Finalmente, dopo anni di annunci, di indiscrezioni, di supposizioni, BioShock Infinite è arrivato sugli hard disk degli appassionati di tutto il mondo. Anche tra le mura redazionali, ma questo è affar noto, lo aspettavamo con una certa ansia e il poterlo giocare con qualche giorno di anticipo rispetto all'uscita ufficiale ci ha permesso di calmare la scimmia dell'hype prima che ci rovinasse l'esistenza. L'ultima fatica di Ken Levine ha avuto un merito non indifferente: ci ha fatto discutere tanto. Ci ha diviso.
Ci ha costretto a fermarci. Ci ha obbligato a rigiocare dei passaggi, per guardarli assieme (avete presente i vecchi coin-op nei bar in cui un nugolo di videogiocatori stava appollaiato sulla spalla di chi aveva inserito le duecento lire? Ecco, è capitata una cosa simile).
II motivo? Capire. Capire cosa, vi chiederete? Semplice: se BioShock Infinite fosse un bluff oppure no, detta brutalmente e fuori dai denti.
II risultato delle nostre chiacchierate è racchiuso nelle dieci pagine che abbiamo dedicato al viaggio della redenzione di DeWitt su Columbia. Un viaggio che, siamo certi, saprà sorprendervi, emozionarvi, farvi riflettere. A patto, ovviamente, che non consideriate BioShock Infinite per quel che è: un "semplice" sparatutto. Il pregio più grande di questa produzione, almeno a parere di chi scrive, è infatti quello di fornire diversi spunti di riflessione, di lasciare spazio alle interpretazioni, alle discussioni più o meno impegnate su temi che raramente vengono affrontati nel patinato mondo dei videogiochi.
Certo, si spara, e tanto. Certo, si usano plasmidi - pardon, Vigor - come enne anni fa. Ma, più di tutto, si vive una storia appassionante, forse un po' troppo complicata da seguire nelle sue battute finali, ma pur sempre capace di convincere.
Non vi nascondo, visto che siamo in tema di confidenze, che ci saremmo aspettati qualcosa di più, da Levine. Delle meccaniche di gioco un po' meno legate al passato, per esempio, o, alla peggio, che venissero sfruttate in maniera più estensiva tutte quelle feature che ci sono state mostrate in tutte le fiere da un po' di tempo a questa parte. Perché, ogni tanto, si ha una piccola sensazione di incompiutezza, di gioco "tagliato". Fortunatamente, questo pensiero non riesce a distoglierci dall'idea di base: quel che è stato messo nella confezione vale il prezzo del biglietto e le ore che dedicherete alla bella Elizabeth non saranno male investite, anzi.
Eppure c'è una domanda che continua a ronzarci nella testa: se non è lecito attendersi la perfezione
da Levine, a chi possiamo realmente chiederla?
Davide "ToSo" Tosini