Osama Bin Laden è morto. Lo hanno ucciso durante una missione lampo, di quelle che tanto ricordano gli scenari in moltissimi videogiochi di guerra. Osama Bin Laden non è solo morto, ma è sparito nel nulla, dopo una sommaria e rapidissima cerimonia funebre a bordo di una nave militare. O almeno, questo è quello che ci è stato raccontato. Un destino simile – se volete – a quello di moltissimi nemici dei videogiochi, le cui texture sono destinate a dissolversi nel giro di pochi secondi, o al limite a restare attrici non più pagate di qualche atto di rag-doll, fino al caricamento del livello successivo. Tutto ciò mi ha portato a riflettere un po’.
Devo essere sincero… non mi piace particolarmente il modo in cui viene sottovalutata l’importanza della morte all’interno dei videogiochi, soprattutto se a causarla siamo noi. Non per mano di un eroe in carne e ossa, certo. Pur tuttavia, con un personaggio verso il quale proviamo sovente una forte empatia. E allora, se gli sviluppatori hanno come primo scopo quello di coinvolgere lo spettatore giocante, rendendolo protagonista della loro pièce teatrale, anche l’avversario dovrebbe subire la stessa sorte. Se tu, designer di un Call of Honor a caso, fai di tutto per tirarmi dentro la tua guerra giocando sulla paura della “mia” morte, dovresti donare la stessa dignità al mio nemico. Dovresti ricordami almeno una volta che, nella guerra reale che cerchi di simulare in tutti i modi, c’è sempre un uomo dall’altra parte. Un altro che muore. Un altro che ha una famiglia che lo piangerà. Un altro che, indipendentemente dalle nefandezze compiute in vita, sta vivendo l’atto definitivo cui tutti saremo chiamati, prima o poi.
http://www.youtube.com/watch?v=GIFpu8GA3bI
Certo, stiamo pur sempre parlando di videogiochi. Ma se siamo tutti d’accordo a considerare il mezzo videoludico come la più recente forma espressiva dell'arte, occorre che il processo si porti davvero a maturazione. Non possiamo decidere che “tanto è un videogioco” quando ci fa comodo non accendere cervello e cuore, e poi lamentarci della posizione da Serie B che ancora costringe questo mondo a stare alcuni gradini sotto quello del cinema o della letteratura. Certamente, nessuno pretende di trovare nel prossimo Medal of Duty una scena come quella della morte del cecchino vietnamita in Full Metal Jacket… non ho la supponenza di sperare in uno come Kubrick dietro la tastiera invece che con in mano la macchina da presa. Credo però fermamente che sia giunto il momento di fare un passo in avanti nella fruizione di quei videogiochi dove la morte dell’altro è un passo dominante e reiterato. Vorrei davvero che, almeno in un passaggio (o in una cutscene), gli sviluppatori ci ricordassero che la morte del nemico, soprattutto se avviene per mano nostra, ha una dignità: non diamo per scontato che sia inesistente il rischio di assuefarsi all’indifferenza verso il pixel rosso. La ricerca del realismo a tutti i costi deve passare anche da qui.