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  1. #1
    Il Fantasma
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    Predefinito Opere di Psycopower90 - Italiano antico occasionale!

    Spero vi piacciano. Sono parte della raccolta di novelle e poesie che sto scrivendo. Alcune storie sono più difficili.


    Matador Extravagante

    Spoiler:

    Spoiler:

    Un cittadino Barcellonese, idolo delle folle, amatore, angelico d’aspetto. Un criminale Barcellonese, ignoto a chiunque, misantropo, demoniaco. Entrambi si rivelano a noi.
    Crescere a Barcellona non fu facile per me … per la mia famiglia … fu “economicamente semplice”.

    Effettivamente, eravamo ricchi.
    Forse, eravamo tra i più ricchi a Barcellona. Niente, tra i miei desideri, sarebbe potuto rimanere utopia.
    Era TUTTO mio.
    Possedevo soldi, amori, sfarzi.
    Tutto.
    Tutto terminava in un contesto: l’amore.
    Come figlio i miei due mi abiurarono, mi resero glabro nell’animo, essendo stato privato di un qualunque sentimento benevolo. Benché la mancanza di bontà da parte dei miei mi nocque, crebbi.
    Mia madre tanto era ammaliata di papà da non allargare i suoi fronti di visione. La tradiva, era tanto evidente che già all’età di otto anni intesi chiaramente.
    Che intelletto tordo mia madre possedeva: fu questa sua stupidità ad ucciderla. Non c’è spazio per gli stolti e vacui di sagacità al mondo; quantomeno non c’è spazio per l’obbrobrio. Entrambe le due categorie sono destinate alla costernazione. Il bello ed intelligente è degno di regnare.
    La mia vita consiste nel compiere una missione: debellare il brutto. Se ci riesco, ne sarò felice.
    Il mondo verrà ristabilito ed un nuovo criterio sarà emancipato
    All’epoca, abbandonai casa e viaggiai per il mondo, almeno la Spagna così io consideravo. In quella casa da me abbandonata fu commesso l’omicidio, e mio padre fu l’uccisore, mi riferirono i poliziotti.
    Ogni giorno vissuto mi annoiava, erano tutti uguali e monotoni: decisi di ravvivare la mia vita.
    Decisi di raggiungere lo zenit della perfezione umana. Studia e praticai assiduamente Ninjutsu e Galateo, per rendere cerniti corpo e personalità. Non chiediate come abbia potuto scoprire un arte lontana e antica come il Ninjutsu, spenderei troppe parole per solo descrivere l’epopea che vi è dietro.
    Mi scoprii abile in entrambe le discipline, quindi ne usufruii per partecipare a tornei d’arti mortali e baruffe da strada. Divenni famoso a Barcellona, il volgo mi adorava ed adorava la mia prava violenza. Per la prima volta, provai amore e ricambiai. Ma quel lombrico pleonastico di mio padre mi privò dei denari. Dovetti provvedere agli introiti delle mie casse in autonomia totale, indi per cui continuai le mie avventure.
    Allora, scovai il mio talento per l’omicidio. Squarciai molte pelli di buzzurri ed onorevoli sfidanti in combattimento, ma dovette passare del tempo per non indugiare. Decisi di privarmi dell’angoscia di uccidere, eliminando chi più odiavo: mi padre.
    Mi aveva privato di mia madre: per quanto la ripudiassi, era pur sempre mia madre.
    Addentratomi nella villa in cui una volta vissi anch’io, estrassi la spada dal fodero posto sul pianerottolo. Che fossi scoperto non m’importava, i soldi guadagnati ai tornei mi avrebbero permesso di pagarmi qualunque buon avvocato.
    Sfiorato l’elsa della spada, eruttò un sprizzo di contentezza in me. Silente, discesi sino alla camera del vecchio. Lestamente, lentamente, mi avvicinai alla vecchia porta legnosa. La spinsi cautamente e l’aprii: una donna a me sconosciuta condivideva il sonno con mio padre.
    Non mi notarono. Attesi nel buio. Aspettai finché mio padre non avesse acceso la luce. La donna si dimenava con l’uomo. Guardai disgustato. Mio padre si alzò e passò vicino al mio nascondiglio, ne approfittai. Urlai, spuntai dall’ombra e lo trafissi con la punta della lama.
    Una mano mi afferrò il molto, ma mi abbassai e schivai l’attacco. Ricordo ancora le sue ultime parole – figlio, perché? - . Urlò di dolore. Io sussurrai ed ammiccai gli occhi. – Dovevi morire, padre. Eri l’unico ostacolo per il mio avvenire.
    La donna credette di poter scappare, ma la raggiunsi celermente, bloccandole il passaggio per le scale. La donna urlò ed impavidamente mi si gettò contro, graffiandomi la guancia. Rimasi stizzito per un istante, mi portai la mano sulla ferita sanguinante!
    Mi afflissi per quello sfregio – Sangue! … Il mio sangue …. Il mio volto! - pensai. Tentò ancora di fuggire, ma la mia furia aumentò. Aveva sfregiato il mio volto celestiale, quindi dovette morire per il vituperio.
    Le lacrime sgorgavano dai suoi occhi. La bloccai in un angolino. La luce nella camera la illuminò in quegli istanti attornianti. Davvero un peccato che morisse, era alquanto miserabile. Le conficcai la spada nel cuore: la forza dell’impatto lo rimosse dalla cassa toracica. Gettai la spada per terra, corsi verso il bagno per specchiarmi.
    La mia guancia sanguinava. Se si fosse cicatrizzata, sarebbe deperita. Non avrei più potuto specchiarmi. Quindi ebbi un piano. Avrei indossato una maschera protettiva durante i combattimenti, evitando sfregi eventuali. Provvidi per evitare la cicatrizzazione: come vedete adesso, riuscii nell’intento.
    Il mio volto è ancor oggi glabro.
    Me ne andai dal luogo dell’omicidio, portandomi appresso l’arma del delitto. Oh, sono troppo sapiente per qualcosa di simile. La spada che usai allora, ancora uso per uccidere. Uccido a pagamento.
    Ogni omicidio commissionatomi è … particolare, i metodi d’uccisione sono diversificati, per fuorviare i sospetti dal singolo omicida quale io sono.
    Sono Fabio De Cerna, El Matador Extravagante! Di notte, sono il Terrore in Barcellona. Sono Fabio De Cerna, sono il tuo incubo. Sono ciò che sogni la notte. Sono tutto ciò che tu non sei, e forse, anche più.


    Ricordi imbottigliati

    Spoiler:
    Gallic di Nyíregyháza è la migliore fonte di documenti contraffatti per viaggiare in Europa. Discreto, prolifico, laconico. Colui che è Oscuro si è cabotato nel corso degli anni per ricordare a reagire agli stimoli esterni quando i suoi tanti nomi venivano pronunciati, in diversissime occasioni, da diversissime persone. L’uomo ha avuto sempre ottimi rapporti lavorativi con Gallic e anche la relazione era affabile. Si chiese, l’innominabile, se essere forgiatore fosse una fonte secondaria di guagadno ragionevole, mascherando la vendita dei vini. Mentre Gallic studia la validità del nuovo passaporto, il suo cliene osserva al dettaglio il suo negozio e le bottiglie depositate nelle apposite dispense, sugli scaffali, nei cartoni, ovunque. I suoi occhi sopra un’etichetta in particolare: passando oltre le strette fenditure, le analizza, le lettere stampateci sopra: Q-S-L intrecciate tra loro, ma era l’immagine dietro l’intreccio ad averlo davvero interessato. Su uno sfondo striato rosso e bianco, un dragone familiare. L’uomo sorride. Sembra che Diana stia avendo successo nel suo campo. Giratosi verso Gallic, avendo sentito che tutto è pronto, riceve cordialmente i documenti, a cui risponde porgendo la somma pattuita in predenza, via telefono, oltre che gli auguri per un futuro roseo. Gallic notò la bottiglia presa dal suo cliente, quindi gli fece notare che era di produzione della Quarante-Sept Lignes, una branca di successo del loro vitigno il cui vino non era tra i più pregiati ma migliorava col tempo. Nella sua camera d’albergo, il missionario rinfrescò la bottiglia e fu pronto a gustarla. Il profumo consolante, la fraganza quella dei capelli della donna dei suoi sogni, limone e camomilla con memoria di rose... vino dolce, maturo... non di Gallic, non della qualità eccelsa del Maestro, ma, come disse egli, gustoso. Ne gusta un secondo bicchiere e questa volta studia la bottiglia, finendo per ridacchiare: l’etichetta è appariscente e il dragone stampatoci è tre volte quello che contraddistingueva la sua donna da quelle comuni. Ora realizza, finalmente, che le strisce verticali di varia lunghezza sono codici a barre... robbi.


    Un profilo basso

    Gillette sbadigliaccò e dissonnò dalla quiescenza. S’era abentato per buona parte della controra, più di quanto avesse mai dormito Merkur, il suo compare. Tra l’altro, la poltrona di Merkur era più confortevole della sua. “Sveglio?”, si sentì domandare dal calvo uomo, giunto all’improvviso, silenzioso, con i suoi movimenti impercettibili. Gillette annuì e si tolse dalla poltrona e, in piedi, si stiracchiò. “Sono sveglio, grazie per non essertela presa per essermi seduto sulla tua poltrona”, espresse in gratitudine la guardia del corpo dai capelli ceciati. Osservò Merkur afferrare una valigetta da sotto la sua scrivania e, aggiustandosi la cravatta, questi si diresse verso l’uscita.
    “Dove vai?”
    “Devo svolgere un lavoro. Ci vediamo dopo, Gillette”
    Merkur uscì velocemente dall’ufficio.
    “Ma perché ha sempre questa fretta dopo il lavoro?”, si chiese Gillette, mentre additava una sigaretta dal proprio pacchetto della marca preferita, pronto a lasciarsi coccolare da Elena, la collega voluttuosa, che è insoddisfatta del proprio ragazzo.
    Merkur raggiunse il proprio nascondiglio, nei sotterranei di una palazzina abbandonata dei bassifondi della città. Apri la porta digitando un codice che, se inserito per sbaglio più di tre volte ad intervalli di meno di dieci secondi l’uno dall’altro, avrebbe detonato esplosivo sufficiente a distruggere tutto l’appartamento. Entrato, accese la luce, e davanti a lui, un tavolo con numerose schede, carte con sopra disegnate mappe e appunti. Poggiò gli occhiali neri sul tavolo, rivelò i suoi occhi bluette, e si sedette. Era solo una questione di attesa, e presto, i dati richiesti dal cliente li avrebbe ottenuti. Per il momento, l’unico conforto era il buio, il silenzio, la pianificazione.


    Memorie a Linx
    Spoiler:
    "Qui giace Diana", i caratteri scolpiti nella pietra così evincono.
    Gli alberi intorno sfavillano alterati al vento. L’ammicco lunigeno riverbera, il capillizio è scarico, i grilli secutori chicchiriano clamosi nella foresta. Qui, con come compagno il linfatismo, innanzi l’averno con antemio, da alcune ore. Mi sento innanzi l’arpocrate, l’avello, e le salmodio.

    “Madre. Tutto bene?” – nessuna risposta, lo so, non è pazzia, ma può sentirmi, ne sono sicuro – “Da quanto tempo ho abbandonato la terra d’Albione.”. Dico. “Ho viaggiato in tanti di quei posti, proprio come Padre voleva. Mi spiace di non esser venuto prima, ma sono molto impegnato, adesso. Ora, sono membro della tavola rotonda del re Artù, che io servo fedele, assieme ai miei quattro compagni: la principessa di Typhoon, Rena, Gufal, uno smemorato nerboruto e anziano, e Afirs, un pirata rinnegato.” Un paladino al servizio di un re giusto, proprio io? Non me lo sarei mai atteso.
    “E’ successo più velocemente di quanto pensassi. Non mi lamento assolutamente. Padre voleva che capissi quale fosse la situazione nel nostro regno, e allora decisi di scoprire il tutto visitando villaggi in groppa la mio fido destriero, finchè incontrai i tre con cui condivido le missioni che ci ordina di compiere Sua Maestà. Padre... fu decisione giusta? "Tornato qui a Linx mi riconduce al passato e alle numerose memorie di entrambi ancora vivi. Pure quelle bruttine, di quando io cascai dal tetto della casa del vicino perchè volevo sbirciare sua figlia, per cui avevo una cotta. Credeteci o no, ancora soffro di vertigini” Gratto il retro della testa e ridacchio come pisellone. “Ricordo di quando eravamo tutti uniti, una famiglia.” Sorrido mesto. Siate ancora qui... Osservo il cielo momentaneamente, lasciando il vento trascinarmi in un mondo parallelo.
    "Tuzba... tutto bene?"
    Riacquisto i sensi. Qualcuno mi chiama. E’ Afirs. Mi osserva con preoccupazione. “Buonanotte, Afirs”. Si avvicina. “Ti presento Madre”. Nascondo la mia tristezza. “Nacqui in questo villaggio tra le montagne. Mia madre morì quand’ero molto piccolo. Viaggiai nel mondo con mio padre, da allora.” Sorrido, memorando di quando ero prono cadere dal fido destriero Coob. Il sorriso muta in cipiglio. “Tre anni or sono, s’ammalò”. Mi avvicino alla tomba e, con la mia daga, vi incido le parole “e con lei Gordann, marito devoto”.

    Perfetto. Mi volto verso Afirs. “Voleva essere seppellito accanto a lei, era così forte”. Dico io, mentre porgo gli occhi sulla tomba. “Un padre.... chissà come deve essere”.
    "Afirs?"
    Non dice niente. Invece, poggia la mano sulla spalla mia. “Torniamo dentro. Rena si preoccuperà, la conosci, e verrà a cercarci”. Mi indica di seguirla. Inizia ad andarsene, la seguo da dietro, mi volto verso la tomba, un ultimo addio: dopo aver compiuto la mia missione in nome di re Artù, verrò a visitarvi nuovamente. Speriamo che Rena sia ancora addormentata.


    "Qui giace Diana e con lei Gordann, marito devoto"


    Gli opposti si attraggono?
    Spoiler:

    Stucchevole. Lascivo. Scortese. Pigro. Egoista. Che significato hanno tali termini? Descrivono la maggior parte della popolazione maschile. Gli stessi che è causa delle continue nascite in questo mondo sovrappopolato. Siamo pressappoco due miliardi in tutto il mondo, ma molte persone sono frutto dell’incuria degli uomini. Se gli uomini sono disgustosi è proprio per questo: nell’arco di dodici mila anni, da quando sulla terra esiste l’Homo Sapiens Sapiens, il desiderio sessuale è stato sempre una prerogativa dell’uomo. Anche alcune donne, ovviamente, sono più voluttuose di altre, e di molto, ma non tutti i giorni! Se non riescono ad ottenere quello che vogliono, ecco che gli uomini si sentono frustrati, oppressi: pensano solo al sesso, poi al sesso, ed infine, a sesso ulteriore!
    La maggioranza delle menti umane è consumata da pensieri lascivi su donne nude e su tetè-a-tetè continui, qualcosa che di poco riempie il loro cervello bacato. Degradano noi donne a meri oggetti pensando a quello che vogliono loro e senza badare a noi. Molti di questi, prima o poi, non sarebbero, dati i loro atteggiamenti, ammessi in posti raffinati come con i barboni. Le loro azioni e i loro pensieri sono quelli di creature repulsive e spiacevoli. Le donnine lasciano scorrere per sentirsi accettate nella società maschilista mondiale, mentre le più forti ed indipendenti etichettano questi uomini e questa mentalità totalitaria come “iniqua per una società basata sull’egualità”.
    L’egoismo, ovviamente, è onnipresente. Il 99% di noi ha, molte volte, provato il bisogno di aiutare prima se stesso per lasciare gli altri al loro fato. Ho notato, nei miei recenti studi sul sesso opposto, che gli uomini non siano capaci di provare altruismo e compassione se non per loro stessi. Le donne, per amici e familiari, farebbero numerosissimi sacrifici, mentre l’uomo beneficerebbe il prossimo solo se ricavasse qualcosa in cambio. Nessuno apprezza un uomo che lascerebbe un proprio amico subire le conseguenze di un crimine commesso in realtà dal villano stesso invece che confessare di essersi macchiato lui del peccato. Nessuno apprezza qualcuno che aiuta un amico solo per mostrarsi potente. Nessuno dovrebbe apprezzare uomini simili.
    La pigrizia. Un tratto che tutti quanti, almeno una volta nella vita, anno approcciato. Non è un tratto solo del mondo maschile, assolutamente, ma comunque li sottomette! Seduti tutto il giorno ad ascoltare la radio o al pub con gli amici a oziare, oppure a leggere romanzi erotici con cui trastullarsi, oppure soverchiare le proprie mogli o conviventi. La pigrizia ha infettato le menti dei maschi più vili.
    Per ultimo, è risaputo che il 90% della popolazione maschile è scostumata oltre ogni credo. Avete mai incontrato un uomo che non abbia mai osservato il didietro di una donna con fare lascivo? Che non vi abbia riso alle spalle? Che non abbia commentato impropriamente sui vostri capelli o sul vostro peso. Qualcuno che non abbia insultato una donna perché ella non riesce a gestire qualcosa? Qualcuno che non abbia mai insultato una donna? Neanche io, purtroppo.
    Questi sono solo alcuni dei motivi per cui la popolazione maschile è un immenso dolore. La loro scortesia, i commenti pleonastici, le battute perverse, tutto. E’ inconcepibile il loro comportamento. Siamo tutti quanti persone, abbiamo gli stessi diritti. Non possiamo, semplicemente, tollerarci l’uno con l’altro nel pieno rispetto di semplicissime regole basilari?
    In un futuro prossimo, desumo che l’uomo peggiorerà sempre più, fino a che le donne cederanno e si faranno custodire dagli uomini. Inaccettabile. Le donne devono riunirsi e contrastare questo despotismo maschile. Ripigliatevi il mondo, donne, e mostrate loro come si convive!



    Il santuario di Sant’Angelo Muxaro
    Spoiler:

    IIl paese tutto stava già operandosi e il sole barbagliava, screziando gli ambienti con l’aurora.
    Costruito presso Agrigento, in Sicilia – una plaga battezzata dal mare ad ogni antipode, percorsa dai cristalli ranci tutelati dalla paesaneria e scimmiottata dal clima abracadabracante -, sembrava ch’el paese avesse gli aggiramenti gaietti per via dell’albicare trapuntato e che i rampichini pompieri, addestati dalle altrici, corvettessero sopra il bambagioso manto di una braida.
    Già volettavano frotte di Actitis hypoleucose Anas platyrhynchos pertinte all’odeporico durabile, agenzando il paesaggio antropogeno.
    L’Oscuro scionnò, nella sua casipola, smosso dal chicchiriare del gallo e circonfuso dalla caumestesia della diana iperonia, contro la quale parve inutile prevenire, accogliendo le tendine della finestra.
    Il flaillo scorso dagli occhi ancora socchiusi dell’Oscuro fu naturale e testeggiante, non orrisono e inincarcerabile come il lustro orbante della zambracca eburnea, inchiavata ed incube dei suoi ricorrentissimi cauchemar. E il rezzo, non era come il distretto rantolo spifferato dalle scissure degli appicci di quella stanza onirica, ma imbatto armonico e edenico.
    Inquarterava colla coppola, tutti i giorni, di poter finalmente spiccare il volo anche lui.
    “Stranio Pandion haliaetus umbratile ed anatreptico, non ritornerai in quel terreno pescoso ma oliato, improvincialito ma beniamito da molti, rimarrai a Sant’Angelo Muxaro, in una requie che alla peggio risulterà adiafora”
    Brigante emendamento, il nostro votì di angelicarsi, vivendo il crepuscolarismo agreste nel pieve di quella poscondola, nella quale era inquilino ricettato con vero altruismo. Nonostante cespitasse l’italiano e parlasse fluentemente solo l’ inglese, linguaggio interiorizzato solo da Padre Macario, il suo anfitrione, il quale modulava una voce fortemente accentuale in ogni frase, l’Oscuro ponzava ogni giorno per abbronzarsi di più alla lingua e alla cultura di quegli isolani burlevoli.
    Alzatosi dal letto, l’Oscuro addivenì laddove la tinozza dacquata fu da lui posta, si perfuse il volto spicciatamente, s’abbigliò d’un paio di guanti gazzerini mordorè, una cannottiera cannella, pantaloni neri e stivali zaccherati di verde. Uscito fuori inspira l’aria fresca del mattino, riempendosi i polmoni ed energizzandosi, quindi mira al giardino di cui tanto si cura, svolgendo le solite faccente: pulizia, nutrimento per i verri nella recinzione, rimozione della composta e capare i frutti maturi dagli alberi.
    Il tempo fluitava. Aderse la collottola e, avendo ammettato e appresellato il terriccio nel giardino sin dalla diana, avvertì cascaggine. Scoccarono le 11:30. Tempo di orazioni e logomachie con Padre Macario.
    La costante oppressione per i suoi peccati ancora lo costernava, si rendeva conto della sua ipocrisia, di quei patetici tentativi di redimersi donando il denaro illecito, guadagnato dopo ogni “contratto”, alla chiesa.
    Dopo la notte fatale nella Piccola Svizzera, decise di sfuggire al suo passato, cercò di raggiungere la Grecia, dove aveva appoggi migliori per poter cambiare la sua identità, ma fu tutto inutile: nonostante la prima parte della fuga fosse riuscita, mentre stava sulla nave lì diretta, partita dal porto di Barcellona, alcuni agenti nemici, dopo una lunga ricerca del clandestino, riuscirono ad individuarlo e gli spararono contro, colpendolo al petto e allo stomaco, per poi gettarlo in mare ancora vivo, credendolo spacciato.
    Fu un vero miracolo, l’essersi salvato dopo una lunga notte agonizzante in acqua e, dopo il salvataggio dovuto ad un accorto pescatore, sulla terra.
    Condotto all’ospedale locale, gestito da suore, fu ricoverato dal miglior chirurgo nel raggio di centinaia di chilometri e, ulteriore fortuna, Padre Macario, l’uomo a cui egli dovrà poi molto, accompagnava una scolaresca a cui stava mostrando le opere di bontà delle suore, e fu solo per pura fortuna se potette farsi capire, mugolando in inglese, dal frate anglofono.
    II
    Dopo aver provveduto a curare le piantine di pomodori, si occupò della spazzatura. Terminati i suoi doveri, percorse il calle verso l’umile baracca ad est della chiesa, in cui rimuginare. Entrò lì dentro, sistemo i suoi strumenti sporchi e si sedette a terra, fissando il vuoto, pensando al suo futuro. Non durò a lungo: qualcuno bussò alla porta. Aprì la porta e vide la siluetta oscura di Padre Macario, illuminato da dietro dai raggi del sole. Padre Macario, oltre la sessantina, magro, glabro, capelli grigi sempre ben pettinati, naso un poco camuto e mascella debole, si occupava di lui da cinque anni ed ormai era un amico fidato e, per ringraziarlo dei suoi contributi alla chiesa e per il giardinaggio, gli offrì una sistemazione. La sua figura era prominente e rassicurante. Vestito di una casacca nera con collare bianco e accessoriato con una croce in princisbecco portata al collo, il prete salutò in italiano il suo ospite.
    "Buongiorno, figlio mio. Come stai?"
    "Padre," rispose l’ospite in inglese "mi sento bene, grazie, ma debbo parlare assolutamente con lei. "
    Il crocifisso intorno il collo del prete era solo un sollecito dell’inevitabile declino dell’uomo costretto alle fratture oscure dell’inferno. Dio non avrebbe mai accettatolo nel suo regno aureo, perchè strumento di distruzione, testamento contro Lui e i Suoi precetti. Entrambi iniziarono a passeggiare per il giardino.
    "Stai tranquillo, figlio mio" – espresse il prete appena accedettero al giardino –se vuoi aprire il cuore, il posto migliore è il confessionale della chiesa, dove di aspetterò a mezzogiorno.” Padre Macario annuì con la propria testa a favore della propria proposta e, lentamente, si avviò verso le scalinate che conducevano all’androne principale della chiesa, mentre l’Oscuro rimase ad osservare l’ambiente, a lui ormai familiare: le rovine di un piccolo altare greco laggiù, il portone principale in legno pregiato proprio un poco più lì, il retro privo di porta. Effettivamente, all’Oscuro la chiesa sembrava parzialemente incompiuta, ma, da quando era al servizio di Padre Macario, non era mai stata completata, se la si doveva effettivamente completare. A volte, quando voleva soltanto liberare la mente dai propri pensieri e tralasciare le rimuginazioni, all’Oscuro bastava sedersi al di sopra di una delle colonne dell’antico altare, osservando l’orizzonte oltre i muri intorno la chiesa, erta al centro.
    La sua era l’architettura ibrida, consimile a quella Bizantina e a quella Siciliana: le mura erano nere e i tetti bassi erano rivestiti da tegole rosse. C’erano tre alte finestre per ogni muro ed ogni finestra era decorata dal ritratto di un angelo, differente per ogni finestra, rivestito di una tunica bianca e sotto un sole raggiante, soprano all’angelo e alle genti prostrate innanzi i piedi di lui. All’estremo est della chiesa, il campanile. L’Oscuro osservò l’antica struttura per alcuni attimi, poi girandosi per studiare i fili d’erba del terreno attentamente curato per tutto questo tempo. A sud-est uno spaventapasseri vestito di stracci violacei ed un cappello. I corvi erano soliti evitare lo spauracchio, preferendo l’area intorno il pozzo arcuato, costruito tra le scale e il secondo capannone, quest’ultimo collocato tra il letto di fiori e la scuderia. Una gru antica ed arruginita, avvitata al soffitto, pendeva sopra il pozzo, ed una croce ferrea era incastonata inchiodata al soffitto ricurvo. Guardò il cielo aperto e vide muoversi le nuvole cotonate, chi diretta a nord, chi a sud. Chiuse gli occhi e si lasciò coccolare dalla brezza, mentre ascoltava il fruscio delle foglie, gli animali nella scuderia e il suono delle ali degli uccelli. Non riusciva a ricordarselo un momento tanto quieto, in tutta la sua vita. Ecco, d’improvviso, i ricordi dal passato, sanguinolenti, riaffiorare dinnanzi a lui: spari, urla di terrore, sussurri di preghiere, ossa frantumate, coltelli perforanti carni e trancianti gole, quindi il padre, a terra, sul pavimento bianco, avvolto dal suo stesso sangue. Il padre se lo ricorda così: in camice bianco, camicia verde, pantaloni ecrù, scarpe nocette. Zampillava il sangue dalla bocca e dalla ferita al petto, il volto distorto per il dolore mostrava una smorfia sanguinaria. Una mano posta sopra la ferita e l’altra tesa verso l’Oscuro, visore di quel patetico essere. Con tutte le ultime forze rimastegli, il padre dell’Oscuro disse al figlio di essere deluso dalle sue azioni, per poi accasciarsi al suolo definitivamente.
    La mano sinistra dell’Oscuro, in segno di reverenziale rispetto, posta sotto la testa del morto, le permette di poggiarsi al suolo con morbidezza. Quand’ecco la luce accecante, quindi il santuario di Sant’Angelo Muxaro. Era ancora sul pavimento piastrellato, l’Oscuro. Sudava di terrore. Nonostante la requie, era stato, in qualche modo, ricondotto dal suo subconscio a rivivere gli eventi passati. Le orecchie gli fischiavano. Le immagini ed i suoni della mente gli erano parsi tangibili e vividi. Sbattè le palpebre celermente per debellare quei ricordi orrendi. Si girò lentamente, entrò nella scuderia, terminò tutte le altre faccende, dette delle briciole di pane agli uccelli e, quando rintoccò la campana del campanile, capì ch’era mezzogiorno. Si diresse verso il retro, giusto dietro la sua masseria. Aperta la porta, percorse l’andito, da cui fu condotto all’interno della chiesa.
    La camminata era illuminata da alcune candele profumate collocate su candelieri inchiodati ai muri. Alla fine dell’andito, due porte: una opposta alle scale conducenti alla chiesa e l’altra alla sua sinistra. Salì le scale ed entrò in chiesa. Il rintocco della campana era più rumoroso dentro. L’interno della chiesa era decorata bellamente, con le finestre sulla parte superiore dei muri, i panneli di vetro colorato con alcuni ritratti degli stessi patroni che vide fuori.
    Un vecchio candeliere in ghisa pendeva dal pallido tetto concavo, posto tra una delle tre paia di piloni ottagonali arrangiati in due dirette file. A terra, due file di panchine parallele alle colonne. I raggi del sole erano filtrati dalle vetrate e si dividevano in una miriade di colori, illuminando la chiesa in un fascio lucente e caloroso. La nicchia dietro l’Oscuro conteva una larga croce al di sopra di un tavolo ricoperto da una tovaglia immacolata. Dietro il tavolo, un catino di terracotta colmo d’acqua santa. La parte superiore delle mura ricurve attorno la nicchia erano fregiate con un murale di Gesù crocifisso circondato dai suoi apostoli patenti, mentre la parte centrale era abbellta dalla Vergine con in mano Cristo, circondata da un alone attorno la testa e riverita da vescovi e preti anziani, celebranti la nascita di Cristo. Il confessionale era opposto alla nicchia, attraverso la fila di panchine. I passi reboavano e la eco si diffondeva tra le mura. Erano sei mesi che si trovava lì, e da allora, non aveva mai posto piede nella chiesa. Vergogna e tormento lo destavano da lì. Ognì giorno il tormento aumentava e molte domande turbavano la sua mentè già oppressa. Leggermente spinse la porta del confessionale, vi entrò e si inginocchiò in preghiera. Non c’era religione da dove veniva. Studiò anatomia, combattimento corpo a corpo, tattiche militari, cecchinaggio, scherma, fu addestrato a eliminare il proprio obiettivo il più efficientemente possibile. Ma si era mai approcciato alla religione, in vita sua. Il destino lo volle, sei mesi or sono, Cristiano. Sarebbe riuscito a trovare le sue risposte? Mentre si angustiava, il rintocco della campana sfuggiva sempre più. Alcuni minuti dopo, una porta si aprì e Padre Macario occupò la cabina adiacente al confessionale. Aprì il boccaporto tra la partizione delle due cabine e rimase in ascolto.

    Padre... ho peccato.”
    "Avanti, Figlio Mio, ascolto."
    "Ho ucciso.Tanti uomini. Per soldi. Senza... odio. Senza... stupidezza. Senza... cattività."
    Ci fu un silenzio momentano nell’altra cabina, un eternità per Padre Macario. Con tono quieto, l’oscsuro ebbe una risposta.”
    "Figlio Mio, ti conosco. Sei buono. Hai svolto sempre i tuoi doveri, hai donato molto alla nostra piccola comunità, senza remore. Riuscirai a redimerti, fidati. Dio da a tutti una seconda possibilità."
    "Ma Padre, io sono un mostro, ho commesso atrocità in tutto il mondo. Dio non avrà pietà per me.”
    "Tranquillo, figlio” – la voce di Padre Macario più compassionata – “Quando verrà l’ora, avrà posto anche per te. Fin’allora, reggi le virtù del Signore.”
    Il prete, in Latino, recitò un Memorare, un ulteriore augurio alla salvezza del suo ospite. Lentamente, lasciò l’Oscuro intento nella sua preghiera, dirigendosi verso la biblioteca della chiesa, in cui poter cercare qualche Directorium per le messe successive.
    Prega l’Oscuro:

    * "MEMORARE, O piissima Virgo Maria,
    non esse auditum a saeculo, quemquam ad tua currentem praesidia,
    tua implorantem auxilia, tua petentem suffragia,
    esse derelictum.
    Ego tali animatus confidentia,
    ad te, Virgo Virginum, Mater, curro,
    ad te venio, coram te gemens peccator assisto.
    Noli, Mater Verbi,
    verba mea despicere;
    sed audi propitia et exaudi.
    Amen.”
    * Ricordati, o piissima Vergine Maria,
    che non si è mai udito al mondo
    che alcuno sia ricorso alla tua protezione,
    abbia implorato il tuo aiuto,
    abbia chiesto il tuo soccorso,
    e sia stato abbandonato.
    Animato da tale fiducia,
    a te ricorro, o Madre, Vergine delle vergini;
    a te vengo, dinnanzi a te mi prostro, peccatore pentito.
    Non volere, o Madre del verbo,
    disprezzare le mie preghiere,
    ma ascoltami benevola ed esaudiscimi.
    Amen.”


    Fiducia infranta

    Spoiler:
    Lo affisso. La satanità tanto libidina nelle tramedue anime da inzeppare manta eremofobia. Astringo le labbra, brigo palpito, diteggio l’aria, appetisco a tututto pur di ingollare allo stramburamento del valletto.

    Lo osservo.

    Vorrei lepparne le confidenza, ma lui scora alla mia presenza.

    Mi avvicino, e lui è lavorato come l’acque infernali.
    Lo vedo sc
    rollarsi interiormente,
    calcolare una fuga,
    trepidare.
    Ne sorrido.
    La mia essenza si scombussola,
    gli occhi soi socchiudono,
    accenno col volto alle

    reazioni di lei,
    addito sulla pudenda sua
    in fallocampsi e libero
    la versiera.


    La mano di Dio
    Spoiler:

    Cos’è Dio, pensa l’Oscuro?
    O meglio, come si presenta Dio?
    Egli da?
    Egli prende?
    Qualcuno lo sa.
    Proteggere, durante il proprio dovere.
    Uccidere, durante il proprio dovere.
    Dicono che egli sia le mani di Dio.
    Un altro giorno, lo si garantisca amorevole, ed egli potrebbe morire ad ogni minuto passato,
    ogni ora del giorno.
    Il sole cocente sul cranio del sicario gli avrebbe assicurato l’abbronzatura se fosse rimasto
    esposto molto a lungo,
    non si voglia menzionare il calore dovuto al completo costoso pagato alla sartoria.
    Si aggiusta la cravatta per lasciar passare dell’aria.
    Si sposta lì, a Central Park, New York City. Stava godendosi una vacanza nella Grande Mela,
    aspettandosi di essere contattato via telefono da Mileena. Osserva silenti i bambini giocare,
    i cani afferrare i bastoncini lanciati dai padroni, finchè sentì la cabina telefonita vicino la quale era sedutosi, squillare. Entrò nella cabina, si assicurò di aver chiuso bene la porta, quindi rispose.
    “Qui Mileena. Il suo prossimo obiettivo e Miller C. James, un predicatore canadese in visita a New York per un seminario cristiano a Madison Square Garden III. Mr.Miller si è intromesso nei nostri affari interni e sta ricercando ulteriori informazioni su di lei, il “mito”. Non possiamo permettergli di avanzare ulteriormente nella sua ricerca, saremmo compromessi.”
    “Dunque, un ulteriore compito affidatomi dall’agenzia e non da un cliente. Spero sia l’ultimo. Non sono riuscito a mantenere la promessa a Padre Macario di smettere con le mie azioni, e ora devo uccidere un uomo di chiesa”.
    “Purtroppo, Agente, la nostra salvaguardia è prioritaria.”
    “Capisco. Il compenso è già stato depositato?”
    “Si. Un nostro incaricato ha provveduto a porre dei documenti sulla vostra scrivania, nel suo attuale rifugio. Stia tranquillo, è uno dei più affidabili”.
    “Molto bene.”
    Riattaccata la cornetta, l’Agente, tranquillamente, si avvicinò alla fermata del pulman e attese l’arrivo del numero 47, per raggiungere il suo rifugio. Dopo una lunga traversata, finalmente la fermata tanto attesa. Scende dall’autobus, attraversa attentamente la strada, apre la porta della palazzina in cui si trova il suo nuovo rifugio e, dopo aver salito la rampa di scale, giunge al 3° piano e, proprio come aveva preannunciato Mileena, qualcuno era entrato nel suo rifugio – la porta era stata lasciata socchiusa. Entrato nell’appartamento, chiude bene la porta a chiave e. sedutosi, inizia a leggere i documenti sull’obiettivo da uccidere.
    Miller C. James

    Professione: Prete

    Riassunto: Miller ha appreso molto sull’Agenzia ed uno dei nostri migliori collaboratori, lei. Dovessero queste informazioni trapelare, l’Agenzia sarebbe perduta per sempre. Vuole rivelare le sue scoperte in un messaggio sulle “mani di Dio”.

    Livello di pericolosità: Basso

    Sicurezza: Due guardie armate di Colt1911 .45 ACP

    Compenso: 500.000 $
    Informazioni ulteriori dei nostri informatori

    1. Le guardi di Miller non pattuglieranno l’ala ovest dell’auditorio
    2. C’è un interrutore della luce sul piano più alto dell’ala ovest

    3. La migliore opzione sarebbe il cecchinaggio con il suo M/52 personalizzato

    L’Agente è di nuovo a Madison Square Garden, questa volta con in mano una valigetta con dentro un M/52 assemblabile, nascosto nel sottofondo della valigetta. Oltrepassata la sicurezza senza problemi, l’Agente entrò nella costruzione e prese l’ascensore. Con lui un ragazzo sui ventanni.
    L’Agente non ebbe problemi a raggiungere la sala della gestione luminosa, nessuna difficoltà. Poggiò a terra la valigetta, montò con fermezza il suo fucile e mirò a Miller mentre questi stava esponendo il suo sermone.
    “Buon pomeriggio a tutti, sono Miller, e sono qui per parlarvi di una presenza oscura n terra. Sembra che ci siano figli di Satana, i quali servono il Diavolo e i suoi nobili. Si, signori, sono tra noi...”
    Un fievole spacco interruppe il discorso. Miller cascò a terra istantaneamente, sembrava fosse caduto prima di avere il cranio perforato dal proiettile. Il sangue sgorgava a fiotti dal foro. I presenti erano calmi, non urlavano, non andavano in panico, avevano le mascele distese completamente per aver visto tutto quel sangue. Il sicario se ne andò, dopo aver lanciato un lacrimogeno per distrarre i potenziali testimoni.

    “Come ci si sente bene ad essere la mano di Dio”



    Quel cielo ignorato
    Spoiler:

    Il gigante osservò il cielo. Sarebbe stata una buona giornata, soleggiata. Il vento di sudest sarebbe presto giunto, constatò dopo aver studiato le nuvole esili moventi all’unisono. Sistematosi gli occhiali mentre si avvicinò al suo veivolo colorato come la bandiera americana, ridacchio durante l’addentramento nella cabinella di pilotaggio e porse il suo casco, omaggio alle “Flying Keys”, sulla testa.
    Osservò il giroscopio: un pilota esperto come lui, abituato a manovre pericolose, aveva sempre avuto fascino per quei macchinari sin da bambino e sapeva di essere destinato a pilotare un Caproni Ca.101 Italiano, in onore all’Italia, il Paese da cui provenivano i suoi genitori e che lui mai ebbe modo di visitare. Vinse numerosi premi per le sue acrobazie spericolati con questo bombardiere che si è modificato per renderlo innocuo, rimuovendo (componenti aereii e descrizioni). Le sue acrobazie non sono per attirare il pubblico, ma per mantenersi allenato per poter, un giorno, finalmente compiere il passo in avanti che da sempre spera: commettere un errore in volo e morire soddisfatto, conscio di aver sbagliato per una sola volta in quello che meglio sa fare. Dall’alto, notò una nave di crociera e decise di stupire le persone avvicinandosi pericolosamente alla nave con il suo veivolo, sfiorandola di striscio e colpendo per poco la chiatta. Mentre pilotava, si accorse di essersi avvicinato troppo ad un pendio – era immerso nei suoi pensieri ed era come se non ci vedesse – quindi immeditamente tirò la leva verso di se, alzandosi verticalmente verso il cielo. Purtroppo, ancora una volta, il suo istinto e i suoi riflessi preparati gli hanno risparmiato la morte che cerca. Sarà per un’altra volta.



    Zarina ciprigna e bivalentemente animale

    Spoiler:
    “Tra la mia voluta, martello, facultati di stare.”

    Traviarti con la magnoterapia delli occhi
    imbambolati, quale lutto.
    L’oscularti sino a annegarti addentro e
    farti tutto maldomo
    nella salma. Quale infimo.

    Sotto il semilunio
    rimpalla l’impresa di assentarti e signoreggiarti,
    so come agogni e saggi e
    garbati del di lei bacio bacio. Quanto è umbratile.

    Trasali? Trafeli? Sai sarà partenocarpia...
    Basta aporetica, basta polizetesi, basta alterità.
    Tra noi
    tu magnifichi
    la mussurana distretta.

    Infellonito, perchè vulgo sdilinquito
    dalle pagliole sdrucciolose
    della Ninfa Egeria
    cecropria,
    comecchè sei uomo
    e io no.

    Calatore di agape
    con la fuoriserie,
    sebbene rasente alla
    convinzione del veto
    tra noi gemini.


    La veste preziosa di un assassino

    Spoiler:
    Uno per la parabellum
    Due per il lavellière
    Tre per il riso sulla lazzarina
    Transita balocco, tuffati

    Ma non sbaffare il completo col cruento
    Guari puoi, fuorchè ciò

    Puoi dibassarmi livragando il mio amico
    Deflagrarmi con furot Teutonicus,
    Chiamarmi Jean-Luc
    Tutto quello che ti pare

    Tutto quel che ti va, ma tse-tse
    Cara, posa la mia tenuta
    Non macchiare col sangue le mie vesti
    Tutto puoi, purchè farmi questo

    Mattanza il mio canarino
    Gongolati mentre inferisci
    Inviami un reietto per
    farmi carne morta

    Un plusore puoi
    Ma non sbaffare il completo col cruento
    Guari puoi, fuorchè ciò


    Lettera di un Tedesco alla cugina Francese
    Spoiler:

    Cara Cateline,
    a scriverti è Ragnol, il tuo poderoso, di nome e di fatto, cugino bavaro. Come ogni quindicesimo del mese ti tumideggio. Sono molto auspicale, oggi, perché ho gioito del tuo superamento dell’auscultazione d’iscrizione per l’ammissione al Franche-Comtè di cui mi hai accennato nella lettera precedente. Qui in Germania noi stiamo celebrando il Karfreitag, il venerdì santo della Pasqua. Curioso, vero? Fu proprio questo il giorno in cui ricevetti la tua prima lettera, e da allora ti scrivo sempre, tutti i quindici di ogni mese. Oggi, dopo quattro anni, il Karfreitag è nuovamente capitato il quindici di Aprile, e la giornata, per me, è ancora più speciale. Memorio perfettamente gli eventi di quel giorno solingo e ne sottorido, sebbene il casellario che ho in testa, solitamente, li macula. Quel giorno marzolino, in cui tu, siduta da sola sotto quel pino nel parco di Dummer, a Bersenbruk, con quel tuo cicerone tra le tue manine e la bambolina di pezza sulle gambe conserte, distaccata dai tuoi zii, intenti a chiacchierare del più e del meno, mi scorgesti rincorrere la giaccia garrula sfarfallante a causa del turbine. Non ti notai subito, ma quando sgranasti per ridere della mia impacciosità, istantaneamente cogliesti la mia attenzione. E vidi quella fanciulla flava e cerulea, il cui sguardo, condiscendente, era ravvivato da quel torello negricrinato impacciato nei movimenti. Ci capimmo all’istante, appena incrociammo gli occhi: sia io che te mantacavamo interiormente. Comuque ci salutammo, ci introducemmo, e sebbene inizialmente ci fosse seccaia, bastò qualche chiaccierata per conoscerci meglio e per sguainare, recirpocamente, un tesoro. Usando un eufemismo, rimasi choccato; eri stupenda, non come quelle pocofile addobbate di nero e autolesive. Ti ricordi il cafè in cui passammo tutta la pasqua? Si chiamava…
    Moin-Moin! Si! “Giorno-Giorno! Che nome simpatico aveva! Eri impasta di cioccolatini e dolciumi, non risparmiavi niente, i Lebkuchen, gli Swiss roll, i Gugelhupf inorridivano innanzi a te. La contenevi la tua golosità, comunque; la malacia veniva soppressa dal beccolare una sola quadra di dolce a pasto, lambiccandone tutte le quadre. Io, invece, finivo tutto quello che avevo in pochi istanti, perché abiutato ad una vita celere, e tu ridevi, perché rimanevi sbigottita, abituata a vedere quelli del tuo rango a mangiare con un certo savoir-faire ipocrita, e mi consideravi spontaneo, sempre, pure quando mangiavo, perchè discoprivo me stesso, non vallandomi dietro sciocchi precetti imposti dall’etica spicciola. Sei l’unica persona che mi ha imposto la Pasqua, durante la mia vita claustrale. Risacchi? Bene, perchè ti appulcra, il riso. A pensarci bene, se non ci fosse stata quella tua prima lettera che ricevetti molti anni fa, qualche mese dopo la nostra separazione, in estate, quando io rimasi qua con mio padre per lavorare, mentre tu tornasti lì a Bourgoin Jallieu, per continuare gli studi, non ci saremmo più tenuti in contatto. Sarei una persona diversa. Senza il tuo supporto, non sarei diventato così, sarei rimasto malferace, proprio come quando non avevo nessuno con cui potermi relazionare, perché nessuno capiva la mia passione per la lettura e la volontà di diventare uno scrittore per vocazione.
    In cambio, purtroppo, ogggi, posso permettermi solo di scriverti, cara cugina. Avrei voluto augurarti di persona di putare bene sulle griglie universitarie, di ignorare le pressioni sulle tue spallucce virgulte e elisee; avrei voluto sciaperonarti al Cafe Moin-Moin un'altra volta, per ganzarti quei succulenti Lebkuchen dalle forme bizzarre, per poi vedere i mazzieri delle giostre dedicate al Karfreitag, dove tutti quanti spingano, e ludono per glorificare il Signore. Il Signore, già. Proprio lui, di cui adesso tu sei ospite, nei suoi cieli, mentre io sono ancora confinato al regno terreno, e poggio questa lettera sul tuo avello, l’avello di una persona morta prima ancora di maturare del tutto.

    Tuo cugino Ragnol
    Ultima modifica di psycopower90; 02-07-11 alle 16:43:31

  2. #2
    Moderatore scostumato L'avatar di Dunkan
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    Per una lettura più agevole, forse è meglio suddividere i racconti in spoiler, oppure in più post, che dici?

  3. #3
    Il Fantasma
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