La storia di
La Stirpe del Male è questa. E ve la racconto con tutti gli SPOILER possibili immaginabili. Che vuol dire che vi ho avvertito. Racconto come va il film per filo e per segno. Chiaro? Ci sono due giovani ed innocenti ragazzi che si amano.
Lui è un coglione senza appello,
lei è una piuttosto carina ma, essendo innamorata a bestia del coglione, non dev’essere proprio un fulmine di guerra. Lui, dopo aver rischiato l’arresto per stalking nei primi 19 secondi di film, fa un discorso fumosissimo alla sua futura moglie. Discorso che giustificherà l’utilizzo della camera a mano per il resto del film. “Mah, sai alla fine tu non hai mai avuto i genitori, i miei erano come erano, per cui ho deciso che adesso riprendo tutto quello che accade, così poi un giorno riguarderemo la storia della nostra vita abbracciati e saremo felici”. Per cui, cosa accade? Accade che
La Stirpe del Male è l’ennesimo e inutile found footage. Genere famoso, economico e trito, buttato lì per portare in sala più gente possibile. Salvini parte subito in quarta: la coppia di babbei si sposa e decide di andare in luna di miele in Dominica, nella bocca del leone. In Dominica i due si divertono come i pazzi, solo ed unicamente facendo le cose che fanno tra loro i bianchi ricchi. Stanno in resort, fanno delle cose tipo Missione Avventura tra gli alberi, vanno al ristorante dell’albergo, ecc… Belli, contenti, ordinati e felici. Ma poi una sera, l’ultima sera, vogliono vedere una festa local. Ed è qui che cominciano i problemi. I due scoprono che in Dominica è pieno di necri che fano cose matte, come indossare maschere e sparare fuoco e fiamme dalla bocca. I due poveri e sperduti bianchi si perdono e finiscono nella vera povertà, la faccia reale della Dominica. Sembra trarli in salvo un tassinaro diversamente bianco che promette loro di portarli in albergo ma che invece riesce a convincerli e a portarli a una festa “reale, tipica, vera”. Un caso? Non credo proprio. La festa è ovviamente bellissima e divertentissima e ci sono dei ragazzi pazzissimi che ballano e si divertono e bevono i chupiti di Rum. Ma è tutta una finta. Da cosa lo capiamo? Semplicissimo. Che simbolo c’è sulla porta segreta che porta i nostri due protagonisti alla festa del secolo? Ve lo faccio vedere. No. Non il pene. Il simbolo che c’è sulla porta. Mamma mia, oh. Siete veramente fissati.

Una coincidenza?
Non so. Veramente, più di così cosa potevano fare? Chiamare il film
La Stirpe del Male de li mortacci di Angela Merkel? Ma proseguiamo. I chupiti di rum che il tassinaro
necro ha offerto ai nostri
wasp erano pieni della droga. I nostri due protagonisti, tutti svenuti, verranno rapiti e buttati in un rito brutto. Noi lo sappiamo perché? Come facciamo a vedere quello che accade ai due se questi sono svenuti e solitamente vediamo le riprese che fa il coglionazzo? Semplice: a un certo punto i due mettono la loro telecamerina del cazzo in una borsa, poi svengono a causa della droca ma la telecamerina rimane accesa. E i cattivi che stupreranno lei nel nome di Belzebù, lo fanno mettendo la borsa in direzione di stupro. E allora penso: tra due sequenze questi si mettono davanti alla televisione a rivedere il filmino delle loro vacanze e – sorpresa – si renderanno conto che lei è stata violentata da dei necri incappucciati che parlavano latino in una grotta tutta piena di simboli dell’euro e poi arriva una misteriosa luce demoniaca evidentemente foriera di morbo della Morte che spegne la videocamera. No. Questa cosa non accade. Sai perché? Perché tutti coloro che riprendono tutto con la loro telecamerina, poi NON riguardano MAI quello che hanno ripreso. Ve lo dice anche Louis C.K. in un bel pezzo del suo stand-up
Oh My God. Che cazzo riprendete a fare delle cose che poi non avrete mai più voglia di riguardare in vita vostra?
E insomma, anche se hanno sotto mano le prove, i due babbei continuano imperterriti a vivere la loro inutile vita. Anche questo è un dato che possiamo inserire in un quadro più generale: l’evidenza della malvagità dell’euro è lì per tutti, ma noi non siamo in grado di accorgercene. Siamo sbadati, non vogliamo controllare, ce ne infischiamo. Facciamo quelli che vogliono avere tutto sotto controllo, ma poi ci perdiamo il dato macroscopico. Siamo distratti da altre cose, da piccoli avvenimenti quotidiani che forse ci sembrano senza importanza ma che Salvini giassà dove andranno poi a colpire. Dottoresse che guardano l’ecografia del feto e dicono “No, no… tutto bene!”, ma si vede benissimo che in realtà qualcosa non va (le menzogne delle banche). Improvvisi scatti d’ira che portano la moglie a sviluppare una megaforza che usa per spaccare tutti i finestrini di un SUV (anticipazione degli inevitabili movimenti di piazza popolare che vorranno un giorno sovvertire l’ordine prestabilito). Cambi di abitudine alimentari della moglie che da vegetariana diventa carnivora nel senso che se ne va per il bosco a uccidere a mani nude per poi mangiarsi dei cerbiatti (lo spettro del progressivo impoverimento che svuoterà le nostre casse e i nostri frigoriferi, rigettandoci in un medioevo in cui avremo a disposizione solo la caccia). Questi sono tutti elementi metaforici che servono a rendere più chiaro il discorso di fondo dell’opera e che allo stesso tempo trasformano quella che poteva essere un’idea per un cortometraggio interessante in un lungometraggio di una noia raggelante.

Poi magari sono io, eh? Ma questo è l’ingresso del locale dove la tipa viene stuprata dal demonio.
I due registi si fanno ulteriormente infinocchiare dalla sceneggiatrice Lindsay Devlin, il cui nome è anagramma di Marine Le Pen. Un caso? Non mi sembra plausibile. Marine convince i due registi che questa cosa della camera a mano, tenuta solo dal maritino rincoglionito, non può funzionare in un film di un’ora e quaranta. E allora (oddio, quanto mi pesa scrivere quello che sto per scrivere) si moltiplicano i punti di vista. Ed ecco entrare in campo: le telecamere di sicurezza sparse per la città, altre videocamerine di ragazzini che girano per le foreste, ma soprattutto: delle telecamerine montate su dei bracci meccanici che si spostano senza fare alcun rumore montate da misteriosi uomini neri all’interno della casa dei protagonisti. Durante la sequenza in questione, ho esclamato: “Seeeeeeeeee, ma cosa caz… “. Immediatamente mi s’è avvicinata una maschera, armata di una torcia, che con forte accento bresciano mi ha detto: “Shhhh!!!!!111!!1!!!”. La maschera in questione indossava una divisa verde. Una coincidenza? Chi può dirlo? Insomma, torniamo ancora alla metafora: il morbo dell’euro ha ingravidato, infettato, la gentile coppia di protagonisti in vacanza in un paese esotico. Una volta tornati in patria, pieni della malattia della moneta unica, cominciano ad infettare tutti coloro che li circondano. Ed è per questo che al punto di vista, prima unico, se ne vanno ad aggiungere altri. L’euro lentamente ma inesorabilmente tocca tutti noi.

Soon.
Ma torniamo alla coraggiosa scelta del film di utilizzare il simbolo dell’euro in un film che parla dell’euro. Troppo scontato? Ovviamente stiamo parlando di un film ideato e girato negli Stati Uniti delle Americhe, luogo in cui, a causa di un sistema scolastico organizzato da SpongeBob, non tutti hanno confidenza con l’economia mondiale. Certo, è vero, ma non si può non pensare che un progetto del genere mira ad arrivare anche oltreoceano. I produttori, la sceneggiatrice e i registi, sapevano che il loro film sarebbe poi stato distribuito in tutto il mondo, a Cesano Boscone come a Plymouth come ad Amburgo. L’evidenza del discorso politico de La Stirpe del Male è esplicitata in una sequenza straordinaria: mentre il marito si dispera e trova la sua casa piena di strani simboli dell’euro, mentre la moglie sta incidendo il simbolo dell’euro con un cacciavite nel parquet di casa, c’è un prete. Il prete che li ha sposati, ultimo vessillo di una pace apparente, oggi non più possibile proprio a causa degli sconquassi portati dalla moneta unica in un sistema che si pensava immutabile e perfetto. Un prete che, dal suo letto di morte, vede il terribile simbolo e dice: “Fanciulli, è l’ultima ora. E, come avete udito, l’Anticristo deve venire, e fin da ora sono sorti molti Anticristi. Da questo conosciamo che è l’ultima ora”. Il prete poi la smette di citare le sacre scritture e si fa sempre più chiaro: “(L’euro) appartiene a una religione antichissima. Questa religione antica, questa setta dissidente, ha cercato di distruggere la Chiesa degli albori. Facevano dei riti… L’Anticristo sta arrivando!”

L’euro di fuoco del dimonio
Il discorso del prete è il segnale definitivo. Da qui in avanti il film, finalmente, procede con quello che tutti si aspettavano, ovvero la riproposizione del cortometraggio che ha fatto la fortuna di Matt Bettinelli-Olphin e Tyler Gillett. Il marito torna a casa, si mette una telecamerina nascosto nella camicia e comincia a vagare in cerca di una soluzione a quello che sta accadendo a sua moglie (che nel frattempo è rinchiusa in quella che sarà la camera del bambino intenta a incidere questo enorme simbolo dell’euro sul parquet con un bisturi/cacciavite che le è stato donato da un cattivo). Succedono praticamente le stesse cose che abbiamo già visto in quel filmatino di youtube che vi ho postato poco più in su. Mancano le mani che escono dai muri, ma il resto è veramente identico. Nel finale però l’ultima zampata: la moglie, in piedi in mezzo all’enorme simbolo dell’euro, si taglia la pancia ed estrae il suo feto che viene poi portato via da degli uomini neri e incappucciati. Le nuove generazioni per salvarsi dovranno uscire dal giogo, dal cerchio (grafico) della moneta unica. Una piccola speranza in un film altrimenti estremamente pessimista e disfattista.

“95000 euro, signora mia. Che nel vecchio conio sarebbero state…”
Dvd-quote:
“Un duro attacco allo strapotere dell’euro per la salvaguardia dell’europa ”
Casanova Wong Kar-Wai, i400calci.com