Assiso su un successo editoriale che somma 22 romanzi tradotti in 35 lingue, per oltre venti milioni di copie vendute nel mondo, Jeffery Deaver ha agio di non dover fingere ciò che non è. O che si immagina lui sia. L’uomo che da vent’anni rovista nel Male è solare e chiacchierone. Dunque se la ride di cuore sentendosi ricordare un paio di definizioni che gli ha affibbiato la stampa inglese: “Un maniaco geniale”, “Un rappresentante dei poteri infernali” per via, forse, di un modo di scrivere e raccontare, o magari di apparire, con il suo colorito pallido, un profilo pronunciato e una calvizie incorniciata da una mezzaluna di capelli che ricorda tanto un’immagine di monaco medioevale. Lui, americano di Chicago, arrivato a 57 anni, più semplicemente dice di sé: “Sono un ex giornalista, ex avvocato d’affari di Wall Street, un uomo fortunato che può vivere oggi delle storie che scrive”. Il settimanale
Time lo ha definito “il più grande autore di thriller dei nostri giorni” e con questo biglietto da visita, Deaver se ne sta in giro per l’america (sarà in Italia agli inizi di Luglio) a discutere del suo nuovo libro,
La Bambola che Dorme. Incipit di una nuova saga seriale che, dopo Lincoln Rhyme, investigatore paraplegico maestro dell’indagine scientifica, introduce un nuovo principe bianco in lotta contro il Male: Kathryn Dance. Una detective del California Bureau of Investigation, vedova di un agente dell’FBI, madre di famiglia, ma, soprattutto, “esperta in cinesica”, la scienza del linguaggio non verbale, la chiave per venire a capo dei segreti del comportamento umano e dei suoi lati oscuri
Lei ha detto dei suoi due personaggi: “Kathryn Dance e Lincoln Rhyme sono come lo Yin e lo Yang”. Perché?
Sono un uomo e una donna. Lincoln è un Newyorkese solitario, taciturno, che per dare una faccia al Male lavora su tracce fisiche, su nessi induttivi. Kathryn vive in california, è madre, ha una vita sociale, lavora sul linguaggio del corpo. Dei testimoni e dei sospetti. Su uno sguardo, su un silenzio, sulle emozioni. Una donna che crede che il punto di partenza per fermare, prevenire o ricostruire un crimine è lì dove il crimine incuba o si è già consumato: l’essere umano. Diciamo che Kathryn è una donna cui volentieri chiederei di uscire a cena, magari facendo attenzione a non tradire le mie intenzioni col linguaggio del corpo… scherzo, evidentemente, ma non troppo. Quel che voglio dire è che lavorando alle storie di Lincoln Rhyme ho scoperto a un certo punto che l’indagine scientifica pura spesso non consente da sola di venire a capo del male. Serve l’introspezione, l’indagine psicologica. Serviva Kathryn.
“La bambola che dorme” ha un set capovolto rispetto alle indagini di Rhyme. Non più la costa est degli Stati Uniti, ma l’Ovest, la meravigliosa baia di Monterey, California. C’è un motivo per questo radicale trasloco dell’azione?
Si. Innanzitutto, conosco molto bene quella baia per averci vissuto. Ma, soprattutto, credo che quella baia sia la perfetta metafora dell’America contemporanea. Etnicamente mista, con il suo incrocio di cultura latina, afro-americana e bianca. Fortemente contraddittoria nella sproporzione tra grandi ricchezze e indicibili povertà. Abitata da basi militari, ma anche da pescatori e agricoltori. Lì, c’è tutto il mio paese
A sentirla, forse ha ragione chi dice che la sua aspirazione, in realtà, è diventare qualcosa di più che un campione del genere thriller. Magari le è venuta voglia di cominciare a raccontare anche il contesto delle sue storie.
Per carità. Io ho una sola passione e un solo scoponello scrivere le mie storie. Coinvolgere emotivamente i miei lettori, fino a sopraffarli in una storia che comprendono, controllano e che li afferra dalla prima all’ultima pagina. E il genere Thriller è perfetto. A me non piacciono i romanzi sperimentali, la scrittura come esercizio estetico in un plot che non porta da nessuna parte. Non sono un saggista, non lavoro alla ricerca sociologica. La mia felicità è sapere che i miei lettori hanno fatto le quattro del mattino perché non sono riusciti a mettere giù il libro.
E c’è qualche maestro del genere a cui le piace ispirarsi?
Ne citerei tre: Thomas Harris, Andrea Camilleri, Gianrico Carofiglio
Deve qualcosa al fatto di essere stato almeno due vite fa un giornalista?
Due cose fondamentali: La centralità del lettore e la tecnica di scrittura. Quando sei un giornalista hai l’obbligo di renderti intelligibile. Le tue storie devono essere chiare. Avere un inizio e una fine. La tua scrittura deve essere limpida. Arrivare direttamente al lettore. Tutto questo mi è servito molto.
Al punto che nei suoi romanzi c’è una ricerca quasi ossessiva della perfezione stilistica e della costruzione narrativa.
E’ vero. Normalmente, prima di mettermi a scrivere, lavoro al plot e agli ingredienti della storia per almeno otto mesi, imponendomi giornate di ricerca e studio da otto ore
E quando scrive rimane anche un po’ di spazio per la fantasia?
le rispondo dicendole, da amante della musica, che considero i miei libri come una performance di Jazz. Per otto mesi lavoro alla cornice e allo scheletro dello spartito, annotando ogni possibile variante. Poi, quando mi metto a scrivere, lascio spazio all’improvvisazione, senza sapere dove arriverà
C’è un motivo per cui ha scelto di non lavorare su altro che non indagare il Male?
Sicuramente esiste una ragione psicologica che mi appartiene e che tuttavia non ho indagato. E sicuramente esiste una spinta ancestrale dell’uomo a interrogarsi sulle sembianze del male, sulle sue ragioni profonde. Un desiderio di cui forse potrebbe offrire una spiegazione solo un genio della letteratura come Umberto Eco che io, da semplice artigiano, non conosco, ma avverto. Esattamente come i miei lettori. Detto questo, credo che la reputazione che mi sono guadagnato con le mie storie nere faccia anche un po’ torto al loro significato più profondo.
E cioè?
Le mie storie appaiono diaboliche, ma non hanno nulla del diavolo. Non sono ciniche non si compiacciono del Male che descrivono. Nei miei romanzi, in fondo, il Bene trionfa sempre. Perché le mie sono storie che raccontano il coraggio di chi ha la forza di guardare il Male dritto negli occhi per poterlo prevenire o reprimere.
A proposito di storie. Con l’arrivo di Kathryn Dance diciamo addio per un po’ a Lincoln Rhyme?
Niente affatto. Sto lavorando alla prossima storia di Lincoln che uscirà nel 2008. e nel 2009 toccherà alla seconda storia di Kathryn. Andrò avanti così. Ad anni alterni. La loro saga durerà molto a lungo.
Di Carla Bonini