Durante la lavorazione del numero che state leggendo ho avuto la fortuna di poter mettere le mani su tre giochi molto diversi tra loro. Nelle console e sui PC di casa si sono alternati, in ordine rigorosamente sparso, il nostro titolo di copertina, Mass Effect 3, uno dei reboot più attesi dal sottoscritto, Syndicate, e una "cosa" che poco ha a che spartire con il mondo dei videogiochi. Dei primi due ho avuto modo di scrivere un commento nelle rispettive recensioni, mentre il terzo, a mio parere, merita una riflessione a parte.



Faccio fatica ad avvicinare Dear Esther, ecco il nome misterioso, ai videogame nel senso più stretto del termine. La scelta della parola "cosa", del resto, indica chiaramente come non sia ancora riuscito a trovare un'etichetta efficace da appiccicare a questa produzione.
Quanto confezionato da thechineseroom e Robert Briscoe, infatti, non può essere definito come ''un videogioco per niente interattivo", o come "un modo carino per far vedere delle belle texture del cielo". No, Dear Esther, a parere di chi scrive, è "semplicemente" un'esperienza.
Una camminata per le vie di un posto dove-raccontano una storia. Una Fantastica camminata, se posso permettermi.


Ma è una passeggiata rischiosa, che ho mollato a metà al primo tentativo, nonostante bastassero due sole ore per mettere la parola fine al giro di giostra. Il perché è semplice: Dear Esther mi ha messo a disagio, nonostante parli e scriva in inglese per lavoro tutti i giorni. Mi ha spiazzato, mi ha fatto sentire inadeguato a quanto stavo vivendo. Ero troppo concentrato sul tradurre e poco sul capire che cosa diavolo stessi assaporando. Oh, non è una roba che toglie il sonno e non è la prima volta che avviene, ma difficilmente mi è capitato di festeggiare in modo tanto entusiasta l'arrivo di un adattamento nel nostro idioma.
Quanto prodotto da Paolo Rostagno Giaiero, autore della traduzione, è molto particolare ed estremamente curato. Quel che più mi ha sorpreso, tuttavia, è il coraggio nel proporre un testo che non è una semplice e pedissequa traduzione, quando più un fine adattamento di un "originale" non semplice.
A parere di chi scrive, quindi, la versione italiana di Dear Esther merita solo applausi convinti.
Non ha buchi, non ha errori e ha il pregio di rendere comprensibile a tutti una cosa di cui si intuisce il potenziale ma che rischia di risultare Fuori dalla portata di qualcuno, trasformando uno splendido dipinto in un vero quadro di Picasso, se mi passate il paragone.
Eppure non tutti la pensano cossi. Diverse persone, infatti, si sono lamentate delle scelte stilistiche effettuate: dal "sorcio" alla "manetta", dall'ài accentato in sostituzione del verbo avere alla parola ajiuti.
C'è chi si è,spinto più in là, parlando di un qualcosa realizzato talmente male da sembrar preso da Google Translate. Altri ancora hanno bollato l'autore come un figuro affetto da manie di protagonismo. Il tutto senza provare a guardare un po' più in là del proprio naso.


Di fronte a queste critiche mi ritrovo con la stessa sensazione provata guardando Dear Esther: in altre parole, anche qui fatico a trovare un'etichetta da appiccicare ai messaggi letti su vari forum. Volendo essere romantico, potrei parlare di amore non corrisposto per una lingua che va effettivamente amata per essere apprezzata (e non ho usato nemmeno una"k"!). Volendo
essere più realista, potrei semplicemente citare la poca abitudine a una così evidente attenzione al dettaglio.


E l'attenzione al dettaglio che è stata impiegata nella costruzione dell'adattamento di Dear Esther è fuori parametro, fidatevi. Per scoprirlo non serve nemmeno andare troppo più in là del naso di cui parlavamo sopra: basta lanciare un qualsiasi blockbuster, che come parziale giustificazione ha una mole di testo nemmeno paragonabile a quella messa in campo da DE, per vedere la totale assenza dell'attenzione di cui parlavamo, quasi come se tutto possa sempre essere ridotto a un mero campo
"valuta" su un foglio excel.
Questo non significa che i tripla A siano brutti e cattivi o che il Bene passi per forza dai byte di Dear Esther.
Ma sarebbe fantastico se riuscissimo a vedere il bello che c'è a un tiro di schioppo e apprezzarlo per le emozioni che ci sa donare. Fatevi un regalo. Passeggiate assieme a un amico su quell'isola. Non ve ne pentirete.