Non si torna indietro da L.A. Noire. È questo che ho pensato dieci minuti dopo aver messo dentro Mass Effect 3 ed essere partito per concludere la discussa trilogia di BioWare, con qualche mesetto di ritardo rispetto al resto del mondo (ma sono un uomo impegnato... abbiate pazienza). Davanti a me c'era lo stesso Shepard che avevo condotto alla conclusione del secondo episodio e lo stesso Anderson con cui avevo combattuto fianco a fianco in più di un'occasione. Ma qualcosa non tornava. Ricordavo i loro volti come più umani. Ricordavo quanto mi fossero sembrati naturali i dialoghi delle avventure precedenti, il lucido dei loro occhi, le espressioni tese nei momenti difficili. E invece... e invece mi sembrava come se i miei ricordi fossero stati traditi e sostituiti da una coppia di pupazzi. Due manichini dell'Upim che volevano goffamente coinvolgermi nel tristo destino riservato alla Terra dai Reaper.

Dovevo capire... fuori dalla console il disco di Mass Effect 3 e dentro quello di Mass Effect 2, giusto il tempo di scoprire che non era cambiato granché nelle animazioni facciali della coppia di fantocci che osservavo con sospetto. Erano bensì le mie aspettative ad essere mutate per merito (o colpa?) di L.A. Noire, di cui avevo assaporato i titoli di coda non più tardi di qualche giorno prima.


Ce lo vedete Shepard vestito in questo modo, tutto corrucciato?



Pur con tutti i difetti a livello strutturale e di gameplay che si possono addossare al titolo di Team Bondi, non c'è dubbio alcuno che le tecniche di MotionScan utilizzate per traferire nel gioco la recitazione e i volti degli attori coinvolti nel progetto abbiano fatto fare un balzo avanti alla credibilità e al realismo dei dialoghi nei videogiochi. Ogni singola espressione, ogni vibrazione del volto, ogni più piccolo tic emozionale veniva riprodotto su schermo in tempo reale come mai si era visto prima. D'altro canto è una pratica normale nell'evoluzione del nostro passatempo preferito: qualcuno inventa una nuova tecnica di rendering, un nuovo modo per gestire le texture ad alta risoluzione o per vomitare su schermo il doppio dei poligoni e, dopo essere rimasti a bocca spalancata, le nostre aspettative cambiano e finiamo per storcere la bocca se il blockbuster successivo non raggiunge gli stessi risultati.

Ed è quindi con una certa amarezza che mi ritrovo a pensare che dopo L.A. Noire non si sia più visto nulla di simile. L'unico raggio di speranza in questo senso è Beyond: Two Souls di David Cage, uno dei pochi in questa generazione ad aver capito come il giocatore possa essere coinvolto emotivamente dando anima ai poligoni che ricoprono i volti dei personaggi digitali. Tuttavia, Beyond è ancora ben lungi dall'essere una realtà su cui mettere le mani, e ho il forte sospetto che tutto quello che il 2012 avrà da offrire mi lascerà l'amaro in bocca, pensando ai momenti vissuti con L.A. Noire. Non si torna indietro, questo è pacifico.