Champions: Juve, fuori i denti
Il Times punge: «Gattini». Ranieri: «No, solo più poveri»
MARCO ANSALDO
Una cosa che gli inglesi sanno fare benissimo è usare le parole adatte perché gli italiani ritrovino lo spirito, non diciamo di patria, ma almeno di corpo. E’ bastato un impietoso editoriale del «Times» dal titolo «I leoni d’Italia adesso sono gattini sdentati» per alzare i toni della due giorni di Champions League: «L’unico complesso di inferiorità nei confronti del calcio inglese è nei soldi», ha ribattuto Claudio Ranieri, apripista nell’Italia-Inghilterra di Coppa che comincia questa sera con Juve-Chelsea. La polemica è sciocca e imprecisa anche se viene da un giornale che per definizione è «autorevole». Nel calcio globalizzato cercare nelle grandi squadre di club una caratteristica nazionale è come chiedersi quanto sia rimasto di veramente svizzero nella Nestlé. Nell’Arsenal che ha battuto la Roma due settimane fa non c’era un giocatore inglese, il Chelsea oggi ne avrà in campo appena tre (Terry, Cole e Lampard), l’Inter affronta il Manchester United con soltanto un italiano, il giovane Santon, e Mourinho non è nato a Cusano Milanino altrimenti gestirebbe la squadra e i giornalisti come faceva Trapattoni. Persino i club hanno perso la matrice nazionale, almeno Oltremanica.
Il Chelsea ha un proprietario russo, il Manchester United un americano di origini lituane e l’Arsenal ha come primo azionista un anglo-belga che vive a Ginevra per evitare guai con il fisco, come secondo un uzbeko e come terzo uno statunitense. Insomma non tenere conto che siamo nel 2009 e non nel 1979 quando in Italia non c’erano calciatori stranieri e nelle squadre inglesi il massimo dell’esotico era un irlandese offende il buon senso e la verità. «La ragione per cui è diventato più difficile batterli? - ha spiegato Del Piero - E’ negli investimenti che fanno, non soltanto a livello economico, e nell’importazione di campioni e soprattutto di tecnici dall’estero: prima erano capaci di fare bene una cosa sola, adesso sono migliorati in tutto assorbendo la mentalità e le esperienze dagli stranieri».
Resta il fatto che per i nostri club affrontare le squadre di marchio inglese è diventato quasi proibitivo: lo scorso anno su 8 partite le italiane non ne hanno vinte nemmeno una e nei tre match di andata dei quarti non hanno segnato neppure un gol. Insomma se i denti ci sono è il tempo di mostrarli e la Juve, che di Gattino ne ha soltanto uno, di nome Giuseppe ed è a capo della comunicazione, sembra decisa a farlo. Restano da definire le modalità. I bianconeri, le cui ultime eliminazioni dalla Champions risalgono all’epoca di Capello e portano la firma di Liverpool e Arsenal, devono dimostrare che il dopo Moggi ha modificato, tra le tante cose, pure l’anglofobia. Il riferimento più pertinente è al confronto con il Liverpool nell’aprile 2005: sconfitta 2-1 all’andata, pareggio 0-0 nel ritorno, con la certezza di aver sbagliato completamente la partita perché la qualificazione era alla portata e il Liverpool quell’anno vinse la finale a Istanbul contro il Milan.
Sarebbe una colpa giocare un altro match molle e confuso. Del Piero, che ricorda quella sera, ha citato infatti il cuore e l’entusiasmo, come armi indispensabili per superare il Chelsea. La sola tecnica può non bastare alla Juve che ha meno qualità di allora. Il secondo tempo dell’andata a Stamford Bridge indica la strada da seguire, perché i bianconeri misero il Chelsea sotto pressione e non rischiarono quasi nulla: ovviamente questa volta devono trarre dal gioco il gol senza esporsi al contropiede di Drogba, un bisonte nero, difficilissimo da fermare in corsa. Pensiamo che Hiddink non cambierà l’assetto di due settimane fa. L’unica variazione è se toglie Anelka e mette Malouda, più bravo a coprire la fascia, ma sono dettagli.
La qualificazione passa per altre strade (ad esempio se Del Piero ritrova lo stato di grazia con cui cancellò il Real Madrid), e forse per l’infermeria. L’emergenza è seria: dopo l’ultimo allenamento, anche Legrottaglie guarderà la partita dalla tribuna perché non si fida del ginocchio sinistro infortunato non si sa bene quando, altro mistero del settore infortunistico. Dopo l’esperienza di Sissoko, rischiato nel derby benché avesse il piede a un passo dalla frattura, Ranieri deve aver pensato che non si può sfidare la fortuna: ripiegherà su Mellberg come ha fatto contro il Toro. La difesa è fatta, il resto meno. Dipende da quanto lo stratega del Testaccio vuole rischiare. Tra gli attaccanti Iaquinta è il più in forma, ha peso, corsa e attitudini per sacrificarsi sulla destra a metà tra la punta e il mediano. Con Nedved esterno dall’altra parte, la soluzione più equilibrata sarebbe rispolverare Marchisio e Poulsen in mezzo, per recuperare palloni e arginare Ballack, Mikel e Lampard, gente tosta.
Le sensazioni portano a un altro assetto. Salihamidzic se l’è cavata nel derby nel posto che fu di Camoranesi e di Marchionni: offre garanzie in copertura. Senza il tridente e con il bosniaco che non sa inventare in attacco, la presenza di un regista come Tiago diventa quasi indispensabile per non affidarsi completamente alle intuizioni di Del Piero e alle corse di Nedved. Lato A e lato B, bisogna scegliere e non sbagliare mossa, sperando nella salute di chi è rimasto: l’emorragia di uomini è impressionante e non è la prima nella stagione. Quando la giostra si sarà fermata e la Juve avrà il tempo per riflettere sarà giusto valutarne le ragioni.