Il giornalista fa un patto con i figli: «Voi venite in Palestina e io vi compro il nuovo videogame». I ragazzi hanno compreso la differenza e hanno desistito
Quando in autunno durante la cena Leo e Frank, 11 e 10 anni, hanno chiesto per l’ennesima volta l’ultima versione del videogame di guerra, Call of Duty, il padre Carl-Magnus Helgegren, giornalista svedese, ha deciso di cambiare strategia e ha fatto un patto con i figli. Lui lo avrebbe comprato se loro lo avessero accompagnato in Palestina e in Israele, così da vedere con i loro occhi le conseguenze della guerra. I piccoli avrebbero parlato con le persone, intervistato i soldati, conosciuto alcuni feriti. Poi, una volta tornati a casa, avrebbero giocato a tutti i videogame che volevano. Loro hanno accettato. «Non ne potevo più di sentire i bambini insistere su questo gioco che è anche divertente, ma la guerra è tutta un’altra cosa. Volevo che capissero la differenza e che il conflitto non è un gioco. soprattutto per le persone che la vivono in prima persona. Non avevo altra maniera di spiegarglielo se non mostrando loro il vero volto della guerra», spiega il giornalista al telefono mentre guida con di fianco il figlio.
«Nel gioco non vengono toccati i civili»
Helgegren ha lavorato in Israele e in Palestina, è andato in Siria. Ha coperto le Primavere Arabe come giornalista freelance. Sa che cosa vuol dire correre con il cuore in gola mentre la polizia ti spara addosso e riempie la strada di lacrimogeni. «Volevo che i miei figli imparassero che la guerra non è bella, non è attraente. E soprattutto, nel gioco si spara solo ai terroristi, mentre nella vita reale molti civili vengono colpiti. Volevo che vedessero i campi profughi, le case distrutte, la distruzione che porta il conflitto», aggiunge.
I coetanei coinvolti nella guerra
Così l’11 aprile hanno preso un aereo e sono partiti per Israele, quindi hanno raggiunto la Palestina. Tra i momenti più difficili quando hanno visitato una clinica a Shuafat. Un medico ha spiegato a Frank e Leo che i bambini vengono colpiti in testa dai soldati con il calcio del fucile perché tirano le pietre e quindi vanno in ospedale a farsi curare. Poi i bambini hanno conosciuto tre coetanei in sedia a rotelle. Tutti e tre erano stati colpiti da proiettili di gomma alla schiena e non potranno più camminare.
L’industria bellica e la consapevolezza
«Quello è stato il momento più duro perché hanno cominciato a capire la realtà delle cose. Sono stati in silenzio per un paio di ore, erano tristi ma stavano cominciando a capire», racconta il padre. Una volta tornati a casa Helgegren ha chiesto ai figli se volevano andare al negozio per comprare il gioco. La risposta è stata: «No». «Ora giocano a calcio e ad alcuni videogame di ruolo, dicono di non voler fare parte dell’industria della guerra, visto che questi videogame vengono sviluppati con l’aiuto dell’industria bellica». Helgegren spera che tutti genitori aiutino i loro figli a creare consapevolezza.«C’è un grande dibattito in Svezia su videogiochi come Call of Duty. Dovrebbero smetterla di lamentarsi e fare qualcosa per i loro figli».