keiser ha scritto mar, 06 settembre 2005 alle 07:18
Chi ha visto crescere il mondo dei videogiochi da qualche lustro a questa parte ha ancora nella mente il ricordo di leggende come Braben, Crammond o Romero, che programmavano i loro capolavori di notte, nel garage o in uno stanzino buio.
Oggi non è più così, si dice: le produzioni cosiddette tripla A sono sempre più costose, le console e l'hardware di nuova generazione hanno costi e tempi di sviluppo altissimi, cui si affianca la necessità di un impianto grafico e sonoro all'altezza: budget da decine di milioni di dollari, team di programmatori da 100 persone, minimo due anni di produzione... Non c'è più spazio per i garage games?
No.
Ma solo all'apparenza.
Crashday è un titolo che promette scintille, nato un paio di anni fa dall'entusiasmo di due sole persone, che adesso lavorano con altre quaranta per portarlo a termine; a scrivere Pathologic sono solo in cinque. E questi sono solo due esempi di titoli "grossi" nati come "piccoli".
Ma è nel mercato shareware, dei cosiddetti "casual games", che - negli Stati Uniti, per ora -
girano i veri soldi, dove il successo si misura in centinaia di migliaia di copie vendute (a fronte di budget ridicolmente più bassi e "team" da una, due persone), cifre che i distributori possono solo sognare. Un modo talmente diverso di concepire i VG che i grandi publisher e i giocatori "avvelenati" (come noi) non si filano manco di striscio.
Eppure vi confesso che ultimamente sono
Zuma Deluxe e
Wik a divertirmi più di tanti altri...
Un nuovo mondo da scoprire?