«A chi va via 65 mila euro». Il sindacato dice no
Riunione con il ministro per siglare l'accordo dopo l'annuncio della mobilità di 611 dipendenti. Il nodo della volontarietà
MILANO - Prima lunghi incontri fino alle cinque del mattino un nuovo tentativo per trovare una soluzione ed evitare centinaia di possibili licenziamenti. Succede alla Berco - società di sistemi per cingolati del gruppo ThyssenKrupp - con stabilimenti in Emilia, Veneto e Piemonte. Ieri, all'incontro romano al ministero del Lavoro, insieme al responsabile Enrico Giovannini, all'azienda e ai sindacati, c'erano rappresentanti del ministero dello Sviluppo economico, le Regioni Emilia Romagna, Piemonte e Veneto e le Province coinvolte. Tutti con gli occhi puntati verso la mezzanotte, data come termine ultimo per un accordo dopo che, lo scorso maggio, l'azienda aveva annunciato la mobilità per 611 dei 2.500 dipendenti in Italia (3 mila in tutto il mondo).
Nella notte non era ancora stata trovata una soluzione: sul tavolo c'era la proposta dell'azienda respinta dal sindacato e quella del sindacato respinta dall'azienda. Il principale oggetto del contendere, a quanto sembra, è la «volontarietà» delle uscite: l'azienda ha proposto un nuovo anno di cassa integrazione e, nel frattempo, un assegno fino a 65 mila euro per ognuno che si impegnasse a lasciare il gruppo (una sorta di incentivo all'esodo); con la prospettiva, poi, di ricorrere al licenziamento per arrivare a quota 611 uscite, se questa non fosse raggiunta con gli addii volontari e compensati. È un'ipotesi, quella delle uscite non accettate singolarmente, che ha raccolto il no del sindacato.
Così, per cercare di sbloccare la situazione è intervenuto Giovannini. Ma, almeno fino a poco prima di mezzanotte, senza successo. Il ministro, secondo la Uilm, ha messo sul tavolo una sua proposta che è piaciuta al sindacato, ma la Berco si sarebbe opposta. Sul piatto c'erano, tra i vari punti: 12 mesi di cassa integrazione per ristrutturazione, con mobilità volontaria ed incentivata, ricollocazione, formazione e apertura di un tavolo per il raggiungimento di un nuovo accordo.
La mediazione, insomma, non è sembrata una cosa facile. Da una parte c'è l'azienda che chiede di portare avanti un piano - esodi inclusi - con l'obiettivo di arrivare a un «cash flow» (flusso di cassa) positivo entro 18 mesi. Dall'altra c'è il sindacato che, in una nota della Uilm, parla di «una posizione di chiusura immotivata» da parte del management.
Ma come ha potuto un gruppo come la Berco, con le grandi multinazionali dei cingolati nel proprio portafoglio clienti, arrivare a questo punto? L'azienda - un marchio storico del settore - ha chiuso il 2012 con 20 milioni di euro di perdita a fronte di un fatturato da 550 milioni in Italia. Sono ormai diversi anni che i bilanci sono in rosso, tanto che la cassa integrazione va avanti da quattro anni. Il motivo, secondo gli analisti, sta soprattutto nella crisi internazionale che ha colpito duro il settore delle costruzioni, un mercato in cui vendono molti clienti della Berco.
A complicare le cose si è messo il calo dei prezzi delle materie prime, che si è accompagnato a una riduzione nell'attività estrattiva. Il risultato? Meno miniere in attività, meno acquisti di cingolati, meno ordini di componenti, meno fatturato per la Berco. Che, per il 60%, arriva dall'estero: una diversificazione che - con la ripresa economica già in atto in tanti Paesi esteri - può rivelarsi un punto di forza per l'azienda.
Intanto, però, il confronto e la contrapposizione tra le parti continuano. I punti di disaccordo, negli ultimi giorni, non si sono fermati al semplice «volontarietà sì, volontarietà no». Per esempio, un altro scontro ci sarebbe stato sulle modalità dell'eventuale nuova cassa integrazione: i sindacati - a differenza dell'azienda - avrebbero chiesto una cassa a rotazione su tutti e non «fissa» su alcuni dipendenti, probabilmente per cercare di evitare il possibile successivo passaggio alla mobilità, probabile anticamera del licenziamento. Poi, in nottata, sembra che le parti abbiano convenuto su una nuova scadenza: trattative avanti fino a dopodomani. Quarantotto ore in più per cercare di sciogliere tutti i nodi sul tavolo.
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