Comunque propongo buko moderatore, la deriva destrorsa di questo forum non mi piace pe' gniente!
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Yaaaai! Sanity! What do we need it for!!?
Ma che caz.zataCaro Brunetta, così hai mandato in crisi
il sistema delle donazioni di sangue
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Chiedo al ministro Brunetta dov'è la sua bravura nell'aver mandato in crisi il sistema delle donazioni di sangue, malgrado avesse promesso a gran voce che avrebbe tolto dal decreto "antifannulloni" la norma che toglie al donatore fino a 20% del salario nel giorno della donazione, norma in vigore solo per i dipendenti statali, mentre quelli del privato continuano a percepire il 100%?
Donare il sangue con la possibilità della retribuzione garantita per quel giorno - giusto o sbagliato che sia - ha fatto funzionare il sistema delle donazioni per decenni. Demolire questo equilibrio senza trovare delle alternative valide è sbagliato.
La donazione del sangue è un grande gesto di civiltà, di solidarietà, è un gesto volontario e come tale non dovrebbe generare profitto per chi lo fa. Non andare a lavorare il giorno della donazione e ricevere l'intero stipendio è effettivamente un vantaggio per il donatore che ne usufruisce e, al costo ospedaliero di quella sacca di sangue, si aggiunge il costo di un trentesimo dello stipendio mensile. Per questo io, piccolo statale fannullone, che non riesco a lavorare la notte e che sono meno bravo di Brunetta, in oltre 20 anni di donazioni di sangue non ho mai chiesto il permesso lavorativo.
Caro ministro Brunetta dov'è stata la sua bravura? Nell'aver mandato in crisi gli ospedali per la diminuzione delle donazioni? Eppure la soluzione ci sarebbe e mi sembra tanto ovvia che non capisco come non l'abbia pensata e le farebbe risparmiare ancora di più: non dare il permesso lavorativo retribuito per la donazione a nessuno, né ai dipendenti statali né a quelli privati, e con una parte dei tanti soldi risparmiati tenere aperti i centri trasfusionali tre ore la mattina di tutti i sabati e di tutti i giorni i giorni festivi. Sarebbero in tanti ad andarci la domenica, io per primo. Perché la gente normale non è come i ministri, non riesce ad essere in due posti nello stesso momento: o sono al lavoro o sono a donare il sangue.
Molti vanno durante un giorno di lavoro anche perché non possono fare altrimenti. Non è nemmeno possibile chiedere agli ospedali, già al limite, di tenere aperti i centri trasfusionali tutti i fine settimana senza un aumento delle risorse umane ed economiche.
Ruggero Da Ros
Vittorio Veneto (Treviso)![]()
Una norma «devastante» e che penalizza la donazione di sangue: così Sergio Casartelli, presidente onorario dell'Avis di Milano, definisce le misure anti-fannulloni della legge 112 voluta un anno fa dal ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta.
Secondo la legge 112, i lavoratori del settore pubblico che donano il sangue non hanno più diritto alla retribuzione aggiuntiva, legata alla contrattazione integrativa. «È una norma devastante - dice Casartelli - perché mette nel cittadino non la cultura del sociale e dell'aiuto alla persona, ma la cultura del fregarsene. Il cittadino sa solo che gli tolgono dei soldi. Ci hanno promesso che avrebbero cambiato la norma, eppure non l'hanno fatto: è un anno che aspettiamo».
Secondo il presidente Avis, l'azienda dei trasporti milanesi Atm avrebbe già recepito nel suo contratto, alcune settimane fa, norme che si adeguano a questa legge: «Il ministro Brunetta ha ormai lanciato l'esempio, ha fatto "cultura" equiparando la donazione di sangue con l'assenteismo. Credo debba essere dato un segnale - conclude Casartelli - perché non entri nella testa delle persone che viene penalizzato il volontariato che serve a salvare una vita. Le aziende non lo mettano nel loro contratto, e tutte le Regioni si associno, affinché contrastino questa logica nella Conferenza Stato-Regioni».
voi che dite?
L'avevo già sentita, ma lì ancora pensavano che Brunetta avrebbe cambiato idea.
Corriamo tutti in libreria
Spoiler:
di MARIO AJELLO
POTEVANO essere memorie da ex, se Mastella non fosse stato eletto all’Europarlamento. Invece ce l’ha fatta ad andare a Strasburgo e questo libro (“Non sarò Clemente”, scritto per Rizzoli insieme a Marco Demarco, direttore del Corriere del Mezzogiorno) rappresenta la ripartenza di un politico sottoposto a una pubblica gogna e a un’«aggressione giudiziaria», rivelatesi ingiuste. E a causa delle quali Mastella è caduto in depressione («Clem, non mollare», gli scriveva la moglie Sandra via sms e «io quel messaggino, che è stato il mio Prozac, lo conserverò per sempre») e s’è sentito «solo come un animale ferito, abbandonato dal branco». Questa l’immagine che è venuta in mente al suo amico Carlo Rossella vedendo il Guardasigilli del governo prodiano mentre annunciava, nel mezzo della bufera giudiziaria che colpì Sandra, le sue dimissioni in Parlamento in mezzo al gelo dei colleghi dell’esecutivo e della maggioranza.
Rieccolo, allora, il Clemente non Clemente. L’aspetto gustoso del suo libro è nella brillante capacità di racconto che appartiene al personaggio Mastella e anche al coautore di queste pagine. A un certo punto, entra in scena papa Ratzinger. «Mi schierai per il no ai Dico, le unioni fra omosessuali», racconta il leader dell’Udeur», «e tenni duro. Un giorno mi arrivò una telefonata dal Vaticano. Mi passarono la segreteria del Santo Padre. Subodorai uno scherzo e, quando sentii quella voce dall’accento teutonico, pensai a Fiorello. Ma poi mi convinsi che era davvero il Papa. Voleva esprimermi il suo apprezzamento per la mia posizione». Da un bozzetto ad altri bozzetti. I «trenta denari» che, come si favoleggiò, Berlusconi avrebbe dato a Mastella, per tradire Prodi? «Non ci sono», assicura Clemente. Il quale contattò il Cavaliere solo successivamente e quando ormai si stava andando alle elezioni. Il Cavaliere prima promette di candidare lui e alcuni dei suoi, poi si defila e sparisce. Mastella lo chiama, e quello non risponde. Riprova, ma ancora niente. Berlusconi gli fa dire dalla segretaria che lo richiamerà e invece il telefono tace. «A quel punto, mi confido con Sandra. “Dammi il numero”, mi fa. Chiama e dice: “Sono Sandra Mastella, come sta?”. Parla con Berlusconi e anche con Veronica». Ma il Cavaliere non prende nessun impegno. Anzi, qualche giorno dopo andrà in tivvù a dire: «L’accordo con Mastella? Non posso rispettarlo. Mi costerebbe troppo in termini di consenso». Commenta Clemente nel libro: «Sono morto in un momento, come avrebbe detto Mogol».
Ora, comunque, il premier ha risarcito il «gladiatore sannita», trovandogli un posto per le europee, e Mastella s’è conquistato l’elezione nel Sud e in Campania, la regione in cui «l’erede del laurismo oggi è Bassolino». La prima volta col Cavaliere fu in piazza del Gesù nell’87: «La Dc chiamò proprio lui a occuparsi della propaganda. Ci riunimmo in tre: De Mita, Berlusconi e io». Ma le dritte pubblicitarie del Cavaliere non piacciono e Ciriaco: «Cleme’, ma chi m’hai portato?». Un salto di vent’anni e irrompe Di Pietro in questi pensieri mastellati. «L’idea secondo cui lui incarnerebbe il bene e io il male non so davvero su cosa poggi». E via a criticare Tonino perché s’intromette sempre nel suo lavoro di ministro della Giustizia, mentre Prodi a detta di Clemente sembra parteggiare con l’ex pm più che con il Guardasigilli. E poi, in generale, nonostante gli inviti di Mastella a reagire, il Prof. oppone un atteggiamento poco ferreo nel respingere le insidie quella rappresentata dalla nuova leadership veltroniana, per esempio che s’addensano sul suo governo, fino a farlo precipitare. E mentre quell’esecutivo barcolla, «io da destra ricevevo attenzioni e offerte politiche a iosa. “Lascialo cadere”, mi dicevano alludendo a Prodi: “Mollalo!”». Ma Clemente resisteva, e tuttora si dichiara innocente rispetto all’esito catastrofico di quella stagione del centro-sinistra, anzi dice di aver fatto di tutto pur di salvare la pelle al Prof. E via con il pm De Magistris e l’inchiesta “Why not” come simboli del peggio di cui Clemente è restato vittima. Ecco qualche mea culpa sulla «superficialità» con cui ha selezionato i politici dell’Udeur che poi l’hanno tradito. E a questo proposito: «Circa il 30 per cento dei quadri dirigenti del partito di Di Pietro è oggi rappresentato da personale politico proveniente dall’Udeur. Allora chiedo: com’è possibile che questo stesso personale politico, quando stava dalla mia parte, doveva sentire sulle proprie spalle tutto il peso del pregiudizio nazionale, mentre oggi che lavora con Di Pietro è considerato la parte eletta e moralmente intonsa dell’élite italiana? Mistero». O meglio, uno dei tanti cortocircuiti che vengono prodotti dalla politica, quando diventa uno scontro manicheo fra Bene e Male.
clem clem!
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Visto che siamo in tema di libri:
ANTEPRIMA DOPO LA RINUNCIA A GUIDARE IL PD, IL LEADER SCOPRE «MALINCONIA», «SERENITÀ» E UN «PRESENTE CHE NON GLI PIACE»
«Noi», un romanzo oltre la politica
Veltroni torna alla narrativa: quattro storie fra il ’43 e il 2025
Noi. Si intitola così il nuovo romanzo di Walter Veltroni. Un libro lungo — fra le 350 e le 450 pagine —, ma scritto di getto, nei mesi seguiti alle di missioni dalla segreteria del Partito de mocratico. «Ero nelle condizioni ideali per scrivere, e non solo perché finalmen te avevo il tempo e il respiro necessari— confida Veltroni —. Era il mio stato d’ani mo, a metà tra la malinconia e la serenità, a darmi la cifra psicologica giusta. Per questo penso che questo romanzo sia la cosa più bella che abbia mai scritto in vita mia».
Come ogni libro di Veltroni, è destina to a suscitare molte lodi e qualche ironia. Anche Noi, come i precedenti Senza Pa tricio (70 mila copie) e La scoperta dell’al ba (300 mila, tradotto in sette lingue), uscirà — da Rizzoli — in una data incon sueta, a fine agosto. La trama è ancora se greta, ma qualche anticipazione filtra. Il romanzo sarà scandito in quattro capito li, ambientati in quattro anni diversi. Ognuno ha per protagonista un bambi no, o meglio un ragazzino tra gli undici e i sedici anni.
Il primo capitolo è ambientato nel 1943: il bombardamento di San Lorenzo, il 25 luglio, l’8 set*tembre, la depor tazione degli ebrei dal ghetto di Roma. Il secon do, nel 1963: l’an no del primo cen*trosinistra, della morte di papa Giovanni, dell’as sassinio di John Kennedy. Il terzo, nel 1980: strage di Bologna, Ustica, l’assas sino di Walter Tobagi, lo scandalo del cal cioscommesse, la marcia dei quarantami la a Torino, il terremoto dell’Irpinia, l’ele zione di Reagan e la morte di Lennon. Il quarto, nel futuro, e precisamente nel 2025. Lui lo spiega così: «Ho scelto un fu turo prossimo, non da fantascienza. Né il 1984 orwelliano, né il 1997 «Fuga da New York». Non il futuro catastrofista pensato talora a sinistra, ma neppure quello asetti co caro a un pensiero acritico, per cui le cose non hanno significato in sé, basta che accadano. Ho cercato di immaginare come sarà l’Italia tra sedici anni».
Migliore? «Non lo so. Questo dipende dall’interpretazione del lettore».
«La storia fa da scenario. È la storia a influenzare le vite dei protagonisti, non il contrario. Noi non è un romanzo politi co, non in senso stretto. Ma per me ha un forte significato etico — racconta Veltro ni —. Ci sono i miei valori, le mie emozio ni. E tanti personaggi, ognuno con i suoi dubbi, la sua storia. Scriverlo è stata un’esperienza molto bella. Ora che l’ho fi nito, è come se mi mancasse».
Nel 1943 Veltroni non era ancora nato, ma l’anno segna anche la vicenda della sua famiglia: il nonno materno, «un uo mo grande e forte, tanto che dicevano po tesse spezzare un elenco telefonico con le mani», viene arrestato dai nazisti e porta to in via Tasso: morirà più tardi per le con seguenze delle torture. La delazione era venuta dalla pasticceria sotto casa, che Jo vanka, la madre di Veltroni, gli impedirà di frequentare «perché quei signori lì hanno tradito il nonno». Nel 1963, Veltroni aveva otto anni. «Ma il bambino del secondo capitolo non so no io. Non necessariamente. C’è qualche elemento autobiografico, sparso qua e là».
Berlusconi c’è ancora nel 2025? «Nel mio nuovo romanzo, il presente non c’è. Ho scelto così, sia per evitare il sospetto che volessi parlare furbescamente del no stro tempo, sia perché il nostro tempo non mi piace. È un tempo che dura appe na ventiquattr’ore. La politica è concentra ta sulle dichiarazioni di un giorno per l’al tro. La società è bulimica e nevrotica, bru cia tutto così in fretta che il mese scorso ci pare lontano mille miliardi di anni».
Il titolo, spiega Veltroni, indica la ne cessità di «ricostruire il senso di una mis sione collettiva. La vita non è mai una questione individuale: senza gli altri, sen za le dimensione comunitaria, qualsiasi esistenza si sfarina. Insieme all’io, ci sia mo noi. Così come dobbiamo ricostruire il senso della memoria. Per questo ho scritto un romanzo sulla grande storia na zionale, sull’identità di un Paese addolora to, sfortunato, e però straordinario, che vorrei ritrovare».
Da qui, l’idea di «saltare il presente e gettare uno sguardo sul futuro. Perché tra il terzo e il quarto capitolo passano quasi cinquant’anni. Certo, c’è qualcosa e qualcuno che lega tra loro i quattro ragaz zini, le quattro epoche storiche, le quat tro Italie. Ma lo scoprirete solo leggendo il libro…».
20 giugno 2009
Tra i due, comprerei quello di Veltroni.
Non vedo l'ora di perdermelo [cit.]![]()
spiega, tu che non sei giovane.
Era il jingle pubblicitario della Clementoni, detto con voce e tono fastidioso![]()
Io me lo ricordo benissimo!!
Questo vuol dire che non sono più gggiovane???![]()
Quell'invito del premier a Patrizia
"Vai ad aspettarmi nel letto grande"
http://www.repubblica.it/2009/06/sez...ia-bonini.html
Odddìììììooooo muoio!!!!
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Ma ieri a Cinisello?![]()
Cappuccino?
Brioche?
Bensvegliato![]()
http://tv.repubblica.it/copertina/co...ni/34132?video
Ecco la differenza tra i comuni mortali e Silvio: loro vanno a puttane, lui a ESCORT!
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E' la tua macchina, Sparatrap?
Ah no, la escort... la ford escort... ah era una battuta![]()
Silvio! Silvio! Silvio!http://www.ilsole24ore.com/art/SoleO...lesView=Libero
Il Premier è stato accolto e più volte interrotto da fischi e contestazioni di un centinaio di persone presenti in piazza Gramsci. A loro si è rivolto con parole nette e dure. «Abbiamo anche la contestazione, evviva - ha detto in apertura di discorso - così almeno tutti potete capire le differenze tra noi e loro». In un crescendo di indignazione, il Premier ha urlato dal palco: «vergogna, restate poveri comunisti».
Mamma mia, ricoveratelo oppure mandatelo in pensione...
EDIT
http://www.youtube.com/watch?v=UBMioqjsxZQ
E' andato veramente fuori di testa!!!!
Vergogna! Vergogna! Vergogna!
Dov'era che lo chiamavano Magico! Magico!![]()
Sparatrap, sei andato a raccogliere funghi vicino alle fabbriche chimiche?