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  1. #201
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Purtroppo, per l'analisi, sarò assente.
    Ci vediamo ad agosto...

  2. #202
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    beh, direi che si inizierà a fare sul serio quando saremo un pò tutti... dobbiamo anche aspettare l'apertura del forum...

  3. #203
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Karat45 ha scritto gio, 24 luglio 2003 alle 20:31
    beh, direi che si inizierà a fare sul serio quando saremo un pò tutti... dobbiamo anche aspettare l'apertura del forum...
    Già. Però è bello constatare che la passione non s'è smorzata, da aprile ad oggi.
    Abbi fede.

  4. #204
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Emack ha scritto gio, 24 luglio 2003 alle 20:33
    Karat45 ha scritto gio, 24 luglio 2003 alle 20:31
    beh, direi che si inizierà a fare sul serio quando saremo un pò tutti... dobbiamo anche aspettare l'apertura del forum...
    Già. Però è bello constatare che la passione non s'è smorzata, da aprile ad oggi.
    Abbi fede.
    credo che la cosa interessi a molte persone... spero che la cosa interessi a molte persone

  5. #205
    Lo Zio L'avatar di WhiteKen
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Karat45 ha scritto gio, 24 luglio 2003 alle 20:35
    Emack ha scritto gio, 24 luglio 2003 alle 20:33
    Karat45 ha scritto gio, 24 luglio 2003 alle 20:31
    beh, direi che si inizierà a fare sul serio quando saremo un pò tutti... dobbiamo anche aspettare l'apertura del forum...
    Già. Però è bello constatare che la passione non s'è smorzata, da aprile ad oggi.
    Abbi fede.
    credo che la cosa interessi a molte persone... spero che la cosa interessi a molte persone
    Interessa a molte persone


    ma le tag... non saprei da che parte rifarmi...

  6. #206
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi


  7. #207
    Lo Zio L'avatar di WhiteKen
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Usare il motore di Postal 2 per una mostra??

    l'idea è buona, ma il motore di postal... e la possibilità di vandalizzare tutto....mi sempra eccessivamente provocatoria.

    Il mod del grande fragtello devo averlo provato per quake III, ma mi sembra c'entri poco con quello fatto in questo caso.

  8. #208
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    WhiteKen ha scritto mer, 30 luglio 2003 alle 08:44
    Usare il motore di Postal 2 per una mostra??

    l'idea è buona, ma il motore di postal... e la possibilità di vandalizzare tutto....mi sempra eccessivamente provocatoria.

    Il mod del grande fragtello devo averlo provato per quake III, ma mi sembra c'entri poco con quello fatto in questo caso.
    non esiste nulla di eccessivamente provocatorio..

  9. #209
    Lo Zio L'avatar di WhiteKen
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Si forse è vero... però il motore di Postal fa schifo...


    e come si farà ad urinare fino ai quadri...mi sa che non ci arrivo...

  10. #210
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    in attesa dell'ars ludica lo riporto in alto ponendo una domanda:

    abbiamo fin qui intrapreso questo lungo discorso (chi non lo ricordasse può rileggersi il topic); ma, è lecito un discorso del genere?

  11. #211
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    E' lecito solo se tengono bene in mente le meccaniche di costruzione di un titolo videoludico. I voli pindarici poterebbero a della sovraletteratura forse affascinante, ma inutile.

  12. #212
    Veterano del Backstage L'avatar di Karat45
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    questo topic se ne va dritto in Ars Ludica

  13. #213
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    E, nel frattempo, mi autoquoto.

    Quote:
    E' lecito solo se tengono bene in mente le meccaniche di costruzione di un titolo videoludico. I voli pindarici poterebbero a della sovraletteratura forse affascinante, ma inutile.

  14. #214
    Lo Zio L'avatar di gangio
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Ho letto il topic offline, quindi non gli articoli linkati.

    Che cos’è un videogioco?
    Questa domanda mi fa venire in mente l’Attimo fuggente ed il professor Keating che fa strappare la pagina del manuale in cui si vuole definire la poesia con un grafico cartesiano.
    Ebbene, anche se non sono professore, vi invito a strappare la pagina del Coleridge – Emack in cui si tenta di definire oggettivamente cos’è un videogioco, o teatro interattivo.
    Teatro interattivo è una definizione che mi piace abbastanza, però rimane pur sempre una definizione molto riduttiva.
    Un piccolo passo indietro, venticinque anni direi che possono bastare.
    Quando ero bambino mi divertivo a giocare con le automobiline, scala 1:24, ne avevo moltissime.
    Le facevo muovere sul tappeto simulando l’accelerazione, con molta cura, ripetendo il movimento molte volte, finché non mi sembrava sufficientemente realistico. E naturalmente imitavo il rumore del motore con suoni catarrosi e grande profusione di sputacchi.
    Sapete perché mi divertivo? Non certo per la suspension of disbelief che andrò a confutare tra poco.
    Mi divertivo perché le regole le facevo io.
    Ero regista, attore, sceneggiatore, scenografo e spettatore, ed ero affittuario del solo teatro, delle sole pareti.
    La stessa cosa vale per i videogiochi. Le regole imposte dal gameplay (oggettive) sono secondarie rispetto alla libertà di decisione (soggettiva).
    Muovere un personaggio virtuale su schermo non è diverso dal far correre un’automobilina su un tappeto.
    Il tappeto, con le sue linee e figure geometriche, poteva diventare una città con vie ed isolati da rispettare.
    Il gameplay di un videogioco è qualcosa di più rigido, di preimpostato, ma rimane sempre la possibilità di aggirare le regole o di sottrarsi ad esse.
    La libertà di decisione è il vero gameplay.

    La sospensione d’incredulità si attua per superare la dissomiglianza, la differenza con il mondo di cui siamo protagonisti.
    Ma nel momento in cui entriamo nello schermo la sospensione non è più necessaria.
    Il cinema, la televisione ed il teatro non sono interattivi, non possiamo influire sullo svolgersi degli eventi. L’immedesimazione nella finzione diviene allora l’unico motivo di interesse.
    In un videogioco è diverso.
    Accade qualcosa di più (o di diverso) di un’immedesimazione, perché la finzione è solo apparente, superficiale.
    Prendiamo Half Life.
    La finzione si riassume nel fingere (scusate il game of words) di essere uno scienziato. Oddio, mi sfugge il termine tecnico che indica questo aspetto del videogioco, spero capiate lo stesso.
    Ma il vero gameplay,che accomuna tutti i videogiochi, è che sono io che decido se muovermi o stare fermo, quale arma usare, quali mostri uccidere per primi.
    Quindi, secondo me, caratteristica fondamentale di un videogioco, struttura portante e di base, è il decision making, che è praticamente lo stesso della vita cosiddetta reale.
    Riassumendo, la sospensione d’incredulità non è il vero motivo che ci fa apprezzare un videogioco.
    Il vero motivo d’interesse è che siamo noi che abbiamo in mano le redini del gioco, molto semplicemente.
    La coerenza diviene quindi molto secondaria, a mio parere.
    “Non deve intaccare il gameplay”.
    Mah…non sono molto d’accordo, se non nel caso s’intenda che non è possibile prendere decisioni, e non mi viene in mente nessun esempio plausibile.
    In un videogioco tutto è possibile, così come nella nostra fantasia.
    L’importante è possederne a sufficienza per trovare una spiegazione assurda per un evento altrettanto assurdo.
    Se in GTA3 ad un certo punto atterrassero i marziani non credo che nessuno si scandalizzerebbe. O forse sì, qualcuno smetterebbe di giocare, ma ci sarebbe anche chi troverebbe la cosa stimolante e si darebbe da fare per trasformare il proprio mariuolo virtuale nel difensore dell’umanità.
    La coerenza non mi sembra proprio un problema, anzi, il non-sense ed il surreale mi affascinano moltissimo. E l’imprevedibilità, il colpo di scena, eddai!

    Poi mi pare Karat insistesse sulla narrazione ad ogni costo, in ogni caso.
    Sono abbastanza d’accordo. La narrazione è insita nello spazio-tempo e non è eliminabile. Anche se ovviamente ci sono vari livelli ed in senso stretto essa avviene solo laddove ci vengono forniti elementi oggettivi da cui partire (ma, scusate se insisto, la narrazione non è mai oggettiva, tanto meno in un videogioco dove la soggettività è intrinseca, strettamente intrecciata con il dipanarsi della trama).

    Il punteggio.
    La trasposizione del voto scolastico, dello stipendio, dello status sociale.
    Siamo animali e come tali siamo competitivi.

    La possibilità di riprovare.
    Eh, questa sì che è una caratteristica che ci farebbe comodo nella real full life.
    La possibilità di ricreare lo spazio-tempo merita un po’ di sospensione e un po’ d’incredulità.
    L’immortalità affascina, è un desiderio inconscio ed atavico che è sfociato nell’invenzione del reload. Questo mi fa riflettere su quanto sia potente la creazione di una realtà virtuale, seppur ancora molto semplice.
    Immortalità a cui tutti aspiriamo, che è diversa dall’invulnerabilità che ci farebbe perdere il gusto del gioco, della sfida. Infatti il God Mode è abbastanza noioso, non vi pare?

    Ho letto una frase di Emack che mi ha lasciato basito.
    “Per comprendere un libro bisogna prima considerare le cause eziologiche che hanno portato l’autore a scriverlo.”
    Argh!
    Ma cosa cavolo stai dicendo, Emack?
    Questo tuo storicismo, questo tuo eziologismo, questo tuo pensare all’indietro mi lascia esterrefatto.
    Un libro è un’entità a se stante e può essere compreso in quanto tale, non come facente parte di un tutto inconoscibile (perché se per capire il libro devi capire l’autore, allora devi anche capire l’ambiente in cui è vissuto l’autore, le persone che ha conosciuto, e così via sia al big bang, e non mi sembra fattibile).

    Cos’è allora un videogioco?

    Nei videogiochi troviamo le tre attività principali della mente umana:
    - Attività senso-motoria (sparare, saltare)
    - Attività immaginifica (l’avventura, l’esplorazione)
    - Attività logico spaziale (strategia)

    Allora, secondo me, un videogioco è un gioco, ed un gioco è una finzione di cui siamo protagonisti, e a volte vittime, non dimenticatelo mai.

    Alcune critiche accessorie al post iniziale.

    Quote:
    <<In ogni imitazione devono coesistere due elementi e non solo coesistere, ma anche essere percepiti come coesistenti. Questi due elementi costitutivi sono somiglianza e dissomiglianza, o identità e differenza, e in tutte le autentiche creazioni artistiche deve esserci l'unione di questi elementi diversi>>
    Mah…mi sembra così inutile questa definizione. Un’imitazione non è già di per sé una dissomiglianza camuffata da somiglianza percepita come tale? Non mi viene in mente una sola imitazione che non sia tale, che non soddisfi tali requisiti. Ancora una volta vedo una volontà di oggettivazione che finisce per diventare superflua, banale.

    Quote:
    Questa simultanea percezione degli opposti (di derivazione kantiana) fa da sfondo alla definizione della finalità del teatro nell' <<imitare la realtà avendo sembianza di realtà>>,
    Finalità del teatro non è l’imitazione della realtà, ma fornire una chiave di lettura della realtà. Quindi l’imitazione è mezzo e non fine.

    Quote:
    i drammi <<devono produrre una specie di temporanea fede a metà, che lo spettatore incoraggia in se stesso e sostiene e sostiene per mezzo di un volontario contributo personale>>.
    Questa è la differenza tra una buona rappresentazione ed una rappresentazione noiosa, non la definizione…oggettiva di rappresentazione.
    L’incoraggiamento avviene solo se il soggetto trova motivi d’interesse, altrimenti si alza o si addormenta.
    Quindi manca un aggettivo: “i buoni drammi devono produrre….” o “i buoni drammi sono quelli che producono….”

    Quote:
    Il paragone del dramma al sogno permette di comprendere meglio:
    <<Nel sonno noi passiamo all’istante, con un improvviso sprofondamento, in questa sospensione della volontà e del suo relativo potere: mentre in un dramma interessante, letto o rappresentato, veniamo portati a questa condizione, nella misura in cui è necessaria o piacevole, gradualmente, dall’arte del poeta e degli attori; e con il consenso e l’aiuto effettivo della nostra stessa volontà. Noi scegliamo di essere ingannati>>.
    All’istante? No. Improvviso sprofondamento? No. Sospensione della volontà? No.
    Sogni lucidi, in cui si è in grado di guidare il sogno, di indirizzarlo, sono quanto di più vicino ad un videogioco. Il videogioco come materializzazione del sogno è una definizione che mi piace molto, anche se serve poco allo scopo di questo topic.
    Scegliamo di essere ingannati? Sì, ok, ma permane una distanza ben più lunga di quella che separa dal palcoscenico. Distanza che viene annullata nel videogioco.

    Quote:
    Quand’è che un videogioco risulta più efficace? La risposta, a questo punto, appare scontata: quando ci consente senza remore la scelta di essere ingannati. Cioè quando la sua natura oscilla fra ciò che noi vogliamo sia rappresentato e ciò che, invece, sappiamo debba essere rappresentato.
    Ah, ma allora ho capito male io. Non si tratta di stabilire cos’è un videogioco, ma cos’è che rende bello un videogioco.
    Beh, non sono comunque d’accordo, perché non è la coerenza con il nostro background culturale a fare di un gioco un buon gioco.
    Questa, come ha detto Karat, è una definizione che si può applicare anche alle spazzole elettriche.
    I canoni sono ciò che di più culturale, di più soggettivo, ci possa essere.
    Eppure sembra che ci siano giochi oggettivamente belli e giochi oggettivamente brutti.
    Non ho ancora sentito nessuno dire da qualcuno che HL non è un bel gioco.
    Eppure a me non ha entusiasmato come Tomb Raider, per esempio.
    Tomb Raider mi è piaciuto di più perché preferisco l’esplorazione e la risoluzione di enigmi alle sparatorie. La grafica è accettabile in entrambi i casi, non fa gridare al miracolo, ma non intacca nemmeno il gameplay, come mezzo svolge bene il proprio compito, insomma.
    E qui mi fermo, ho scritto molto e, stringi stringi, detto molto poco.

    Sono stato troppo pindarico?









  15. #215
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Secondo me il problema sta nel fatto che ci poniamo troppo dalla parte di chi i videogiochi li gioca, e troppo poco dalla parte di chi i videogiochi li fa.
    Ecco il perché della frase che ti ha lasciato basito.
    Si può afferrare il significato di un libro anche leggendolo una sola volta, velocemente e senza soffermarsi troppo in approfondimenti.
    Ma per comprendere la sua ragion d'essere, beh, bisogna indagarne le cause eziologiche.
    Altrimenti si subisce passivamente dei contenuti, e solo parzialmente si è in grado di rielaborarli.

    Quando lessi per la prima volta il De Bello Gallico, attorno ai quindici anni, lo trovai oltremodo antiestetico, sebbene ne avessi percepito il contenuto.
    Studiando Cesare, e studiandone i contesti, invece, sono riuscito ad inquadrarlo, e quell'antiesteticità sono riuscito a scomporla in uno stile, in una motivazione secondo la quale il famoso futuro imperatore avesse scelto un tipo di registro, di lessico, e lo avesse usato per comunicare.
    Per riprendere le mie stesse parole, avevo raggiunto la sua ragion d'essere, ciò per cui era nato.

    Ancora un altro esempio.
    Il Black Metal. Ad un primo ascolto è odioso. Lo si trova ripetitivo, puerile ed, in linea generale, futile.
    Ma andando a scavare nelle liriche, andando ad indottrinarsi circa la filosofia che vi è dietro, si è poi in grado di capire perché quei musicisti suonino così.

    No, non abbandonerei mai il biasimato storicismo. Per me è troppo importante stabilire il chi, il come, il quando, il dove, il perché. Soprattutto il come e il perché.

  16. #216
    Il Nonno L'avatar di Ph@ntom
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Quote:
    Samuel T. Coleridge:
    <<In ogni imitazione devono coesistere …

    Rapportiamo questi concetti ad un videogioco. Quand’è che un videogioco risulta più efficace? La risposta, a questo punto, appare scontata…
    Nella foga di far proprio quel trinomio e di “vomitarlo” sull’argomento di nostro interesse, non ci siamo accorti che nella riga saltata del mio quote, andrebbe messo molto più di…una semplice riga vuota.
    La stonatura più grave è il procedimento assunto come automatico che rende traslabile il discorso di Coleridge dal teatro al videogioco, come se quest’ultimo fosse la naturale conseguenza della disciplina artistica oggetto di analisi del poeta. E da ciò l’erronea interpretazione del videogioco come “teatro interattivo”. Nulla di più sbagliato. Il tutto è confutabile con semplici esempi ma attenzione, non è l’interattività l’ostacolo di questa operazione, ma l’assenza di qualcos’altro, vediamo cosa intendo.
    Prendiamo giochi come Pong o Super Mario Bros. E Teniamo conto che il teatro è rappresentazione di una storia e che la sospensione di incredulità si attua nell’immedesimazione. Ora che immedesimazione dovrebbe sussistere in Pong e Mario Bros.? Non può essere la storia, la trama l’attrattiva di questi due giochi. Eh certo, non esiste! Dunque mi autoinganno volontariamente per rendere più immersiva l'esperienza? Mmh, non credo, ne verrebbe fuori qualcosa di troppo forzato, troppo palese. Abbracciando le teorie novelle di Gangio, sono più propenso ad affermare che l’”attenzione” estasiaca del videogioco derivi decisamente dall’interattivà, che esterofilmente il nostro denomina decision making (cambiando le carte in tavola, ma il potere decisionale è conseguenza dell’interattività, dopotutto. Sarebbe un discorso da approfondire).
    Poi bisogna saper distinguere, Pong e Super Mario sono vecchi esempi ed appartengono ad un genere che mal si presta. Karat, invece, portava Half Life, che però, bisogna ricordarlo, ha molto più “teatro” dei due sopra citati, possiede una trama. E allora il discorso di Coleridge è lecito (se sottoscritto dunque ad una parzialità del panorama videoludico).
    E’ un piccolo distinguo, lo ammetto, anche perché Pong e Mario oggi non esistono più, forse perché la sospensione dell’incredulità è veramente la discriminante tra un gioco bello ed uno brutto (ed i produttori captano le preferenze della gente). Ma è doveroso e fondamentale per poi capire a fondo l’essenza del videoludo.
    In definitiva videogioco<->interattività; susp. of disbelief<->trama; susp.of disbelief nel videog. = valore aggiunto

    Spero che il tutto abbia un senso, e se non lo ha, perdonatemi, è tardi.


  17. #217
    Lo Zio L'avatar di gangio
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Emack, messa così la questione ha tutt'altro valore. Ciònonostante resto dell'opinione che l'essenza di un libro si può cogliere nel solo libro. Ma forse questa è ancora la differenza tra un buon libro ed un'accozzaglia di parole.
    Se un videogioco è un bel videogioco, conoscere la vita privata dei programmatori può essere utile per una visione sinottica, e non dico che questo non possa essere piacevole, ma l'essenza non è nella conoscenza del tutto. Di questo sono convinto.
    Sapere che quel particolare mostro è stato disegnato così perché è l'incubo ricorrente del game designer, ripeto, può essere piacevole e divertente, ma non toglie nulla all'esperienza in sé, aggiunge qualcosa a posteriori, qualcosa di accessorio e non fondamentale.

    [email
    Ph@ntom[/email] ha scritto dom, 18 gennaio 2004 alle 01:19]
    La stonatura più grave è il procedimento assunto come automatico che rende traslabile il discorso di Coleridge dal teatro al videogioco, come se quest’ultimo fosse la naturale conseguenza della disciplina artistica oggetto di analisi del poeta. E da ciò l’erronea interpretazione del videogioco come “teatro interattivo”. Nulla di più sbagliato.
    Sono d'accordo sulla non traslabilità, ma io stesso ho scritto che non mi convinceva appieno la definizione, che era riduttiva, ma definirla "sbagliata" mi sembra un po' troppo.

    Quote:
    Il tutto è confutabile con semplici esempi ma attenzione, non è l’interattività l’ostacolo di questa operazione, ma l’assenza di qualcos’altro, vediamo cosa intendo.
    Prendiamo giochi come Pong o Super Mario Bros. E Teniamo conto che il teatro è rappresentazione di una storia e che la sospensione di incredulità si attua nell’immedesimazione. Ora che immedesimazione dovrebbe sussistere in Pong e Mario Bros.? Non può essere la storia, la trama l’attrattiva di questi due giochi. Eh certo, non esiste!
    Mah...io e Karat abbiamo una concezione più ampia di narrazione. Leggiti l'esempio del muro fatta da lui.

    Quote:
    Dunque mi autoinganno volontariamente per rendere più immersiva l'esperienza? Mmh, non credo, ne verrebbe fuori qualcosa di troppo forzato, troppo palese.
    E infatti ho detto che in un videogioco la sod non è necessaria, proprio perché c'è interattività.

    Quote:
    Abbracciando le teorie novelle di Gangio, sono più propenso ad affermare che l’”attenzione” estasiaca del videogioco derivi decisamente dall’interattivà, che esterofilmente il nostro denomina decision making (cambiando le carte in tavola, ma il potere decisionale è conseguenza dell’interattività, dopotutto. Sarebbe un discorso da approfondire).
    Oh, qui niente da dire.
    Comunque sì, il potere decisionale dipende dall'interattività, ma è un potere decisionale immanente, non trascendente come quello che abbiamo sulla tv o sul cinema.


    Quote:
    Poi bisogna saper distinguere, Pong e Super Mario sono vecchi esempi ed appartengono ad un genere che mal si presta. Karat, invece, portava Half Life, che però, bisogna ricordarlo, ha molto più “teatro” dei due sopra citati, possiede una trama. E allora il discorso di Coleridge è lecito (se sottoscritto dunque ad una parzialità del panorama videoludico).
    E’ un piccolo distinguo, lo ammetto, anche perché Pong e Mario oggi non esistono più, forse perché la sospensione dell’incredulità è veramente la discriminante tra un gioco bello ed uno brutto (ed i produttori captano le preferenze della gente). Ma è doveroso e fondamentale per poi capire a fondo l’essenza del videoludo.
    In definitiva videogioco<->interattività; susp. of disbelief<->trama; susp.of disbelief nel videog. = valore aggiunto
    Sod come valore aggiunto? Beh, sì, mi sta bene.
    Anche se più che di sospensione preferirei parlare di collimazione tra il background personale e quello dei programmatori.
    Sospensione è troppo legato alla realtà percepita come tale, mentre è la fantasia il vero termine di paragone.

    Quote:
    Spero che il tutto abbia un senso, e se non lo ha, perdonatemi, è tardi.
    L'annoso problema dei cervelli che si trasformano in zucca dopo la mezzanotte, e di cui tu non mi sembri affetto.

  18. #218
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    gangio ha scritto dom, 18 gennaio 2004 alle 03:56
    Emack, messa così la questione ha tutt'altro valore. Ciònonostante resto dell'opinione che l'essenza di un libro si può cogliere nel solo libro. Ma forse questa è ancora la differenza tra un buon libro ed un'accozzaglia di parole.
    Se un videogioco è un bel videogioco, conoscere la vita privata dei programmatori può essere utile per una visione sinottica, e non dico che questo non possa essere piacevole, ma l'essenza non è nella conoscenza del tutto. Di questo sono convinto.
    Sapere che quel particolare mostro è stato disegnato così perché è l'incubo ricorrente del game designer, ripeto, può essere piacevole e divertente, ma non toglie nulla all'esperienza in sé, aggiunge qualcosa a posteriori, qualcosa di accessorio e non fondamentale.
    Qui bisogna usare la zucca ().
    Che ci frega della vita privata dei programmatori? Assolutamente nulla. E' ininfluente. Perché un videogame non è un libro, dunque bisogna operare le dovute proporzioni.
    Ma riuscire a capire perché quel mostro è stato messo lì, i criteri mediante i quali è stato concepito un gameplay è fondamentale.
    Altrimenti si rischia di fare "sovraletteratura". Accessoria, ma non determinante, né definitiva.

    Quote:

    L'annoso problema dei cervelli che si trasformano in zucca dopo la mezzanotte, e di cui tu non mi sembri affetto.
    Hai ragione: Phantom ha un cervello resistente

  19. #219
    Emack
    ospite

    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Così nasce un gioco.

    da http://www.gamedev.net/reference/article s/article273.asp

    Game Design in Six Easy Steps


    - All games should begin with a design treatment, i.e., a quick - discussion of your product's unique features and target audience.
    - Then, you should move to a preliminary design, discussing the game's rules, content and behaviour in a purely qualitative way. This document should be circulated and discussed as widely as possible given the situation.
    - A final design is a re-write of the previous document, which etches the product's features in stone.
    - The product specification (which only really makes sense for interactive products) details how the features adopted in the final design will be implemented.
    - The graphic bible determines the look and feel of the game's characters, maps, props, etc.
    - The interactive screenplay, if appropriate, contains the dialogs and the storyline implemented into the product.

  20. #220
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    gangio ha scritto dom, 18 gennaio 2004 alle 03:56


    Mah...io e Karat abbiamo una concezione più ampia di narrazione. Leggiti l'esempio del muro fatta da lui.
    Ah si ho presente. Una narrazione intrinseca o immanente, si può definire così?

    Quote:
    Oh, qui niente da dire.
    Comunque sì, il potere decisionale dipende dall'interattività, ma è un potere decisionale immanente, non trascendente come quello che abbiamo sulla tv o sul cinema.
    Ma, a mio avviso, sono due facce della stessa medaglia, si parla dello stesso potere decisionale.
    Non puoi negare che anche il videogame abbia una componente reale. Il potere decisionale, per dire così, trascendente è presente per forza di cose. Infatti si attua nell'interazione con la tastiera/manopola/Mouse/ecc. (come nella televisione abbiamo il telecomando), e solo poi si travasa nel potere decisionale "virtuale" e diventa immanente.
    Dunque TV o cinema hanno qualcosa in meno del videogioco, a mio avviso, cioè l'impossibilità di traslare il potere decisionale del reale nell'esperienza vissuta. E cioè l'interattività.
    torna tutto?
    Comunque non credo di aver detto cose che ti smentiscano, solo delle precisazioni.

    Quote:

    Quote:
    Spero che il tutto abbia un senso, e se non lo ha, perdonatemi, è tardi.
    L'annoso problema dei cervelli che si trasformano in zucca dopo la mezzanotte, e di cui tu non mi sembri affetto.
    Oh, ringrazierò il mio neurone da parte vostra

  21. #221
    Emack
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Le interattività televisiva e videoludica hanno entrambe matrici passive: cambia solo il grado.

  22. #222
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    Emack ha scritto dom, 18 gennaio 2004 alle 12:30

    Qui bisogna usare la zucca ().
    Che ci frega della vita privata dei programmatori? Assolutamente nulla. E' ininfluente. Perché un videogame non è un libro, dunque bisogna operare le dovute proporzioni.
    Ma riuscire a capire perché quel mostro è stato messo lì, i criteri mediante i quali è stato concepito un gameplay è fondamentale.
    Altrimenti si rischia di fare "sovraletteratura". Accessoria, ma non determinante, né definitiva.
    Argomento interessante, meriterebbe un topic apposta.
    Brevemente posto la mia: per apprezzare artisticamente la fruizione di un'opera, secondo me non sono necessari studi eziologici. Da un punto di vista artistico però. Per comprendere l'autore (non l'opera, l'autore), invece sarebbero opportuni. Sarebbero utili poi per inquadrare un certo periodo artistico.
    Ma ammetto di essere confuso in merito alla questione.


  23. #223
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Emack ha scritto dom, 18 gennaio 2004 alle 13:24
    Le interattività televisiva e videoludica hanno entrambe matrici passive: cambia solo il grado.
    Scritta così non sono d'accordo. Perchè interattività passiva il videogioco? Forse è quel "matrici"...dovresti spiegarti meglio.

  24. #224
    Lo Zio L'avatar di gangio
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Emack ha scritto dom, 18 gennaio 2004 alle 12:30
    gangio ha scritto dom, 18 gennaio 2004 alle 03:56
    Emack, messa così la questione ha tutt'altro valore. Ciònonostante resto dell'opinione che l'essenza di un libro si può cogliere nel solo libro. Ma forse questa è ancora la differenza tra un buon libro ed un'accozzaglia di parole.
    Se un videogioco è un bel videogioco, conoscere la vita privata dei programmatori può essere utile per una visione sinottica, e non dico che questo non possa essere piacevole, ma l'essenza non è nella conoscenza del tutto. Di questo sono convinto.
    Sapere che quel particolare mostro è stato disegnato così perché è l'incubo ricorrente del game designer, ripeto, può essere piacevole e divertente, ma non toglie nulla all'esperienza in sé, aggiunge qualcosa a posteriori, qualcosa di accessorio e non fondamentale.
    Qui bisogna usare la zucca ().
    Che ci frega della vita privata dei programmatori? Assolutamente nulla. E' ininfluente. Perché un videogame non è un libro, dunque bisogna operare le dovute proporzioni.
    Ma riuscire a capire perché quel mostro è stato messo lì, i criteri mediante i quali è stato concepito un gameplay è fondamentale.
    Altrimenti si rischia di fare "sovraletteratura". Accessoria, ma non determinante, né definitiva.
    Hai ragione, bisogna usare la zucca, poiché la sovralettura è operata solo da quelli che probabilmente non sono nemmeno in grado di capire il come ed il perché, né di un libro né di un videogioco.
    Se vuoi si chiama apertura mentale.
    A questo punto però proseguiamo nel topic che ho appositamente creato dal nulla.

    Edit: per sovralettura intendo una comprensione superficiale o totalmente deviata dall'intento originale

  25. #225
    Lo Zio L'avatar di gangio
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    Predefinito Re: Coleridge ed i videogiochi

    Ph@ntom ha scritto dom, 18 gennaio 2004 alle 13:34
    Emack ha scritto dom, 18 gennaio 2004 alle 13:24
    Le interattività televisiva e videoludica hanno entrambe matrici passive: cambia solo il grado.
    Scritta così non sono d'accordo. Perchè interattività passiva il videogioco? Forse è quel "matrici"...dovresti spiegarti meglio.
    Ovviamente c'è un grado di passività anche nel videogioco.
    Tra rincitronirsi davanti alla tv e giocare a un vg c'è la stessa differenza che c'è tra il lurkare solamente ed il partecipare attivamente alla discussione su un forum.
    L'impegno è decisamente diverso.

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