"NON capisco. Dove si vuole andare a parare? Così salta tutto...". Alle nove della sera, dopo una fitta giornata di incontri a Palazzo Chigi, Massimo D'Alema ragiona a voce alta sul cammino delle riforme, e soprattutto sulla proposta di Dario Franceschini: l'elezione diretta del presidente del Consiglio, avanzata su Repubblica di ieri. "Se è un fuoco d'artificio di capodanno - sostiene il vicepremier - allora non vale niente. Ma se è una cosa seria, allora cambia tutto. È una novità clamorosa, che ha un effetto devastante: per le riforme, per il centrosinistra, e anche per il governo
Il ministro degli Esteri - insieme a Prodi, a Rutelli, a Bertinotti e a tutti i cespugli dell'Unione - segue da giorni, non senza apprensione, i grandi e piccoli "segnali" che Walter Veltroni sta lanciando al sistema politico. E quello che vede non lo tranquillizza. Le aperture che il leader del Partito democratico ha fatto nelle ultime settimane del 2007 sulla nuova legge elettorale lo hanno colpito. "Perché, proprio alla vigilia della ripresa del dibattito tra i Poli, si riscopre il modello francese? Lo confesso, la strategia mi sfugge...". D'Alema parte da questo presupposto: gli azionisti del Pd, Ds e Margherita, sono da sempre fautori del maggioritario. "Tutti sappiamo che il doppio turno sarebbe il modello migliore, anche per i destini del bipolarismo". Peccato che, com'è ormai chiaro da più di un anno, su quel sistema non esiste una maggioranza politica, non solo tra i banchi trasversali del Parlamento, ma neanche tra le fila litigiose dell'Unione. "Proprio per questo - aggiunge ancora il responsabile della Farnesina - abbiamo cominciato da mesi una ricognizione sul modello tedesco, che invece ha raccolto e raccoglie consensi diffusi, sia nella nostra maggioranza, sia nell'opposizione".
Alla fine anche lo stesso Veltroni si è convinto. Per questo, adesso, D'Alema fa fatica a capire le ultime uscite. "Abbiamo fatto vertici tra di noi, consultazioni con gli alleati, incontri con gli avversari. Veltroni ci ha consultato tutti, e alla fine ha messo in campo la sua proposta, il cosiddetto Vassallum, un proporzionale misto che incrocia il modello tedesco e quello spagnolo. Su quella base il Parlamento ha cominciato a discutere, mentre in Commissione va avanti il dibattito sul rafforzamento dei poteri del premier e sulla sfiducia costruttiva. Insomma, la macchina si è messa in moto. Non è detto che si arrivi al traguardo, ma una strada da seguire è stata individuata, e sulla base di quella strada si cerca di andare avanti. E adesso, all'improvviso, si ricomincia a parlare di sistema francese, e addirittura di presidenzialismo. Domando, con tutto il rispetto: siamo impazziti? Che credibilità abbiamo con i nostri interlocutori? E che messaggio arriva all'opinione pubblica?".
D'Alema, in questi ultimi giorni, non ha avuto modo di parlare con Veltroni e con Franceschini. Ma è preoccupato per il destino delle riforme, dal quale dipende il futuro della legislatura. "Ho molto apprezzato l'appello del presidente Napolitano a non perdere quest'ultima occasione di dialogo, e su questo invito non posso che esprimere tutto il mio compiacimento istituzionale. Ma temo che se ci mettiamo a ridiscutere quel poco o tanto che abbiamo faticosamente provato a costruire in questi mesi corriamo davvero il rischio di sfasciare tutto...". Questo è il timore vero, rafforzato ieri dalla pioggia di perplessità e di reazioni negative che si sono levate dentro l'Unione sulla proposta di Franceschini. È evidente che l'ala "governativa" del Pd, incarnata dallo stesso D'Alema e da Rutelli, abbia a cuore in questo momento la blindatura del rapporto con Rifondazione e con i sartoriani "nanetti" del centrosinistra, l'unico cemento che in questa fase difficilissima può garantire la sopravvivenza del governo. Ed è altrettanto evidente che ad ogni spinta governativa finalizzata a rafforzare questo cemento (come il rilancio di una politica fiscale di sostegno ai salari) corrisponde una controspinta extra-governativa volta a valorizzare l'autosufficienza del Pd (come il doppio turno e il presidenzialismo suggerito da Franceschini).
Il problema, secondo D'Alema, nasce dal combinato disposto di queste dinamiche. "Non vorrei che l'effetto finale di tutti questi ripensamenti fosse un generale "rompete le righe" per la nostra coalizione. Sarebbe un messaggio dirompente...". Di questo ha paura, il ministro degli Esteri, quando sente parlare oggi di un rilancio del sistema francese: "Il pericolo è che, con questa mossa, perdiamo tutto: si rovescia definitivamente il tavolo delle riforme, ci giochiamo per sempre il centrosinistra, e salta per aria il governo". Ecco, allora, la domanda cruciale che si pone D'Alema, e che è stata al centro di una recente riflessione con il premier: è questo l'obiettivo? A Palazzo Chigi non si vuole dare credito a questa possibilità. E allora spunta la subordinata: forse Veltroni, consapevole che tanto le riforme con il centrodestra non si faranno mai, punta dritto al referendum? "Il guaio è che, anche in questo scenario che non risolve affatto il problema del bipolarismo e della frammentazione politica, si decreta la morte del governo...".
Così il sospetto più velenoso, cacciato dalla porta, si riaffaccia dalla finestra: è questo che vuole, il leader del Pd? La risposta dalemiana è enigmatica: "Non lo posso credere. Ma poiché so che Walter è un politico accorto, che calcola sempre a fondo le sue mosse, a questo punto qualcosa mi sfugge. Di una cosa, però, sono sicuro: credo che Prodi non sia per niente contento".