Introduzione
Costantinopoli, la capitale dell’Impero… la mia città…
Se dovessi narrarvi l’intera storia della Città d’Oro, probabilmente dovreste starmi ad ascoltare per molto, molto tempo…forse anche più di quanto ve ne spetti su questa terra.
Tuttavia i vostri occhi si perderebbero nei miei mentre ascoltate, e tornereste la notte seguente, e quella dopo ancora, incantanti dalle gesta degli Dei e dei Diavoli che hanno abitato e in parte ancora abitano questa città.
…Ma cos’è veramente Costantinopoli ?
E’ triste che oramai pochi lo ricordino, che le stesse famiglie non riconoscano più i propri stemmi sugli araldi e che duemila anni di storia si sgretolino sotto il peso del tempo.
Costantinopoli è il sogno di tre antichi amanti che desideravano creare il regno del Signore.
Un regno di pace e prosperità, un regno ponderato e perfetto dove prosperare tutti.
Al dilà delle strade e dei muri; al dilà delle gemme e delle cupole d’oro; provate a volgere lì i vostri sguardi, e potrete scorgere la volontà Divina, l’amore per gli uomini, il Verbo.
Non lasciate cadere i vostri occhi sulle spoglie mortali della città, quelle non hanno poi molta importanza, ma guardate oltre… e vedrete che Costantinopoli è molto più di una città: è stata il sogno di molti, ed è la speranza di altrettanti.
Le radici della mia città si snodano nel passato per quasi duemila e quattrocento anni… un tempo qui sorgeva un piccolo villaggio di pescatori greci, e il suo nome era Bisanzio.
Per trecento anni fu contesa fra Atene e Sparta, e più volte venne distrutta. Poi divenne città libera, e il ciclo di morte e resurrezione continuò per mille e trecento anni.
Tramontò il tempo dei Greci, iniziò quello dei Romani.
La città fu presa dalla guerra civile, e quando Lucio Settimio Severo sconfisse Pescennio Nigro e rase al suolo la città, le fondamenta per Costantinopoli furono gettate.
Poi, accadde che nacque un generale toccato da Dio, e noi lo seguimmo, abbagliati dal futuro che insieme avremmo potuto creare.
Abbandonammo l’immortale città morente e seguimmo il profeta. Battezzò Costantinopoli “Nuova Roma”, e noi lo osservammo nell’ombra.
Furono anni d’oro, durante i quali Costantino completò la Cristianizzazione dell’Impero, e noi dirigemmo la costruzione della città.
La creammo a misura d’uomo, ognuno faceva la propria parte di lavoro insieme agli altri, e il nostro sogno brillava immensamente nell’oscurità.
Purtroppo però, anche il più bel sogno ha i suoi lati oscuri, e attorno a noi fu discordanza; le due persone che più mi erano care se ne dipartirono, l’una in più malo modo dell’altra, e io rimasi solo.
E’ passato molto tempo dai vecchio giorni felici e la città è cresciuta e prosperata, è divenuta capitale dell’impero, ha fatto da culla per la Vera Fede ed è stata un simbolo per ogni uomo del mondo.
Ed il sogno non è morto, il mio spirito ne è testimone, io stesso sono più vicino a Dio di quanto non lo sia mai stato.
Questo vi dico, fratelli miei, ma la notte volge al termine e il sole è all’orizzonte.
E’ tempo per voi di andare, ma tornate al mio cospetto quando risorgerete dalle vostre bare, e rivolgete ancora una volta il vostro sguardo al cielo, cosicché possiate ammirare il mio volto.
Allora io vi parlerò di nuovo, e la vostra sete di conoscenza sarà placata per un’altra notte.
Intanto andate a dormire, quando vi risveglierete forse avrete compreso alcune delle cose che vi ho detto questa notte, e vi sembrerà di vedere la città con dei nuovi occhi.
Ricordate che le porte del Paradiso sono sempre aperte, per chi ha fede nel Signore.
Michele, l’angelo dagli occhi di vetro
Prefazione
Costantinopoli, 1194.
Per ogni torre e per ogni cupola, per ogni sfarzo e per ogni moneta d’oro, in qualsiasi momento, di giorno o di notte, un uomo soffre e muore.
I soli e le lune si alternano, come si sono sempre alternati, e ciò che gli storiografi ricorderanno come “la città d’Oro”, si avvia velocemente ed inesorabilmente verso il suo ultimo decorso.
La città non è più quella che ricordano i bardi nelle loro canzoni, e per intuirlo basta poco, basta volgere il proprio sguardo fra la gente.
La città è divisa, smembrata: i Bizantini e i Latini si danno guerra su ogni fronte possibile, e la guerra si combatte di giorno in giorno all’interno delle grandi mura di Teodosio II, senza bisogno di un esercito invasore venuto dall’est musulmano.
I Latini…la più triste nota dell’Opera Magna, solo una decina di anni fa avete visto con i vostri stessi occhi le angherie di cui sono capaci gli uomini.
Avete visto la città armata scendere contro sé stessa, avete visto gli ospedali venire depredati degli ammalati, gli ammalati venire uccisi senza pietà.
La spada dell’Imperatore diventa ogni giorno meno tagliente, e nella città regna il caos. Le leggi che un tempo vigevano ora non vengono rispettate, e nel clima di povertà di molti rioni il crimine è all’ordine del giorno.
Il clima è teso, una situazione di stabilità sembra solo un lontano miraggio, nessuno fa veramente qualcosa, ognuno si aspetta che siano gli altri ad agire.
È davvero destinato tutto a finire ? Il peso degli anni schiaccerà le antiche rovine oppure uno spirito di risorgimento si leverà come è avvenuto in numerose crisi del passato ? Forse la notte non lascerà più spazio alla luce del giorno, ma forse, se tutti ci impegniamo, anche questo periodo buio potrebbe essere superato, e un giorno potremo riderne, chiamando una volta ancora Costantinopoli “la Città d’Oro”.
Inizio della storia di Raziel:
La candela posta accanto al tuo giaciglio, che ha illuminato le tue letture per diverse notti, giace oramai come un ammasso informe di cera grigia da cui spunta una esile fiamma, la cui vita non durerà che pochi minuti ancora.
Bianca, la luce della luna e delle stelle penetra dalle inferriate della finestra posta sopra il tuo giaciglio illuminando la piccola porta di legno alla tua sinistra, ma sai che non ti basterà per continuare la tua lettura, e così inizi a prepararti mentalmente per distogliere il tuo sguardo dalle pagine intrise d’inchiostro e prendere una nuova candela dal cassetto.
La tua stanza è piccola,rettangolare, costruita in pietra grezza e scura di cui la candela illumina solo i tratti più sporgenti.
L’arredo è povero, atto alle esigenze di un monaco non di un nobile, e la sua vista ti riempie il cuore di quella pace che solo la rinuncia e la lotta contro l’empio ti riesce a dare.
Di fronte al tuo giaciglio vi è una piccola porta, il cui legno logoro e intriso di umidità odora di muschio. Per entrarvi, devi piegarti e abbassare la testa: sei decisamente alto per i costumi della tua gente, e poche persone possono guardarti dritto negli occhi, ancora meno dall’alto in basso.
Fra il giaciglio e la porta, un piccolo tavolo da notte e un armadio che sale fino al soffitto, dove riponi le tue tuniche e i tuoi effetti personali.
Ai piedi del tuo giaciglio invece, quattro piani di scaffali che percorrono tutta la parete di fronte all’armadio e che sostengono lunghe file di libri, tomi e pergamene antiche che hai appena letto o che dovrai leggere a breve.
L’aria è umida e fredda, e nonostante la tua tunica pesante senti le angherie della notte sulla tua pelle.
Leggi ancora qualche minuto, poi la luce della candela diventa troppo tenue perché tu possa continuare, e chiudi il tomo rilegato con un pezzo di carta a segnare la pagina dove sei arrivato. Prendi un’altra candela dal tavolo alla tua destra e la accendi, scostando quella vecchia.
Finalmente, puoi continuare.
L’atmosfera è calma, il rumore che proviene dal monastero, dall’università e dalle strade circostanti è troppo lieve per disturbarti, e così quando dei passi si avvicinano alla tua stanza, hai tutto il tempo per richiudere il libro e alzarti.
L’odore della cera bruciata è inebriante, pari a quel profumo che si può respirare in chiesa, e ti distrai un attimo a gustarlo, fino a che i passi non si fermano e senti una mano bussare sulla porta e una voce chiamare il tuo nome.
E’ uno dei tuoi compagni monaci, lo riconosci, e dopo esserti sistemato un attimo apri la porta.
L’uomo di fronte a te è tozzo, la sua pancia è gonfia di pane, minestra e carne, e le sue gote sono rosse dal vino.
La sua bocca è piccola, le labbra sottili, gli occhi scuri e sovrastati da pesanti sopracciglia, il naso non degno di particolare nota di demerito o di complimento.
“Fratello Raziel, anche questa sera non vi siete presentato alla mensa…vi fa male astenervi dal nutrirvi !… Dovete… mangiare !…”
Il monaco è leggermente agitato e preoccupato
“Avete un aspetto così tirato e smunto…vi sentite male, vero ? E’ la vostra malattia…preghiamo tutti per la vostra guarigione, come vi sentite, di grazia ?”
Inizio della storia di Karl Johansen:
Il trambusto cittadino non ti da pace, abituato come sei alle assonnate strade di un piccolo villaggio.
I potenti zoccoli dei cavalli, le pesanti ruote dei carri e il vociare dei mercanti e degli strilloni…che bisogno c’è di fare tanto baccano ?
Il giorno volge al termine, l’aria è fredda e secca, gli uomini per strada ritornano alle proprie case.
Ti senti dannatamente bene, l’aria che si respira a Costantinopoli ti riempie i polmoni di sapienza.
Intorno a te vedi solo stupidi uomini ignoranti, ma basta alzare gli occhi ai palazzi per comprendere il genio degli architetti, la maestria degli artisti, l’intelligenza che pervade quegli ambienti colti.
Sei libero da qualsiasi vincolo, libero di scegliere in tutta coscienza la strada che vuoi seguire, e come ogni sera ti rechi all’università del monastero degli Iesudiani, bramoso di imparare qualcosa di più e di dare il tuo contributo per estirpare la stupidità dal mondo.
Cammini celermente da quasi un’ora, l’università è situata lontana dal centro cittadino, ma la cosa non ti pesa, assorto come sei nei tuoi pensieri.
Quando finalmente giungi al monastero, il sole è oramai tramontato all’orizzonte, e istintivamente cerchi conforto fra le mura amiche.
La porta dell’università è molto grande: le due ante rettangolari di legno scuro sono aperte verso il corridoio interno, e la lastra di rame scolpita sopra la porta, è inscritta in un grande arcone cieco a tutto sesto.
A proteggere la porta vi sono quattro guardie, quattro uomini vestiti di cuoio e cotta di maglia che poggiano stanchi le loro lunghe e pesanti alabarde di ferro sulle spalle.
Non ti curi particolarmente di loro, noti che uno ha i baffi lunghi, uno è vecchio e grigio, uno ti fissa assortamente, ma oramai sei già nel corridoio di marmo, e tutto il resto ti sembra di scarsa importanza ora.
Il corridoio è magnifico, come ogni giorno ed ogni notte che lo percorri. Le colonne in marmo rosso dai capitelli floreali sorreggono una volta a botte decorata a mosaico, e sui muri sono affrescati paesaggi naturali dai colori ancora accesi.
Approfitti uno o due minuti del calore delle torce, e ne approfitti per iniziare ad ascoltare i discorsi che si stanno tenendo nell’aula del dibattito.
Senti che la discussione è accesa, e che il dibattito è sostenuto, l’argomento deve essere interessante.
Ti scosti dalla torcia riscaldando un’ultima volta le tue mani e ti dirigi verso la sala.
Apri la pesante porta il minimo indispensabile e sgattaioli dentro senza dare fastidio. La sala è molto grande, le scalinate salgono in una alta platea dove sono seduti molti uomini dai volti animati.
Un uomo vecchio e dalla barba incolta sta parlando agitando il dito contro un gruppo di persone vestite poveramente, e questi a loro volta confabulano fra loro.