Non può più far parte del Csm il consigliere laico della Lega Matteo Brigandì; perché al momento dell’elezione era in una situazione di incompatibilità che non ha rimosso per tempo. Sembra questa la conclusione alla quale è giunta la Commissione verifica titoli del Csm che, con due voti favorevoli e quello contrario del laico del Pdl Nicolò Zanon, ha chiesto al plenum di dichiarare la decadenza di Brigandì dalla carica di consigliere. Una decisione che non ha precedenti nella storia del Csm e che rischia di travolgere un consigliere, già finito nella bufera per la vicenda della pubblicazione sul «Giornale» di atti del Csm su un procedimento disciplinare di 20 anni al pm di Milano Ilda Boccassini: vicenda che è costata a Brigandì l’apertura di un’inchiesta a suo carico per abuso d’ufficio da parte della Procura di Roma, con perquisizioni e persino l’apposizione dei sigilli nel suo ufficio al Csm. Brigandì, appresa la decisione della commissione, ha scritto a Napolitano, presidente dell’organo di autogoverno della magistratura, e al vicepresidente Vietti per chiedere che la sua pratica venga inserita al più presto all’ordine del giorno del plenum, «per garantire serenità ai lavori del Csm». Sulla questione che ora potrebbe fargli perdere lo scranno di consigliere del Csm indagano sempre i pm romani, stavolta con l’ipotesi di falso: si tratta infatti della mancata comunicazione da parte del consigliere di essere amministratore di una società legata alla Lega, la Fin group spa, al momento della sua elezione al Csm; un incarico che intanto Brigandì ha lasciato, ma fuori tempo massimo rispetto a quanto prevede la legge che, pena la decadenza dalla carica di consigliere, stabilisce il termine massimo di 45 giorni dalla elezione per far cessare gli incarichi incompatibili, come quello di componente di cda di società commerciali. La Fin group non ha scopi economici, si è sempre difeso Brigandì davanti alla Commissione e lo ha ribadito nella lettera inviata a Napolitano e Vietti. La Commissione del Csm, intanto, si è divisa: a favore della decadenza hanno votato il presidente Nello Neppi (Movimento per la giustizia) e il togato di Magistratura Indipendente Tommaso Virga; contro invece Zanon, che ha contestato soprattutto il metodo seguito, e cioè la scelta di non concedere a Brigandì un rinvio per la presentazione di un parere «pro veritate» su alcuni aspetti della vicenda: così si è compresso il diritto di difesa di Brigandì e la Commissione è stata «privata della possibilità di esaminare la questione con tutte le possibili attenzioni e cautele». «Non c’è nessun pregiudizio per il diritto di difesa» assicura invece Virga, che fa presente non solo i precedenti rinvii concessi al collega della Lega, ma nota che «nulla gli impedisce di presentare una memoria tecnica anche davanti al plenum», potendo addirittura «difendersi meglio», visto che ora conosce la proposta della Commissione. A sciogliere il nodo della permanenza di Brigandì al Csm sarà, dunque il plenum, forse già in questa, ma più probabilmente la prossima settimana, salvo un’accelerazione dopo la richiesta dello stesso consigliere. Cinzia Sebastiani - GDS