione nuova, una realtà realmente irreale dove spostare l'asse della nostra moralità da una parte dello schermo e mostrare immagini di cruda intensità senza il minimo danno per la nostra coscenza. Ecco che la comunità cerca di riversare nel consumo dei VG un inesauribile senso di mancanza offerto dal grigiore della vita reale, scuotendo il muro sottilissimo che ci separava dalla prima ed unica esperienza sensoriale totale della nostra vita. L'Arte ci offre la possibilità di comunicare col passato attraverso la pennellata in un quadro o l'attacco di un'overture, ma il suo fine più grande è proprio trasmettere un messaggio direttamente al nostro spirito.
    L'esperienza videoludica invece nel suo essere immersiva e coinvolgente ci regala un dono forse non più prezioso, ma comunque altrettanto importante: Arricchisce il nostro bagaglio mentale, regalandoci un'esperienza di assoluta nuova realtà.
    E' incredibile come possa un semplice VG soddisfare un'estetica relativa (quella dell'utente appassionato del genere, che ricerca soprattutto un determinato mondo ludico in cui muoversi), spesso con fatica, vista l'esigenza richiesta da questi fruitori, ed una esperienza assoluta, quella dell'esteta amante dell'Ars ludica, che magari pur osservando con distacco il genere non può che ammirare nel prodotto l'indiscusso valore costruttivo e creativo.

    Rileggo il mio discorso e scopro con timore un'eccessiva ampollosità nelle frasi, ma mi auguro di essere riuscito, sebbene in 4 righe anziché 2, ad aver espresso un concetto degno di nota.

  12. #162
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Sicuramente ci sei riuscito.

    Il gioco è sempre stato un modo per conoscere il mondo circostante. Per riprodurre azioni di vita senza pressioni esterne. Ecco perché "giocare" ha il suo grandissimo valore.

    Ed ecco perché l'esperienza videoludica, come hai giustamente affermato, può garantire o fornire una certa apertura mentale: riesce a riprodurre addirittura situazioni improbabili.

    Da qui, la domanda: quanta potenza comunicativa possiede un prodotto videoludico? E: questa potenza, dipende dalla tensione narrativa o da quale altro fattore?

  13. #163
    Lo Zio L'avatar di Never
    Data Registrazione
    14-11-02
    Località
    BS-PD
    Messaggi
    3,468

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Emack ha scritto mer, 11 giugno 2003 19:25
    Sicuramente ci sei riuscito.

    Il gioco è sempre stato un modo per conoscere il mondo circostante. Per riprodurre azioni di vita senza pressioni esterne. Ecco perché "giocare" ha il suo grandissimo valore.

    Ed ecco perché l'esperienza videoludica, come hai giustamente affermato, può garantire o fornire una certa apertura mentale: riesce a riprodurre addirittura situazioni improbabili.

    Da qui, la domanda: quanta potenza comunicativa possiede un prodotto videoludico? E: questa potenza, dipende dalla tensione narrativa o da quale altro fattore?


    Con quale accezione consideriamo il termine "tensione narrativa"?
    In quello classico di storia che sa "catturare" lo spettatore o in quello che avete sviscerato e rappresentato con i diversi narratori (5 se non erro) che partecipano alla narrazione del gioco?

    In questo secondo caso "tensione narrativa" ci può essere anche senza una vera e propria storia, magari grazie ad un'idea di base (a livello di gameplay) che risultà essere particolarmente riuscita o comunque ben realizzata.

  14. #164
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Credo di esser riuscito a conciliare la mia visione delle cose con quella di Karat.

    Io ponevo maggiore attenzione (e dignità e potenza) al gameplay vero e proprio. Karat, invece, indagava sulla narrazione.

    Questa è la risposta completa che avrei dovuto fornire qualche giorno fa

    Karat scriveva ciò:
    Quote:

    postulo così la presenza di, non uno ma tre narratori all'interno di un videogioco:
    -il primo è colui che pensa e scrive la storia sulla carta, storia che poi viene utilizzata come collante delle diverse situazioni di gioco.
    -il secondo è colui che disegna le mappe e che determina le possibilità del personaggio, è un narratore meno visibile rispetto al primo, ma, se ragionate in base all'esempio sopra, vi accorgerete che è tanto e più importante del primo narratore.

    -il terzo narratore è il videogiocatore che, scegliendo tra tutte le possibilità messegli a disposizione, determina una storia simile alle altre ma diversa nelle sue proposizioni.
    Bene, il primo e il secondo narratore, assieme al mio quarto
    Quote:

    Esiste un quarto.
    Che determina la libertà d'azione e narrazione del mapper.
    Stabiliscono cosa effettivamente, attraverso l'esperienza di gioco (cioé il gameplay), il giocatore potrà fare.
    Essi operano, così, in tale ordine.

    1) Esiste il designer (il primo narratore di Karat) il quale, progettando un contesto entro il quale far evolvere una storia e un personaggio, concepisce i meccanismi di gioco.
    2) E' la volta di colui "che determina la libertà d'azione e narrazione del mapper", cioé il coder. Costui fabbrica i meccanismi di gioco.
    3) Il mapper, invece, utilizza i meccanismi di gioco per adattarli al contesto inizialmente elaborato dal designer.

    Questa triade sarà poi completata da altri due narratori:

    4) Il videogiocatore: utilizza le interfacce dei meccanismi di gioco per calarsi nel contesto.
    5) La comunità (eventuale): elabora, partendo dalle stesse interfacce, nuovi contesti di gioco.

    Spero di aver scritto qualcosa di sensato. A voi la parola.

  15. #165
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Never ha scritto mer, 11 giugno 2003 19:33
    Emack ha scritto mer, 11 giugno 2003 19:25
    Sicuramente ci sei riuscito.

    Il gioco è sempre stato un modo per conoscere il mondo circostante. Per riprodurre azioni di vita senza pressioni esterne. Ecco perché "giocare" ha il suo grandissimo valore.

    Ed ecco perché l'esperienza videoludica, come hai giustamente affermato, può garantire o fornire una certa apertura mentale: riesce a riprodurre addirittura situazioni improbabili.

    Da qui, la domanda: quanta potenza comunicativa possiede un prodotto videoludico? E: questa potenza, dipende dalla tensione narrativa o da quale altro fattore?


    Con quale accezione consideriamo il termine "tensione narrativa"?
    In quello classico di storia che sa "catturare" lo spettatore o in quello che avete sviscerato e rappresentato con i diversi narratori (5 se non erro) che partecipano alla narrazione del gioco?

    In questo secondo caso "tensione narrativa" ci può essere anche senza una vera e propria storia, magari grazie ad un'idea di base (a livello di gameplay) che risultà essere particolarmente riuscita o comunque ben realizzata.
    Per tensione narrativa intendo innanzitutto la storia, poi gli elementi di gameplay, grafica e sonoro che la oggettivano nel gioco.

  16. #166
    Lo Zio L'avatar di WhiteKen
    Data Registrazione
    02-03-02
    Località
    Magari lo sapessi
    Messaggi
    2,137

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Davvero una bella analisi questa.

    Sul concetto di tensione narrativa:

    Definizione (cerchiamo di darla ):

    La capacità del gioco di assorbire l'utente nell'esperienza videoludica e trainarlo fino alla conclusione di essa.

    Parametri valutativi:

    Storia di base: non solo il substrato da cui si muove il gioco, ma anche il suo sviluppo, condito di colpi di scena, svolte imprevedibili e finale solido.

    Ambiente di gioco: se vogliamo il design delle mappe degli ambienti, la finezza dei particolari e il sonoro, inteso nella duplice accezione di colonna sonora e tipologia di effetti speciali (pensate al diverso animo con cui il giocatore ascolta la colonna sonora di Vice City rispetto al giocatore di Undying).

    Libertà del giocatore: capacità di muoversi, come muoversi, come vedere l'ambiente e livello di interattività con il mondo circostante. Non solo, capacità di cambiare il corso delle cose (sempre più apprezzata), di poter decidere che percorso intraprendere (Black and White parla da solo).


    Valore dei singoli parametri:

    E' indubbio che i tre parametri se presenti in parti uguali e tutti ad un livello alto creano un indubbio capolavoro.
    Analizzando la fattura di Half Life si vedeva che la storia era perfetta, l'audio e video ai massimi livelli (per quel periodo) e la libertà del giocatore notevole per uno schema FPS classico.

    Altri giochi puntano all'esaltazione di uno dei tre parametri, mettendo in ombra gli altri due: La tensione narrativa concessa da una bella storia può risultare frustrata da un pessimo controllo del personaggio, scemando l'interesse per il gioco.
    Il fascino dell'assoluta libertà data da certi titoli può alla lunga far crollare la tensione fino a rendere il gioco una sorta di routine confusionaria e caotica.
    Una mappa di livello fotografico colpisce gli occhi ma risulta limitante per chi cerca una certa velocità di gioco ed uno sviluppo narrativo più approfondito.

    Non si possono comunque dimenticare i cosiddetti giochi fai da te:
    in questi la tensione narrativa, la capacità del gioco di assorbire l'utente può basarsi unicamente da uno scenario base con infiniti binari da percorrere e anzi con la più completa mancanza di obiettivi ( che quindi ti crei da solo): The sims è esemplare come gioco che traina solo perchè tu vuoi andare avanti, tu sei la principale motivazione per prolungare l'intrattenimento videoludico.

    Credo di aver messo parecchia carne al fuoco...

  17. #167
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
    Data Registrazione
    15-09-01
    Località
    Roma
    Messaggi
    13,593

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    ci sono anche io!!! questo fine settimana posto qualche cosa!!!
    lo so che non ve ne frega nulla... anzi, continuate così che state andando alla grande!

  18. #168
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    WhiteKen ha scritto mer, 11 giugno 2003 22:08
    Davvero una bella analisi questa.

    Sul concetto di tensione narrativa:

    Definizione (cerchiamo di darla ):

    La capacità del gioco di assorbire l'utente nell'esperienza videoludica e trainarlo fino alla conclusione di essa.

    Parametri valutativi:

    Storia di base: non solo il substrato da cui si muove il gioco, ma anche il suo sviluppo, condito di colpi di scena, svolte imprevedibili e finale solido.

    Ambiente di gioco: se vogliamo il design delle mappe degli ambienti, la finezza dei particolari e il sonoro, inteso nella duplice accezione di colonna sonora e tipologia di effetti speciali (pensate al diverso animo con cui il giocatore ascolta la colonna sonora di Vice City rispetto al giocatore di Undying).

    Libertà del giocatore: capacità di muoversi, come muoversi, come vedere l'ambiente e livello di interattività con il mondo circostante. Non solo, capacità di cambiare il corso delle cose (sempre più apprezzata), di poter decidere che percorso intraprendere (Black and White parla da solo).

    Date le realizzazioni tecniche ormai livellate, parametri quali grafica e giocabilità non li considereresti più?

  19. #169
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    kaaaaaaaaaaaaaaaraaaaaaaaaaaaaaaaaat
    che fine hai faaaaaaaaaaaaaattoooooooooooooooooooo?

  20. #170
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
    Data Registrazione
    15-09-01
    Località
    Roma
    Messaggi
    13,593

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    WhiteKen ha scritto mar, 10 giugno 2003 02:22
    Rieccomi con più calma e dopo aver meditato più a lungo.

    Siamo (siete... ) partiti dall'idea del videogioco come esperienza, quindi come tale dell'importanza data alla capacità di immedesimazione di un soggetto dimostrata nella sessione di gioco.

    Quindi si è compreso come il videogioco spinga a facilitare tale immedesimazione, e come l'evoluzione tecnica di questi ultimi anni abbia contribuito non poco a semplificare le cose.

    Passo avanti: non sempre necessita una reale base graficamente realistica, un sonoro avvolgente per immedesimare il giocatore e indurlo a vivere il videogioco come una vera e proprio nuova esperienza sensoriale. Vi sono giochi che senza una base tecnologica sviluppata attirano per il fascino indiscusso del contenuto.

    Tra di essi rientrano i primi esperimenti di GRD online, coadiuvati dall'irresistibile fascino del videogioco come esperienza di gruppo, che riunisce attorno alla sua struttura una vera e propria comunità.

    Salto ulteriore: il videogioco come esperienza proibita.
    Mi riferisco alla possibilità di immedesimarsi in schemi comportamentali rifiutati dalla società, e come tali inavvicinabili all'interno di essa.
    In GTA sei un ladro violento e senza scrupoli.
    In Carmageddon un guidatore sadico.
    In Mafia un gangster.
    In Unreal Tournament 2003 un guerriero assetato di sangue.

    Quanta immedesimazione c'è in questi giochi, e quanto essa è importante ai fini della riuscita del gioco?
    Il gioco ti attira perchè ti offre la possibilità di essere ciò che non sei, di infrangere le regole senza danno sul tuo stato sociale. La nostra anima risulta ardere come non mai di fronte alle urla dei poveri passanti in GTA, perchè l'emozione che tale esperienza suscita non la proverete mai fuori da quello schermo.
    Ma è vera immedesimazione? Oppure il nostro io esorcizza così la violenza dal nostro corpo, liberandoci dagli stress della giornata, permettendo ai nostri freni inibitori di allentare la tensione per quell'ora passata a massacrare pixel?

    In sostanza il videogioco offre una dimensione nuova, una realtà realmente irreale dove spostare l'asse della nostra moralità da una parte dello schermo e mostrare immagini di cruda intensità senza il minimo danno per la nostra coscenza. Ecco che la comunità cerca di riversare nel consumo dei VG un inesauribile senso di mancanza offerto dal grigiore della vita reale, scuotendo il muro sottilissimo che ci separava dalla prima ed unica esperienza sensoriale totale della nostra vita. L'Arte ci offre la possibilità di comunicare col passato attraverso la pennellata in un quadro o l'attacco di un'overture, ma il suo fine più grande è proprio trasmettere un messaggio direttamente al nostro spirito.
    L'esperienza videoludica invece nel suo essere immersiva e coinvolgente ci regala un dono forse non più prezioso, ma comunque altrettanto importante: Arricchisce il nostro bagaglio mentale, regalandoci un'esperienza di assoluta nuova realtà.
    E' incredibile come possa un semplice VG soddisfare un'estetica relativa (quella dell'utente appassionato del genere, che ricerca soprattutto un determinato mondo ludico in cui muoversi), spesso con fatica, vista l'esigenza richiesta da questi fruitori, ed una esperienza assoluta, quella dell'esteta amante dell'Ars ludica, che magari pur osservando con distacco il genere non può che ammirare nel prodotto l'indiscusso valore costruttivo e creativo.

    Rileggo il mio discorso e scopro con timore un'eccessiva ampollosità nelle frasi, ma mi auguro di essere riuscito, sebbene in 4 righe anziché 2, ad aver espresso un concetto degno di nota.
    ma cosa ci permette di distinguere un esperienza buona da una cattiva? cos aci permette di affermare che questa continua fuga dal reale non produca un effetto contrario e che "imprigioni" il giocatore? siamo sicuri che sia così semplice "uscire" dall'esperienza ludica e riprendere il contatto con la realtà? o, proprio perché di "giocare" (in senso antropologico) stiamo parlando, il gioco è anche, automaticamente, maestro e veicolo di cultura (nel bene e nel male)?

  21. #171
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
    Data Registrazione
    15-09-01
    Località
    Roma
    Messaggi
    13,593

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Never ha scritto mer, 11 giugno 2003 19:33
    Emack ha scritto mer, 11 giugno 2003 19:25
    Sicuramente ci sei riuscito.

    Il gioco è sempre stato un modo per conoscere il mondo circostante. Per riprodurre azioni di vita senza pressioni esterne. Ecco perché "giocare" ha il suo grandissimo valore.

    Ed ecco perché l'esperienza videoludica, come hai giustamente affermato, può garantire o fornire una certa apertura mentale: riesce a riprodurre addirittura situazioni improbabili.

    Da qui, la domanda: quanta potenza comunicativa possiede un prodotto videoludico? E: questa potenza, dipende dalla tensione narrativa o da quale altro fattore?


    Con quale accezione consideriamo il termine "tensione narrativa"?
    In quello classico di storia che sa "catturare" lo spettatore o in quello che avete sviscerato e rappresentato con i diversi narratori (5 se non erro) che partecipano alla narrazione del gioco?

    In questo secondo caso "tensione narrativa" ci può essere anche senza una vera e propria storia, magari grazie ad un'idea di base (a livello di gameplay) che risultà essere particolarmente riuscita o comunque ben realizzata.
    la tensione narrativa si crea in vario modo. anche la semplice attesa di sapere cosa c'è dietro ad un muro è tensione narrativa. certo, poi va considerato come i programmatori riescano a mantenerla per tutto il corso del gioco.
    ti faccio un esempio diretto: in Medal of Honor per Pc, i primi livelli hanno una tensione narrativa altissima dovuta ad una certa ricostruzione di alcune situazioni; prendiamo il primo livello; l'arrivo al villaggio in incognito sul camion, l'essere smascherati, lo scontro a fuoco e l'assalto che ne consegue, la battaglia nel villaggio ecc. alla fine ci troviamo a fare quello che si fa in ogni FPS ma, il tutto, è "rivestito" e appare diverso. quella sequenza ha una forte narratività per il suo comprendere elementi fortemente "narrativi" nel senso classico del termine. è facile rendersi conto che, se avessimo iniziato la solita missione solitaria partendo da dietro una duna e senza l'adrenalinicità dell'assalto... non sarebbe stato la stessa cosa.
    la cosa è verificabile anche confrontando i primi livelli di gioco con gli ultimi che si attestano su dei canoni banali e che sono il vero punto debole del gioco.

  22. #172
    Il Fantasma
    Data Registrazione
    09-01-03
    Località
    Firenze
    Messaggi
    122

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Premetto che non ho letto l'intera discussione, perciò scusatemi se dovessi riscrivere concetti già espressi precedentemente.

    Secondo me l'arte è qualsiasi cosa che riesce a trasmettere emozioni, sentimenti o che provochi una riflessione oggettivamente, senza dipendere dallo stato d'animo in cui si era prima di venirne a contatto o da altri fattori esterni.
    E' perciò evidente che l'arte è soggettiva: ciò che per me è arte, per te potrebbe benissimo non esserlo.

    L'arte non è perciò, a parer mio, la ricerca della perfezione e dell'eccellenza in determinati parametri estetici, ma semplicemente qualcosa che trasmette emozioni(ovviamente di una certa intensità, se non addirittura sentimenti).

    Nello specifico dei videogiochi secondo me Metal Gear Solid e Final Fantasy 8 sono due ottimi esempi di come il videogioco possa considerarsi arte tanto e forse anche più di cinema o altre forme più tradizionali.

    In fondo le emozioni e le riflessioni sono determinate dal coinvolgimento, e cosa più di un videogioco che permette una profonda immersione può permettere al giocatore di essere coinvolto?

    Un giorno lessi da qualche parte che il videogioco non sarebbe mai potuto diventare una forma d'arte essendo una commistione di più generi.A mio parere ciò non è vero, in quanto nonostante non possa raggiungere l'eccellenza in dei campi specifici(anche se non sono daccordo nemmeno su questo, esistono colonne sonore di videogiochi degne di far impallidire molti compositori) riesce comunque a trasmettere emozioni.


    Finisco il mio intervento dicendo che forse mi ripronuncerò.Mi ritiro nelle mie stanze.Adios

    Scusatemi per le stupidaggini che ho scritto qui sopra ma stavo parlando di Fiorentina con mio padre forza violaaaaa ciao !

  23. #173
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    fiorentina ha scritto mer, 18 giugno 2003 23:49

    In fondo le emozioni e le riflessioni sono determinate dal coinvolgimento, e cosa più di un videogioco che permette una profonda immersione può permettere al giocatore di essere coinvolto?
    Well... Qui veramente non si discuteva della dignità artistica del videogioco. Si tentava di capire, di decodificare quello che hai espresso nel punto che ho quotato: come avviene il coinvolgimento? Come il videogioco si relazione al videogiocatore?

  24. #174
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Karat45 ha scritto mar, 17 giugno 2003 17:12
    Never ha scritto mer, 11 giugno 2003 19:33
    Emack ha scritto mer, 11 giugno 2003 19:25
    Sicuramente ci sei riuscito.

    Il gioco è sempre stato un modo per conoscere il mondo circostante. Per riprodurre azioni di vita senza pressioni esterne. Ecco perché "giocare" ha il suo grandissimo valore.

    Ed ecco perché l'esperienza videoludica, come hai giustamente affermato, può garantire o fornire una certa apertura mentale: riesce a riprodurre addirittura situazioni improbabili.

    Da qui, la domanda: quanta potenza comunicativa possiede un prodotto videoludico? E: questa potenza, dipende dalla tensione narrativa o da quale altro fattore?


    Con quale accezione consideriamo il termine "tensione narrativa"?
    In quello classico di storia che sa "catturare" lo spettatore o in quello che avete sviscerato e rappresentato con i diversi narratori (5 se non erro) che partecipano alla narrazione del gioco?

    In questo secondo caso "tensione narrativa" ci può essere anche senza una vera e propria storia, magari grazie ad un'idea di base (a livello di gameplay) che risultà essere particolarmente riuscita o comunque ben realizzata.
    la tensione narrativa si crea in vario modo. anche la semplice attesa di sapere cosa c'è dietro ad un muro è tensione narrativa. certo, poi va considerato come i programmatori riescano a mantenerla per tutto il corso del gioco.
    ti faccio un esempio diretto: in Medal of Honor per Pc, i primi livelli hanno una tensione narrativa altissima dovuta ad una certa ricostruzione di alcune situazioni; prendiamo il primo livello; l'arrivo al villaggio in incognito sul camion, l'essere smascherati, lo scontro a fuoco e l'assalto che ne consegue, la battaglia nel villaggio ecc. alla fine ci troviamo a fare quello che si fa in ogni FPS ma, il tutto, è "rivestito" e appare diverso. quella sequenza ha una forte narratività per il suo comprendere elementi fortemente "narrativi" nel senso classico del termine. è facile rendersi conto che, se avessimo iniziato la solita missione solitaria partendo da dietro una duna e senza l'adrenalinicità dell'assalto... non sarebbe stato la stessa cosa.
    la cosa è verificabile anche confrontando i primi livelli di gioco con gli ultimi che si attestano su dei canoni banali e che sono il vero punto debole del gioco.
    Ma la tensione narrativa non è la suspense... La tensione narrativa è ciò che viene raccontato. La tensione non indica un'emozione dell'utente, bensì la propensione a raccontare, in variabile quantità e qualità, un qualcosa all'utente stesso.

  25. #175
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Karat45 ha scritto mar, 17 giugno 2003 17:05

    ma cosa ci permette di distinguere un esperienza buona da una cattiva? cos aci permette di affermare che questa continua fuga dal reale non produca un effetto contrario e che "imprigioni" il giocatore? siamo sicuri che sia così semplice "uscire" dall'esperienza ludica e riprendere il contatto con la realtà? o, proprio perché di "giocare" (in senso antropologico) stiamo parlando, il gioco è anche, automaticamente, maestro e veicolo di cultura (nel bene e nel male)?
    Il gioco riproduce delle esperienze di vita senza pressioni esterne. E' un metodo conoscitivo preziosissimo per i bambini.

    Il problema sorge quando il videogioco non riproduce alcunché... Alcuna avventura con una controparte reale: manca il secondo termine di paragone.

Pag 7 di 12 PrimaPrima ... 56789 ... UltimaUltima

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  • Il codice BB è Attivato
  • Le faccine sono Attivato
  • Il codice [IMG] è Attivato
  • Il codice HTML è Disattivato