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Peter Jackson parla della sua nuova fatica dopo "Il signore degli anelli". "Voglio fare un film come non se ne fanno più oggi"
Il ritorno di King Kong
"Lo vidi la prima volta quando avevo nove anni. E' la pellicola
che ha esercitato la più grande influenza grazie a cui sono regista"
di SILVIA BIZIO
WELLINGTON - L'impegnativa che Peter Jackson ci obbliga a firmare prima di entrare in uno dei capannoni della Weta, la sua compagnia di effetti speciali, miniature e computer grafica da lui fondata a Wellington, in Nuova Zelanda, non lascia presagire una completa trasparenza. Ma diamogli credito: Jackson ha svelato in anteprima a un piccolo gruppo di giornalisti internazionali venti minuti del film più atteso dell'anno, "King Kong", il remake del film di Merian Cooper e Ernest Schoedsack del 1933, un recupero storico che salta a piedi pari il remake del 1976 prodotto da Dino De Laurentiis.
É con il mitico enorme gorilla (digitale) che si innamora della bella (Naomi Watts) che l'autore neozelandese premio Oscar decide di ripresentarsi al pubblico dopo lo stratosferico successo della trilogia "Il Signore degli anelli". Venti minuti che lasciano intravedere non solo raffiche impressionanti di effetti speciali (ben 1.400, più di tutti e tre i "Signore degli anelli" messi insieme), ma un film romantico e d'avventura old fashioned quanto coinvolgente.
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Jackson ha girato "King Kong" - una produzione da 150 milioni di dollari - interamente all'interno di teatri di posa, come avevano fatto i suoi predecessori 72 anni fa. Non esita a prendere le distanze dal remake del '76: il suo film segue molto da vicino l'originale del '33 ed è ambientato negli anni della Grande Depressione. Il copione, rielaborato da quello originale dallo stesso Jackson insieme ai co-scennegiatori Frank Welsh e Philippa Boyens, narra del produttore/regista cinematografico spaccone, Carl Denham, interpretato dal comico Jack Black ("School of Rock") - una curiosa scelta di casting da parte di Jackson - che coinvolge un'attrice bisognosa di lavoro, Ann Darrow (l'australiana Naomi Watts, nel ruolo che era stato reso leggendario da Fay Wray nella versione originale) e uno sceneggiatore altrettanto squattrinato, Jack Driscoll (il premio Oscar Adrien Brody) a seguirlo in un'avventurosa navigazione facendo loro credere di voler produrre un film.
Il gruppo si imbarca sulla Venture (un vecchio peschereccio acquistato dallo stesso Jackson) e dopo giorni di navigazione approda nella misteriosa isola di Skull, dove si ergono spezzoni di un'antica muraglia costruita migliaia di anni prima dagli abitanti indigeni dell'isola, gente dall'aspetto minaccioso, ottimi per un film horror. Come spiega il premio Oscar per effetti speciali Richard Taylor, socio di Jackson e co-fondatore del Weta Workshop undici anni fa, nel passato gli abitanti dell'isola vivevano in armonia con le gigantesche creature che popolavano l'isola: oggi la tregua è finita e solo quei resti di muraglia separano gli indigeni sopravvissuti dai dinosauri e dal gigantesco gorilla del titolo a cui vengono offerte giovani vergini in primitive cerimonie sacrificali.
Come nell'originale, Ann viene ovviamente catturata dal gigantesco King Kong, che se ne innamora e combatte per difenderla contro i dinosauri prima di soccombere alle armi degli uomini di Driscoll e portato a New York. Esposto in un teatro come l'ottava meraviglia del mondo, Kong si libera dalle catene e fugge attraversando Time Square, seminando terrore tra la folla prima di arrampicarsi, nella celebre scena in cui tiene Ann stretta nella sua gigantesca mano, sull'Empire State Building dove viene attaccato da una flottiglia di biplani che volano attorno alla sua gigantesca figura fino alla tragica conclusione.
"A differenza dell'originale il nostro Kong all'inizio è una creatura disperata", spiega Jackson, 45 anni, quasi irriconoscibile con venti chili di meno, durante una pausa delle riprese (sta girando una scena in cui Naomi Watts fugge da un immaginario Kong - poi realizzato al computer e quindi aggiunto digitalmente alla scena - a sua volta inseguito da Adrien Brody, nella finta giungla tropicale che la Weta Workshop ha ricrostruito in studio).
"La sua partner è morta, lui è solo, e grazie all'amore di Ann torna ad essere quel "maschio alpha" che era stato prima. Con King Kong sto cercando di fare un film come non se ne fanno più oggi", continua Jackson, "un semplice film di avventura con molta magia. Non voglio farne un film politico né cercare di leggervi troppo dentro a livello metaforico, che sia l'erotismo implicito in una favola come "La bella e la bestia" o una satira dello show-business. Ci limitiamo a osservare una creatura violenta e studiare le emozioni che lo guidano. Senza questa ossatura narrativa il film non avrebbe ragione di esistere. Mi auguro che alla fine, quando Kong viene abbattuto dalla cima dell'Empire State Building, non ci sarà un solo occhio asciutto fra il pubblico".
L'ambientazione retro anni '30 si deve a due ragioni, spiega Jackson: "La lotta di Kong in cima al grattacielo contro i biplani dell'epoca è un'immagine iconica: Kong non avrebbe avuto una singola chance contro i caccia di oggi. E poi volevo che fosse ancora possibile immaginare un'isola perduta nel tempo e ancora abitata da dinosauri: nel mondo di oggi non c'è più mistero". "Il "King Kong" originale è stato il singolo film che ha esercitato la più grande influenza su di me, il film che mi ha fatto diventare regista", dice Jackson.
"A nove anni di età, quando lo vidi per la prima volta, compresi il potere di evasione del cinema. Ho un grande debito, insomma, con King Kong".
Mentre la trilogia del "Signore degli anelli" era stata girata nei paesaggi più spettacolari della Nuova Zelanda, "King Kong" è stato girato interamente nei padiglioni della Weta e nei teatri di posa di Wellington, usando una combinazione di riprese su schermo blu, miniature e set di polistirolo dipinto. Alcuni isolati di New York sono stati costruiti appena fuori dal circondario di Wellington: a questi poi il premio Oscar Joe Letter, che dopo dieci anni alla ILM ha accettato l'invito di Jackson di trasferirsi a Wellington dove dirige la Weta Digital, ha aggiunto digitalmente la dimensione verticale della città.
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Il film esce in tutto il mondo il 14 dicembre. E il successo, stando alle premesse, sembra davvero assicurato.