Mentre facevamo il check-in per imbarcarci sul primo aereo per gli Stati Uniti (lasciando da parte l'evoluzione tragicomica del viaggio da quel punto in poi), sia il Calzetta che il ToSo mi ricordavano che i giornalisti in visita negli USA devono disporre di un permesso speciale, a quanto pare assai complesso da ottenere, e che ovviamente nessuno di noi aveva con sè; per questo motivo mi consigliavano caldamente, se non volevo essere "rimbalzato" nuovamente a Milano, di glissare sulla mia professione, e dire che mi recavo negli States per piacere. Così ho fatto, anche se non ne vado fiero, e tutto è filato liscio.
La sincerità è invece costata cara a sei giornalisti francesi, venuti anch'essi a visitare l'E3, che alla dogana hanno rivelato senza preoccupazioni la propria professione e i motivi del loro viaggio: giornalisti, in visita per affari. In mancanza di un visto speciale, i sei sono stati perquisiti, ammanettati, gli sono state prese le impronte digitali, e infine trattenuti in cella di detenzione per un giorno intero, nonché rispediti in Francia con il primo volo. Destino analogo per cinque inviati inglesi, prontamente "rimbalzati" a casa per l'assenza del famigerato visto. L'associazione Reporters Without Borders (http://www.rsf.org/article.php3?id_artic le=6909) ha fatto sapere che denuncerà nei prossimi giorni il governo americano per violazione dei diritti dell'uomo.
Probabilmente non ci sono gli estremi per una denuncia in piena regola, ma alcune domande rimangono: perchè serve un visto speciale per i giornalisti che vanno negli Stati Uniti? E soprattutto, a cosa serve, visto che basta raccontare una fola qualsiasi per aggirare l'ostacolo?