Per la serie "abbiamo tempo da perdere", o l'interessante spin-off "soldi buttati via", segnalo oggi l'imperdibile studio (eh) condotto dall'organizzazione non governativa svizzera per la difesa dei diritti umani TRIAL e l'associazione per i diritti dell'infanzia Pro Juventute che analizza la "compatibilità" tra diversi videogame e il rispetto dei diritti umani e delle leggi internazionali sui crimini di guerra. La domanda che i ricercatori si sono posti è se "talune scene e atti compiuti dai giocatori costituirebbero violazione di suddette leggi qualora fossero reali e non virtuali".
E questa frase, che poi rappresenta il nocciolo dello studio, rappresenta proprio il "punto mancato" dell'editoriale di oggi. Non è forse vero che il concetto implicito ma ovvio di un videogame è proprio quello di non essere reale? L'obiettivo degli studiosi è "aprire un gialogo con sviluppatori e publisher per inserire all'interno dei propri prodotti le basi delle leggi sui diritti umani", ma a quale pro? Che senso ha obbligare chi sviluppa un gioco a creare "distinzioni nette tra militari e civili, tra bersagli tattici e non, vietare l'attacco di obiettivi civili e trattare in maniera umana coloro i feriti o che hanno deposto le armi"?
Attenzione che non sto dicendo che va bene ammazzare un civile a sangue freddo in un qualsiasi gioco, o che mi auspico l'arrivo di un curatissimo e iper-realistico SimTorture, a cui peraltro non credo che giocherei. Non mi piace proprio l'idea che non si possa sviluppare a prescindere (tanto poi immagino il successo che avrebbe, eh, come no, saremo ai livelli di Madden come vendite, sicuro), o che il gameplay debba venire in qualche modo "azzoppato" per rispetto di leggi del mondo vero che in un mondo fittizio perdono completamente di significato.
Il bello di un videogame è proprio l'avere a che fare con una realtà che non è la nostra, e che si possono fare un sacco di cose che normalmente - e per fortuna! - non ci sogneremmo mai di fare nel mondo reale. Già ultimamente i videogiochi se la menano un casino con l'essere il più possibole politically correct altrimenti i media li fanno a fette (con poche eccezioni di chi se ne può sbattere altamente, tipo Rockstar); già adesso gli sviluppatori ci fanno una testa così con la libertà d'azione nel mondo di gioco e le conseguenze delle azioni del protagonista, molto più che in passato. E ditemi voi se quest'ultimo aspetto non è già un bel passo avanti rispetto anche solo a dieci anni fa.
Altrimenti la china lungo la quale si rischia di scivolare è che un domani qualche associazione di vittime di incidenti stradali comincerà a chiedere che nei giochi di guida compaiano avvertimenti ogni volta che si supera il limite di velocità o che si passa con il rosso a un semaforo. Cosa dobbiamo fare? Mettere un avviso ogni volta che lanciamo "Campo Minato" ricordando che il suicidio non è mai un'opzione, e mettere il numero verde di qualche associazione di counseling? Perché Campo Minato quello è: una roulette russa digitale.
Infine, una cortesia per i ricercatori: quando parlate di un videogame, non dico di giocarlo per avere una vaga idea di ciò di cui state parlando, ma "ricercate" su Google almeno il nome. Leggere un intero paragrafo dedicato a "Metal Gear Soldier 4" di Konami fa perdere quel minimo di credibilità e interesse che l'articolo può avere.