Ferrara & Del Piero, quando l'amico va in panchina
Il nodo del neo allenatore: gestire gli ex compagni. Intanto Alex è senza posto fisso nella nuova Juve
MASSIMILIANO NEROZZI
INVIATO A PISA
Quando, a una telefonata ogni due, si sente paragonato a Pep Guardiola, Ciro Ferrara sorride, lo prende come un augurio, tre titoli al primo colpo, vuoi mettere, e pensa al gran lavoro che l’aspetta in bianconero. Ancora più tosto del collega spagnolo, se non altro perché lui mai aveva allenato fino a due panchine fa e perché, banalmente, Messi, Xavi e Iniesta non ci sono ancora. Però, almeno un po’, al Barça vorrebbe far somigliare la sua Juve, rubando principi al codice blaugrana: grande possesso di palla, sforzandosi di giocare a livello dell’erba, senza abusare dei lanci lunghi e, poi, divertimento.
Allora, il Ciro che verrà sarà un briciolo di Guardiola, di Lippi, di Capello. Lui, alla prima presentazione, aveva rifiutato qualsiasi etichetta («Lo dico subito: non ho nessun referente»), ammettendo però che i tecnici che l’avevano fatto lavorare ne avrebbero influenzato la nuova carriera: «Mi sembra normale - aveva ammesso Ferrara - che qualcosa prenderò dagli allenatori che hanno segnato la mia vita da giocatore».
Ma se un marchio fosse necessario, potrebbe essere lippiano, che lui non rifiuta: «Non voglio paragoni - ha detto - anche se è inevitabile che io venga da quella scuola». Intanto il detentore del copyright ieri gli ha spedito un abbraccio e un bell’augurio: «Non so se mi rivedo in Ciro - ha detto Marcello Lippi - ma voglio fargli i complimenti. Ha carisma, personalità, intelligenza, saggezza e simpatia per stabilire un rapporto con i professionisti di altissimo livello e insieme a loro costruire qualcosa di importante». Proprio con gli uomini, e gli amici che furono compagni, Ciro s’era confrontato subito nello spogliatoio, ottenendone il rispetto, e la distinzione di ruoli. Questa sarà la prima sfida, anche quando verrà il tempo delle scelte, dal prossimo luglio ben più gravose rispetto al finale di campionato. Molto, in una squadra come la Juve, conterà la gestione del nucleo storico: perché ormai, a volte, la carta d’identità e la forza non supportano più l’ambizione e la difesa delle gerarchie. Mentre se ne affacciano di nuove, perché Diego, il suo talento e, sì, il suo prezzo, prenderanno molto spazio. Peserà, così, il minutaggio di Alex Del Piero, ripromosso titolare nel mini-sprint finale, del Trezeguet insofferente, e forse prossimo partente, del Camoranesi ribelle. E di Fabio Cannavaro, altro ex commilitone di campo, preso mesi prima che Ferrara s’insidiasse sul ponte di comando.
Di certo, Ferrara molto di lippiano ha nella sacralità del gruppo. «Prima ci sono gli uomini - disse una volta il ct - poi i giocatori»: una frase che, probabilmente, Ciro sottoscriverebbe. «La mia idea - ha detto non a caso il nuovo tecnico bianconero - è che il singolo debba essere a disposizione del gruppo e che solo così si valorizzino i campioni». Senza troppi vincoli sul telaio, tranne i quattro in trincea davanti a Buffon: «In linea di massima - ha spiegato - il mio modulo sarà a quattro in difesa, a tre a centrocampo, più un rifinitore e due punte, ma si può anche cambiare, perché si deve anche saper prescindere da un giocatore pure di grande valore come Diego, quando sarà assente. Valuteremo quali saranno gli uomini adatti, perché il mio compito è quello di ricavare il massimo da tutti». E se poi capiterà a qualche «senatore» di stare a sedere, pazienza: prima del fenomeno, prima dell’amicizia, c’è la Juve.