Dopo essere andato a dormire al termine della puntata di ieri sera di Announo, francamente scorato per il livello della discussione e la banalità dei temi trattati, averci dormito su qualche ora e rimuginato sul (poco) che mi è rimasto impresso, non trovo altra collocazione per la trasmissione di Servizio Pubblico che la solita, prevedibile, e quindi irritante e insopportabile occasione sprecata.

POLEMICHE AD HOC

Per rispondere (anche se indirettamente, visto che alle richieste di comunicazione dei giorni scorsi non abbiamo mai ricevuto risposta) alla conduttrice Giulia Innocenzi che si meraviglia, sorridendo, di quanto bailamme, polemiche e insulti abbia ricevuto il servizio di Trinca alla fine della puntata della settimana scorsa (di cui abbiamo parlato anche noi), dico solo due cose: uno, avete fatto clickbait televisivo di bassa lega, e ha – evidentemente, ovviamente – funzionato. Lamentarsi poi che la gente si è incazzata è perlomeno un po’ ipocrita, ecco. Almeno evitate. Vi siete accorti che quando viene presa in giro, la gente tende a prendersela male, specialmente sui forum e sui social network. Benvenuti nel 2015.

E poi: non voglio in alcun modo difendere chi vi ha insultati, perché è sbagliato e blah blah blah lo sappiamo, ma se la risposta al vostro servizio è stata tanto accesa, è anche perché i videogiocatori cominciano a essere sinceramente stufi di questa situazione, di questo modo di dipingerli come una massa di frustrati e di individui socialmente deviati.
Secondo me, ma è solo un consiglio che mi permetto umilmente di dare a chi in televisione o sui cosiddetti media “generalisti” si vuole occupare seriamente di videogiochi, cominciare a farlo con testa e non per il solito scoop scandalistico da tre clic e due mi piace, potrebbe essere un buon punto di partenza. Quale non è stato quello di ieri sera, comunque, dove i videogame hanno avuto un ruolo più marginale, in una trasmissione dove si è detto di tutto e il contrario di tutto, dove si è giocati a #retebuona e #retecattiva. Un giochino che, nel 2015, è un po’ come dire #mondobuono e #mondocattivo.

POLITICA E BUONA LEGISLATURA

Dice bene, dice molto bene Andrea Zanni, presidente di Wikimedia Italia, puntualmente interrotto dalla Innocenzi ogni volta che diceva qualcosa di sensato, che internet è come una grande città, con i suoi quartieri belli, i posti che val la pena visitare, e i vicoli bui e i quartieri da cui è bene star lontani, e non andarci la sera, specialmente se si è piccoli e non accompagnati. Ma del resto, a fare il giochino del #buono o #cattivo è la televisione. È in televisione che politici e soubrette si scandalizzano perché internet ci mette a disposizione tutto il sapere dell’umanità, lo scibile umano, però poi la gente su internet guarda i porno, i video stupidi dei gattini, i profili instagram delle donnine discinte e le relazioni sociali tendono all’aggressivo. In effetti, la televisione invece trasmette solo approfondimenti sulla storia, sulla musica classica e sull’arte del Rinascimento, mica donnine discinte, talk e reality in cui la gente si insulta in continuazione, o programmi stupidi.

Quando si parla di una legge per regolamentare internet (o Google, come preferisce dire Di Pietro), l’intelligente Andrea Zanni dice non si fiderebbe granché di una legge scritta dai politici italiani, perché la materia non la conoscono, e c’è il grosso rischio che ne venga fuori una castroneria. Sto per alzarmi per una standing ovation nel salotto, quando Di Pietro gli dice “Bravo, scrivetela voi la legge! Dite ai politici come devono scriverla, fatevi ascoltare!”. Zanni tace, oscurato dalla regia. Non so cosa avrebbe risposto lui. Io, dal basso della mia piccola esperienza, in questi mesi in cui stiamo cercando di discutere di PEGI in maniera costruttiva con le varie realtà politiche (e non solo) che si occupano della questione, sto imparando a mie (nostre) spese che c’è solo un grande disinteresse intorno all’argomento, pochissima se non nessuna conoscenza della materia, ma soprattutto una assoluta mancanza di voglia di farsela, questa conoscenza della materia. Purtroppo, manca anche l’umiltà di ammettere l’ignoranza e chiedere aiuto a chi ne sa qualcosa di più. Quindi, Di Pietro, sono certo che Zanni, e come lui tanti altri, avrebbero un sacco di idee e proposte intelligenti da fare a riguardo. Il punto è che non li chiamate proprio. Che sia per vanità, per paura di perdere la poltrona, per paura di passare per incompetenti, per amore della luce dei riflettori, non so. Però chi ne sa tanto continua a non essere interpellato da chi deve legiferare su ciò di cui sa poco. E questo è un problema.

VIDEOGAME, ROBA DA TOSSICI

Tornando al discorso videogame, dipendenze e quant’altro, il servizio andato in onda è sostanzialmente lo stesso andato in onda settimana scorsa, un po’ ampliato e maggiormente focalizzato sulla internet addiction. Non aggiungo molto rispetto a quanto ho scritto sette giorni fa, solo un paio di cose: ho trovato fastidioso che Pablo Trincia continuasse per tutto il servizio a spostare volutamente l’accento sui videogiochi. Quando l’interlocutore parla di internet addiction, e per due volte lui (doppiato in studio) controbatte “ma cosa si può fare per la dipendenza da videogiochi?”, capisci che sta barando. Troppo facile. Poi ecco, mi ci arrovello da una settimana, ma non ho ancora capito quale sarebbe il legame tra le persone che vengono pagate per fare un lavoro (che gli piace, ma cos’è, una colpa?), quelli che pagano per assistere alle loro performance, e la dipendenza da videogiochi. Cioè. Non capisco proprio il nesso. Cosa c’entra una serata di un torneo di League of Legends se vuoi parlare di dipendenza da videogiochi (anzi, di internet addiction!)? Perché? Che c’entra? Boh. Però dai, i “venti milioni di vittime” citati nel servizio di lancio della scorsa settimana sono diventati “mille”, e questo un po’ ci tranquillizza.
A un certo punto si è anche parlato di PEGI, grazie all’intervento molto preciso di un ragazzo in studio, che osa finalmente tirare in ballo la questione “perché i videogame per adulti no e i film per adulti sì”, puntualmente tagliato sul nascere dalla Innocenzi. Non sia mai che la serata prenda una piega costruttiva, o quantomeno interessante. Idem per un’altro intervento di una ragazza in studio, che chiedeva allo psicoterapeuta Guerreschi che differenza c’è tra uno che gioca a WoW 10 ore al giorno e uno che – come lei – si rinchiude in camera a leggere per lo stesso numero di ore. La risposta, molto educata e matura del non più giovanissimo professionista, è stata un “non capisci niente, non hai capito un tubo”. E anche qui, un discorso che poteva diventare interessante, è finito nel nulla. Poi capite perché ho definito “occasione sprecata” la puntata di ieri sera…

GAP GENERAZIONALI

Una cosa, però, l’ho capita. Le cose più intelligenti e di buon senso le hanno dette i ragazzi in studio e il povero Zanni in collegamento da esterno. I giovani. I rappresentanti di quella che cercano in ogni modo di far passare come chissà quale devastata e disadattata generazione. Che quando chiede consigli, aiuto o semplicemente informazioni alle generazioni che l’hanno preceduta, si sentono rispondere “scrivitela tu, la legge”, o “non hai capito niente, stai zitta, non capisci”. Chissà, magari la trasmissione di ieri sera voleva essere una rappresentazione plastica del livello del confronto generazionale a cui stiamo assistendo. Da questo punto di vista, ancorché involontariamente, ha indubbiamente fatto un ottimo lavoro.

BONUS TRACK #01

Si parla di videogame e dipendenza patologica, e il massimo che i creativi di Announo riescono a partorire è Super Mario sullo sfondo della Venere del Botticelli. Sarà contenta Nintendo. (naaa…. sei io fossi in Nintendo, avrei già sparato lo stuolo di avvocati fuori dalla porta della RAI, neh, ndIvan)

BONUS TRACK #02
Le reazioni scandalizzate di chi vede la ragazzina che si svende per una ricarica del telefono, o di chi scopre che la nipote di Lamborghini che pubblica le foto con le tette ha tanti follower, o di chi si stupisce dell’entusiasmo con cui viene accolto l’idolo del momento di Facebook mi paiono in tutto e per tutto identiche alle reazioni di chi si meravigliava delle ragazzine che si strappavano i capelli ai concerti di Elvis o dei Duran Duran, o dei pervertiti con l’impermeabile che molestavano le ragazze al parco giochi. Ho come il sospetto che cambino gli strumenti, le modalità e gli approcci, ma i problemi rimangano sostanzialmente gli stessi. Più visibili, più vicini, forse, comunque problemi, ma non così diversi.


Claudio "Keiser" Todeschini