Crisi greca ma non solo. Serve un nuovo spirito comunitario Non lasciamo che l'Europa
ritorni in pasto ai nazionalismi
di Daniel Arbib Tiberi Dove va l’Unione Europea? Dare una risposta a questa domanda, in questo momento, risulta davvero difficile. I paesi dell’area del Mediterraneo rimangono estremamente fragili e, quanto successo alla Grecia, potrebbe accadere in Spagna, Portogallo e in Italia. Alla prova dei conti, davanti ad una crisi vera, piuttosto che trovare una soluzione comune l’Ue si sta spaccando in due tronconi: quanti ritengono giusto aiutare Atene a risollevarsi economicamente e, sul fronte opposto, quanti ritengono che il governo greco debba agire praticamente da solo. L’Italia, tramite il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, guida la “coalizione degli interventisti”. Secondo Draghi, infatti, «quella della Grecia e' una crisi di bilancio e si interviene solo con un impegno diretto e immediato». Il vero problema è la “coalizione degli isolazionisti”, guidata dalla Germania del cancelliere Angela Merkel. La Merkel, in maniera molto chiara, ha ribadito il “no” a un qualsiasi aiuto diretto alla Grecia, impedendo così all’Eurogruppo e all’Ecofin di approvare un piano di aiuti per il risanamento economico greco. In aggiunta, per non lasciare spazio a dubbi, il cancelliere tedesco ha paventato l’esclusone dalla zona euro dei paesi inadempienti. Insomma, per dirla in parole povere, l’Europa Unita sembra nuovamente incapace di determinare una posizione comune in un momento delicato di crisi internazionale. Al di là di questa singola questione, la posizione delle Germania in Europa merita un’attenzione particolare. Da sempre stretta geopoliticamente a ovest dalla Francia e a est dalla Russia, Berlino ha, negli anni passati, pensato di risolvere questo suo stato di fragilità liberandosi dei due potenziali nemici attraverso un rapido attacco militare (il famoso Piano Schilieffen). I milioni di morti della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, testimoniano la pericolosità di un simile progetto. Il vero successo tedesco è venuto con l’unificazione europea. La divisione della Germania durante la Guerra Fredda, con tutte le sue drammatiche conseguenze, permise una stabilizzazione dell’area: da una parte una Germania Ovest legata economicamente alla Francia e militarmente alla Nato; dall’altra una Germania Est legata indissolubilmente all’Unione Sovietica.La caduta dell’Urss e delle democrazie popolari mandò in crisi l’equilibrio internazionale europeo. Il facile riconoscimento che la Germania concesse ai diversi Stati orientali della ex Jugoslavia (in primis la Croazia) impaurì non poco la Francia e l’Italia. L’allora Cancelliere tedesco Helmut Khol, però, riuscì a governare il processo di annessione della Germania Est e di apertura all’oriente rassicurando i suoi vicini. Come? Mettendo sul piatto l’istituzione più preziosa che i tedeschi possedevano dopo la crisi della Repubblica di Weimar: il marco. Rinunciando al marco - in cambio di una unione monetaria improntata alla lotta all’inflazione - la Germania dimostrò la sua buona fede e la voglia di mantenere completamente pacifico il Vecchio Continente. Quanto sta succedendo ora, invece, potrebbe rimettere in gioco l’intero sistema delle relazioni internazionali. Cosa succederebbe se davvero la Grecia uscisse dall’Eurozona? Il rischio è alto, anche perché, altri Stati economicamente fragili potrebbero presto seguirla altri. È vero: non è detto che un fallimento dell’euro implichi un fallimento dell’Unione Europea. Il rischio di una corsa al mero interesse nazionale, però, è comunque altissimo. Soprattutto in considerazione del ruolo di primo piano che, attraverso le materie prime, gioca oggi la Russia sul continente europeo. La firma del trattato sul North Stream tra Berlino e Mosca, chiarisce senza mezzi termini quanto sia fallace la politica estera comune dell’Unione Europea e quanto l’Ue sia incapace di tracciare una direzione comune sulle questioni strategiche di interesse generale. Cosa fare? Chiudersi a riccio, in fondo, non serve a nessuno. È comprensibile che Angela Merkel non voglia far pagare ai consumatori europei il prezzo della crisi, ma se a pagarlo saranno solamente i consumatori greci, la credibilità dell’Ue sarà davvero a rischio. Il pensiero corre quindi al Fondo monetario internazionale. Se davvero la Bce non deve intervenire, perché non pensare ad un’apertura concordata all’Fmi? A chi si arrocca sul discorso dell’orgoglio indipendentista europeo, basti ricordare il viaggio che il primo ministro greco George Papandreou ha recentemente fatto a Washington. Un chiaro messaggio: se incontrerà ancora ostacoli in Europa, Papandreou, potrebbe non farsi problemi a voltare radicalmente le spalle a Bruxelles. Non intervenire oggi con una politica comune chiaramente definita, quindi, servirà solamente a lasciare ai posteri una Europa più debole, screditata e nuovamente preda dei nazionalismi