Appunto, tanto valeva combattere contro il nemico, che forse c'erano più possibilità di sopravvivenza...All'epoca della prima guerra mondiale, in caso di disordini in un plotone, in una compagnia o in una divisione, si ordinava la decimazione, in caso di insubordinazione o diserzione. Il singolo veniva trattato caso per caso. O gli veniva tolta il compenso per un certo tempo, o veniva incarcerato, oppure spedito in prima linea. In caso di inadempienze gravi, fucilato. I numeri te li ha forniti Sarpedon.
Non é questione di intelletto o di voce della verità. Non si può pensare di analizzare il fenomeno della diserzione o della renitenza durante la prima guerra mondiale, partendo da: mio nonno mi ha raccontato che.... quindi é vero. La storia ci dice che la renitenza e la diserzione durante la prima guerra mondiale furono fenomeni consistenti rigurdanti cifre nell'ordine delle centinaia di migliaia, per tanto pensare che il soldato italiano combatté solo perché spinto al fronte a colpi di baionetta dai carabinieri è semplicemente sbagliato.Orbene, visto che sei la voce della verità, fammi capire meglio, visto che evidentemente ho un'intelletto inferiore: se uno si rifiutava veniva portato con la forza al fronte o in galera, giusto? Quindi c'erano grosse possibilità di finire al fronte in ogni caso, giusto? Ora, una volta arrivati al fronte contro la propria volontà e si rifiutava di combattere cosa succedeva?
E dico soldato italiano ma potrei dire anche francese inglese tedesco e austro-ungarico, dato che il plotone di esecuzione non era esclusiva nosta.
Sul resto vedi risposta di AJ
Soprattutto per il fatto che in genere "il nemico" se ne fregava della tua "obiezione di coscienza" e ti impallinava uguale, senza troppi complimenti.
Comunque tu hai una visione troppo aberrata di quella che è stata la prima guerra mondiale (ma anche la seconda, per certi versi). Non è così lucido e meccanicamente ben definito, il concetto di "uccidere un uomo". Al riguardo ti consiglierei di leggere "Niente di nuovo sul fronte occidentale" di Remarque, o appunto, Lussu e il suo "Un anno sull'altopiano", che tratta giustappunto del Carso. Noterai che il "nemico" assume una sorta di incorporeità e assenza di umanità tale per cui, visto dalla diottra di un fucile è solo un bersaglio, privo di umanità, mentre solo in certe condizioni viene percepita chiaramente la natura umana dell'avversario. Sostanzialmente quando sei troppo impegnato tu stesso a sopravvivere, difficilmente ti curi degli altri. A parte il fatto che all'assalto si andava spesso ubriachi, i nostri sui fronti del Carso consumavano più Cognac che munizioni.
Abbi pazienza, ma la matematica?
Disertori: 400.000 di cui 250.000 condannati. Di questi 250.000 750 furono fucilati. Questo vuol dire lo 0,3% del totale
Mobilitati durante la guerra: 5.615.000 morti+feriti+dispersi 2.197.000. Questo vuol dire il 40% del totale.
E tu dici che tanto valeva combattere?
Se mai tanto valeva scappare. Se lo facevi da militare avevi pochissime possibilità di essere ucciso dai tuoi, se lo facevi da civile o finivi in galera e quindi lontano dal fronte o al limite ti spedivano in guerra.
Ultima modifica di Sarpedon; 12-03-07 alle 16:02:15
Sparatrap, deduco che tu allora sia critico anche verso i partigiani, giusto?
Per me premere un grilletto e terminare una vita umana è impossibile da accettare. Non dico che tutti debbano pensarla come me, questo è solo il mio pensiero.
Si parlava di diserzione, non di "capacità di uccidere". Comunque se me lo chiedi ti rispondo che si, sono critico anche verso i partigiani. Condivido l'ideale ma non il gesto. Io non riuscirei nemmeno ad uccidere una gallina... uccidere un essere umano è una cosa che non riesco nemmeno a concepire lontanamente.
secondo me non è così semplice come può sembrare: in quanto si tratta di un problema di disallineamento di disciplina coinvolgente, peraltro, una disparità gerarchica. Insomma una di quelle gatte da pelare che non auguro a nessuno"limitatamente ai casi previsti dalle leggi militari di guerra, la possibilità di ricorrere alla pena di morte. "
si tratta di un vizio di forma, in quanto nel codice marziale (leggi militari di guerra) è stata abolita la pena capitale.
La Costituzione italiana, approvata il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore l'1 gennaio 1948, abolì definitivamente la pena di morte per tutti i reati comuni e militari commessi in tempo di pace. La misura venne attuata con il decreto legislativo 22/48 del 22 gennaio 1948 (Disposizioni di coordinamento in conseguenza dell'abolizione della pena di morte). La pena di morte rimase nel codice penale militare di guerra fino alla promulgazione della legge 589/94 del 13 ottobre 1994 (in Gazzetta Ufficiale 25 ottobre 1994 n. 250), che l'abolì sostituendola con la massima pena prevista dal codice penale.
...fa niente...
Concettualmente posso soltanto darti ragione, ma ritengo pur vero che in determinate situazioni, dall'istinto di autoconservazione alla difesa di esigenze superiori, sia necessario (non giusto, necessario) uccidere un proprio simile.Per me premere un grilletto e terminare una vita umana è impossibile da accettare. Non dico che tutti debbano pensarla come me, questo è solo il mio pensiero.
Si parlava di diserzione, non di "capacità di uccidere". Comunque se me lo chiedi ti rispondo che si, sono critico anche verso i partigiani. Condivido l'ideale ma non il gesto. Io non riuscirei nemmeno ad uccidere una gallina... uccidere un essere umano è una cosa che non riesco nemmeno a concepire lontanamente.