da ilriformista.it
FILOSOFIA. I PARADOSSI DEL COMPATIBILISTA AMERICANO DI EDOARDO CAMURRI
Un po' di ignoranza fa bene alla libertà
Per Daniel Dennett il libero arbitrio e il determinismo genetico possono coesistere
Che la libertà, intesa come possibilità di agire altrimenti da come agiamo, esista veramente, è un'illusione di cui, dai tempi di Parmenide, ci siamo liberati inequivocabilmente. Poi, certo, di volta in volta, qualcuno decide di ribellarsi e leva in alto le proprie lamentele. Se non siamo liberi, dice, allora la vita umana non è altro che una commedia scritta per il divertimento degli dèi. Che ne è di tutto il dramma? dell'esistenzialismo? di tutti i romanzi di Dostoevskij? che ne è della serietà delle nostre decisioni? Se non siamo liberi, ripete il fautore del libero arbitrio (senza accorgersi di cadere in contraddizione), allora tutto è permesso. Guardate il marchese De Sade: predica la sodomia, la necrofilia e la bestemmia in nome dell'inevitabilità delle leggi di natura. E così conclude, anche questa volta senza rendersi conto che non potrebbe dire altrimenti, le sue rimostranze. Ma un neo-parmenideo come Emanuele Severino l'ha scritto chiaramente: «Tutto ciò che va manifestandosi (compresa, ad esempio, l'ombra che state proiettando sul Riformista ora che leggete l'articolo oppure il colpo di clacson che un attimo prima avete sentito per strada) è, in quanto eterno, necessariamente unito a quanto nella manifestazione della terra lo precede e lo segue». Per dirla stringatamente: visto che tutto ciò che esiste è qualcosa, essendo qualcosa, non può essere nulla (e quindi diventare altro da ciò che è) perché l'essere e il nulla sono in contraddizione tra di loro. Quindi quel qualcosa (come tutto il resto) è eternamente e necessariamente se stesso, senza possibilità di mutamento e senza poter (liberamente) diventare altro da ciò che è. Questa è la logica, basata sul principio di contraddizione, che nega l'esistenza del libero arbitrio (oltre all'esistenza del tempo come passaggio continuo dell'essere al nulla e dal nulla all'essere). Ma la libertà, si sa, è dura a morire. E fa certo ridere pensare che tutte le nostre azioni e i nostri pensieri siano legati tra di loro allo stesso modo in cui lo sono le maglie di una catena dell'orologio. Alcuni filosofi hanno quindi cercato di identificare la libertà con la necessità (Spinoza), altri hanno invece ridicolizzato sottilmente la questione (Diderot). Ultimo, in ordine di tempo (se è ancora possibile parlare di tempo), a tornare sul problema del libero arbitrio è uno dei più grandi filosofi viventi, Daniel Dennett, direttore del Center of Cognitive Studies della Tufts University del Massachusetts. Lo ha fatto con un libro, recentemente pubblicato da Raffaello Cortina e tradotto da Massimiliano Pagani, dal titolo L'evoluzione della libertà. Dennett si definisce compatibilista, cioè crede che il determinismo (la teoria secondo cui tutto ciò che accade è determinato ad accadere in un modo prestabilito da ciò che l'ha preceduto) e la libertà possano coesistere tra di loro. Dennett lo pensa innanzitutto da materialista e da darwiniano convinto: per lui la coscienza di ogni persona (che comunemente si ritiene sia il centro da cui la libertà umana si origina) è composta soltanto da materia non pensante che obbedisce (naturalmente e culturalmente) unicamente alle leggi dell'evoluzionismo. L'individuo che valuta, sceglie e soffre prima di compiere un'azione piuttosto che un'altra non è quindi altro che il veicolo di spinte e di influenze esterne che lì si incontrano. Prima di compiere una scelta non esiste un'anima immateriale che fa la propria mossa imprevedibilmente libera, ma quello che capita è condizionato dall'intero processo evolutivo che ha formato il materiale cerebrale della persona che sta meditando come agire. Per fare un esempio: quando qualcuno ci batte improvvisamente le mani di fronte al volto non possiamo non sbattere le ciglia perché la natura, per salvare l'occhio, ha trovato più economico obbligarci a un riflesso involontario piuttosto che costringere il cervello a una valutazione diversa delle circostanze. Non è però così, scrive Dennett nel momento in cui vuole perorare la causa della libertà, se siamo giocatori di baseball e una palla ci sta arrivando pericolosamente addosso: il riflesso involontario è quello di schivarla, ma probabilmente sceglieremmo di farci colpire se prevedessimo che l'urto possa far vincere la nostra squadra contribuendo quindi a un nostro maggiore prestigio sociale e a un probabile successo del nostro patrimonio genetico (ad esempio, un bel po' di donne potrebbero innamorarsi di noi e noi avremmo più scelta, eventualmente, nel decidere con chi sarebbe vantaggioso accoppiarci). Qui la decisione del giocatore di baseball è libera ma è anche determinata dalle leggi di Darwin. La questione è naturalmente più complessa e potremmo dire che per Dennett il determinismo delle circostanze locali è quello che permette agli uomini di fare previsioni e che le previsioni sono ciò da cui dipende la loro libertà. Scrive Dennett: «Nell'enorme spazio delle possibili configurazioni della materia ve ne sono alcune (ad esempio l'uomo) che persistono meglio di altre, perché sono state progettate per evitare i pericoli» e la natura ha gradualmente prodotto nell'uomo la libertà e l'intelligenza come sistema in grado di eludere i pericoli aumentando la capacità della loro previsione e la conseguente possibilità di evitarli. Insomma, la libertà non come dato di partenza umano («la libertà umana è più giovane della nostra specie»), ma come risultato di un processo evolutivo che la fa avanzare di pari passo con l'aumento della conoscenza e dell'intelligenza. Con un paradosso però su cui varrebbe la pena soffermarsi. Se per assurdo, infatti, fosse possibile conoscere perfettamente, in un dato momento, tutte le condizioni dell'universo, allora la libertà non avrebbe più ragione di esistere (e Dio, infatti, in quanto essere onnisciente non può essere libero). Sembra quindi che una certa dose d'ignoranza sia necessaria, come la conoscenza, al trionfo, per quanto determinato, della libertà.