Sul numero che avete tra le mani abbiamo avuto modo di mettere sotto torchio due grossi calibri, attesi entrambi da un bel pezzo. Portal 2 e The Witcher 2 – Assassins of Kings sono finalmente giunti sui nostri dischi fissi, e non sono serviti secoli per capire che ogni secondo di attesa stava per essere ripagato alla grande e con gli interessi. Le produzioni in questione, create rispettivamente da Valve e CD Projekt, hanno saputo convincerci da subito: tuttavia, l’ottimo voto che si sono portate a casa non è l’unico punto di contatto tra Geralt e Chell, la signorina sparaportali che ha fatto innamorare il nostro Claudio.
State sereni e mettete giù i cellulari: non serve che chiamiate i vostri amici perché ci portino le magliette tutte bianche con le maniche lunghe a sufficienza da fare il giro. Non è nostra intenzione, infatti, accostare Portal 2 e The Witcher 2 sotto il profilo del gameplay. Il punto di contatto a cui ci riferiamo è un altro, ed emerge già nell’arco dei primi minuti spesi in ognuno dei due titoli.
Entrambi mostrano una qualità di scrittura decisamente sopra gli standard, che risponde alla domanda “quanto deve essere scritto bene un videogioco?” in maniera autoritaria. Un gioco va scritto così. Punto. Se escludiamo il fatto che sono entrambi in inglese (con sottotitoli in italiano. Questa è una cosa buona e giusta se l’alternativa è quella ascoltata in Half-Life 2. Si mettano il cuore in pace quelli che non vogliono impararlo!), The Witcher 2 e Portal 2 scelgono modi e metodologie differenti per raccontarci la loro storia: in The Witcher 2, Geralt di Rivia parla, commenta, giudica, sottolinea. Ogni singola battuta aiuta a capire meglio il personaggio che si sta interpretando, e va considerata alla stessa stregua di una pennellata d’artista su un quadro eternamente in divenire. Un gran bel quadro, per l’esattezza. Giocando è impossibile non innamorarsi di un personaggio come Geralt, che si rivela credibile in ogni sua scelta, in ogni situazione, in ogni passaggio. Il protagonista di CD Projekt risulta autentico senza che il giocatore si debba sforzare più di tanto nel processo di immedesimazione (a differenza di Dragon Age, bisognoso di massicce dosi di “volontaria sospensione dell’incredulità” per dare il meglio di sé). Valve, invece, ha scelto di affidarsi a una ragazza muta come un pesce, che non riesce nemmeno a dire “mela”, “meeela”. Non è la prima volta che la softco di Gabe Newell sceglie questa via (Gordon Freeman anyone?), ma nel recente passato i protagonisti di Left 4 Dead avevano mostrato una loquacità a tratti senza pari mentre falciavano orde di non morti. A questo proposito, in una recente intervista pubblicata su MTV. com, Erik Wolpaw, uno degli autori di Portal 2 dice: “Non penso che la gente si immedesimi molto con il personaggio di Chell, anche perché non lo abbiamo approfondito troppo. Ma si sentono coinvolti come giocatori. Abbiamo sempre dato per scontato che Chell potesse parlare, e che scegliesse semplicemente di non farlo. In fin dei conti, considerando che tutti i robot non sono propriamente dei simpaticoni, perché dar loro soddisfazione? Potreste voler conoscere il passato di Chell” continua Erik “potreste volerla sentir parlare e dire cose, ma vi garantisco che se dovesse pronunciare le sue battute a discapito anche solo di metà degli altri dialoghi, il risultato sarebbe pessimo”. E il titolo di Valve, a pensarci bene, non ha bisogno che Chell parli, perché una “spalla” per la vera regina di Portal 2, GlaDOS, c’è già, ed è l’esilarante Wheatley. Lo humor che ci viene sbattuto in faccia merita di essere vissuto, letto e ascoltato fino all’ultimo byte, esattamente come le storie di Geralt, che definire epiche è dir poco. Non importa cosa preferiate tra i corridoi della Aperture Science o il regno di Re Foltest, quello che importa è che cominciate subito queste due imperdibili esperienze ludiche. In cambio sarete rapiti, il vostro orologio si bloccherà e potrete vivere due fantastiche storie come non se ne vedevano da un po’.
Davide "ToSo" Tosini