Quasi senza eccezione, quando si parla di punti di contatto fra realtà e fantascienza - videoludica o meno, poco importa - si finisce per approdare in territori inquietanti, dove il destino dell'umanità non lascia spazio a troppi sorrisi. Ci piacerebbe dirvi che il nostro mondo è simile a quello ideale, costruito da qualche giocatore di city-builder (per la verità, ne conoscevo uno che improntava Sim City su base totalitarista-dittatoriale...), oppure che presto esisteranno Portali senza Aperture Science o ancora macchine del tempo per trasportarci in un futuro meno cupo di Timeshift. Invece, al di là di ciò che ancora non è stato realizzato e difficilmente si materializzerà, anche in questo caso veniamo trascinati verso scenari controversi e quasi iettatori, intorno a elementi contenuti nelle trame e nelle meccaniche dei videogiochi. Prima, però, vorrei sottolineare come le esperienze videoludiche siano a loro volta la materializzazione di un sogno sci-fi, ancora più avanzato di quanto gli stessi autori di fantascienza potessero immaginare.

Nella prima parte di questo speciale ho citato il film di Crichton Il mondo dei Robot, rimarcando le analogie fra i moderni action-adventure e la struttura di Delos, parco divertimento basato su androidi, ricostruzioni sceniche e tanti “script” accondiscendenti con l'utente. Nello stesso anno, il 1973, un'altra opera cinematografica come 2022: I Sopravvissuti si è dimostrata appropriata e intelligente nel prevedere le problematiche della società futura, ma al contempo ha trascurato i videogiochi, collocandoli in una dimensione puramente scenica. Come proiezione futura dell'intrattenimento elettronico, il cabinato di Asteroids nella casa di un ricco borghese non è certo una rappresentazione lungimirante, pur nel contesto di un'opera che, per il resto, offre un dettagliato quadro a base di sovrappopolazione e crisi economica...


Ancora oggi, d'altronde, diverse pellicole ammantate di un'aura avveniristica, proprio in riferimento ai videogiochi, non sono andate in realtà al di là di analisi sterili e fintamente moraliste: chi crede davvero che ci sarà bisogno di schiavizzare il prossimo per divertirsi in un mondo interattivo, come avviene in Gamer? Oppure che ci faremo sostituire da perfette repliche meccaniche, guidate in remoto a mo' di videogioco, come ne Il mondo dei Replicanti? Questi film sfruttano scottanti suggestioni contemporanee, sacrificando però la verosimiglianza e la capacità di analisi per far spazio a un discorso “morale” alquanto falso e risaputo. Chiaro è che l'uomo tende a sfruttare il suo simile, oppure a creare interfacce estetiche fra sé e la realtà, ma simili tematiche hanno già trovato idee narrative più credibili, magari attraverso scenari digitali perfetti e interamente fittizi, oppure con l'uso dell'ingegneria genetica senza alcun limite etico.


Allo stesso tempo, come ho già rimarcato, anche i grandi narratori possono aver frainteso il futuro delle tecnologie a loro contemporanee, pur centrando il nocciolo del problema. In questo senso, è impossibile non citare ancora lo scrittore californiano Philip Kindred Dick, capace di incredibili intuizioni passando non per le proprie conoscenze scientifiche, come nel caso di Isaac Asimov (al momento poco lungimirante, in termini di pura previsione), bensì per un complesso lavoro di auto-indagine esistenziale. Ad esempio, nel romanzo Le tre stigmate di Palmer Eldricht e nel racconto I giorni di Perky Pet, i coloni marziani si relazionano in modo non dissimile a quanto è possibile fare in Second Life, per sopperire all'infame realtà di un pianeta desolato, entrando in veri e propri avatar sotto forma di pupazzi Barbie-style, attraverso il consumo di una potente droga e la costruzione di modellini in scala di villette e giardini middle-class. Lo stesso Dick, però, si è avvicinato maledettamente alla moderna realtà videoludica con uno dei suoi romanzi più famosi, vale a dire Do the andoids dream of electronic sheep?: la moglie del poliziotto Deckard, presente nel libro come tanti altri particolari eliminati dalla trasposizione filmica di Blade Runner, usa una piccola scatola dotata di “maniglie” per entrare in contatto con milioni di utenti, in una sorta di esperienza “mistica” fondata, in sostanza, su prerogative oggi proprie dei massive multiplayer game.

E poi, naturalmente, c'è l'idea di un'umanità che impiega i robot ben al di là delle illuminate - ma soggioganti - limitazioni imposte dalle 3 leggi di Asimov. Soprattutto, nella narrativa di Dick, a guerreggiare non ci sono solo gli androidi capitanati da Roy Batty: il racconto Second Variety, scritto nel 1952, con il suo monito sulle macchine militari ha superato trent'anni di storia ed è giunto fino a noi, che placidi sentiamo dalla TV (o, meglio, dal Web) di droni da battaglia e missili intelligenti. Ma, visto che siamo videogiocatori, sappiamo anche che le IA possono commettere grossi e imperdonabili errori, se non bastassero i funesti scenari delineati da Terminator e The Matrix; anzi, nel nostro caso sbagliano tutti i giorni, pur senza riempirci fisicamente di piombo.

I droni da guerra sono una realtà ormai da diversi anni, ed è quindi naturale che si trovino invischiati nelle trame dei videogiochi di stampo bellico-realistico o nelle fanta-guerre del vicino futuro. Abbiamo le implementazioni relativamente verosimili di tanti videogiochi, in serie celebri come Battlefield: Bad Company o Ghost Recon, oppure le proiezioni moderatamente fantascientifiche di giochi appartenenti a queste o ad altre saghe, da Battlefield 2142 a Ghost Recon: Future Soldier, passando per il recente Homefront. Inutile analizzare, in questa sede, il grado di realismo utilizzato nei singoli titoli, salvo sottolineare come i videogiochi single-player siano, per ovvie ragioni, più vicini al reale impiego di simili deterrenti, rispetto all'uso involontariamente comico che si può vedere in un multiplayer competitivo (i giocatori collegati ai droni sono le vittime preferite degli assaltatori, quasi meglio dei cecchini nascosti su palazzi e colline). Preferisco, invece, sottolineare brevemente un aspetto paradossale: un videogame dove si comandasse un drone in forma esclusiva, di fatto risulterebbe un'esperienza simulativa drammaticamente realistica, visto che le dinamiche di controllo su queste macchine sono, nella realtà, estremamente simili. Addirittura, nell'esperienza richiesta dall'esercito per pilotare i robot militari, attraverso interfacce in remoto, c'è anche la dimestichezza con il gamepad e i controller videoludici in generale, dal momento che gli strumenti da maneggiare, per muovere droni e sistemi di puntamento, sono pressapoco gli stessi. Solo che, manco a dirlo, il sangue è vero ed è vera anche la gente che si accascia a terra, anche se il suono della morte non arriva a chi l'ha generato.



Se puntiamo ancora l'obiettivo sul rapporto fra videogame e odierne tecnologie militari, le zone d'interesse non si esauriscono certo con i droni. Potete ben immaginare gli studi, soprattutto da parte del ricco (beh, ora lo è un po' meno) esercito americano, per aumentare le prestazioni del singolo soldato con accessori che lo facciano assomigliare, sempre più, al super-reattivo marine di un action-shooter. In particolare, quando si vocifera di programmi statunitensi per nuovi e futuribili equipaggiamenti, il paragone imbastito non può che riguardare Crysis, con la sua Nano-Suit, ad esempio nei riferimenti al progetto conosciuto come “Future Combat Program”, che include l'ideazione di una tuta con tanto di “micro-fibre” per potenziare le prestazioni muscolari del soldato. In realtà, però, queste attrezzature si collocano sulla linea semi-realistica tracciata dai videogiochi sopracitati, come Ghost Recon: Future Soldier, visto che permettono ai soldati di interfacciarsi con telecamere satellitari e droni da battaglia, secondo le funzionalità oggi impiegate nei veri teatri di guerra.

La materia si fa ancora più fosca se prendiamo in considerazione le armi di distruzione di massa, fra bombe nucleari tattiche e invenzioni ancora più aggiornate. I videogiochi strategici, in particolare, in più occasioni hanno usato elementi di gameplay ispirati a simili deterrenti, e sicuramente si sono avvicinati a quello che, in teoria, rappresenta lo scopo primario di queste armi, nella loro accezione moderna: colpire il nemico in modo esteso e letale, ma senza distruggere intere città o regioni parimente estese, in modo da preservare strutture produttive e contenere le emissioni radioattive. In un videogioco, ciò si traduce nella possibilità di proseguire il confronto su base sportivamente paritaria, mentre nella realtà significherebbe l'occupazione fisica delle zone colpite e, se necessario, il lancio di ulteriori missili (insomma, la continuazione della guerra). Dopo un periodo fondato sulla ricerca del massimo danno, dunque, le generazioni più recenti di armi atomiche sono state studiate per essere usate sul campo di battaglia, magari più volte nella stessa zona, un po' come può succedere in RTS sci-fi come Rise of Nations e Command & Conquer, oppure in un contesto fanta-politico come quello di World in Conflict.



Per chiudere, vorrei spostarmi su una questione vicina, ma un poco più lieve e sfumata nella sua relazione con il mondo contemporaneo. Certo... a nessuno piacerebbe essere confuso da un'intelligenza artificiale che si finge un normale utente di World of Warcraft, ma almeno non correremmo altri rischi: proprio questa possibilità, attraverso l'inserimento di particolari bot all'interno del MMORPG più giocato al mondo, tempo fa è stata ventilata in riferimento a un altro studio voluto dal Pentagono, volto ad ampliare le prospettive della disciplina informatica conosciuta come Natural Language Processing (si tratta, in ambito puramente scientifico, della progettazione di routine in grado di conversare con gli esseri umani, attraverso argomentazioni dialettiche limitate ma coerenti). Lo scopo dichiarato, al di là della sperimentazione a cui ho fatto riferimento - citata più volte, ma ancora non corroborata dai fatti - sarebbe quello di creare avanzatissime interfacce vocali, così da introdurre all'utente i dati sensibili con un atteggiamento user-friendly che riesca, nei casi più estremi, a supportare il morale dei soldati. E per la salvaguardia del fisico? Non c'è da preoccuparsi, anche qui si parla di tessuti organici auto-rigeneranti e organi artificiali da cambiare al volo. Quindi chiudete un occhio, sull'ennesimo shooter con dinamiche irrealistiche: c'è caso che, nelle Bad Company che guariscono alla Wolverine, ci sia un minimo (ma proprio un minimo, quasi nulla) di verità sotto.