Poi, un giorno, ti viene voglia di prenderne due o tre a caso, tra quelli che “sì, sei bravo tu a parlare, si vede che non abiti vicino a un campo, qua la gente non ne può più e tu li difendi pure, proprio bravo”. Prendere due o tre di quelli là, che a volte sono pure amici, persone che stimi e a cui vuoi bene, metterli seduti, offrire loro un caffè e con grande gentilezza chiedere: noi come la prenderemmo?
Noi come la prenderemmo, per dire, se ci fosse toccato in sorte di nascere in mezzo alla mondezza in un posto di merda, e senza fare manco in tempo a sporcare il primo pannolino ci trovassimo catapultati a calci nel culo in un altro posto di merda, in mezzo ad altra mondezza, durante una procedura che risponde al significativo nome di “sgombero” tra urla, pianti, povere cose buttate in mezzo alla strada e manipoli di disgraziati che le raccattano?
Come la prenderemmo, se dovessimo crescere con dei genitori che siccome “non hanno voglia di lavorare” e “tanto rubano” nessuno si fida di farli lavorare, finché non si chiude mirabilmente il circolo vizioso e allora la vulgata che non hanno voglia di lavorare diventa verosimile e il fatto che rubano, inevitabilmente, diventa vero, di tal che tutte le mattine dovessimo alzare il culo, pur essendo ancora dei marmocchi alti così, per procurarci i quattro soldi che servono a dar da mangiare a tutti gli altri?
Come li prenderemmo, gli sguardi scostanti di quelli che passano mentre chiediamo l’elemosina, gli sguardi carichi d’odio di quelli a cui strappiamo un portafoglio o uno zaino perché morire di fame no grazie, gli sguardi spaventosi di quegli altri che zingarella vieni qua, ti faccio toccare qualche cosa che ti piace, tanto dalle tue parti siete abituati?
Come la prenderemmo, se ci toccasse di passare l’infanzia in un postaccio dove c’è solo un filo d’acqua per decine, centinaia di persone, roba che lavarsi non ci si può lavare e allora si puzza, e poi quando si va a scuola gli altri ti schifano perché puzzi finché a scuola non ci vuoi andare più, perché mica è bello entrare in un posto e starsene in mezzo a bambini come te che un po’ ti temono, un po’ prendono per il culo, e ai loro genitori che protestano col preside per mandarci in un’altra classe?
Come la prenderemmo, se fossimo costretti a crescere a forza di espedienti, a vivere in loculi puzzolenti quando va bene e in spiazzi abusivi che puzzano di piscio in tutti gli altri casi, portando abiti smessi, circondati da mosche e polvere e sorci e spazzatura e residenti del quartiere che ci odiano e firmano petizioni, se ci fosse stata negata la prospettiva non dico di un’esistenza luminosa, ma delle gioie banali di una vita modesta, di un segreto col compagno di banco e del primo bacio senza lingua con quella della fila dietro?
Come la prenderemmo, se all’età nella quale le persone normali si affacciano al mondo fossimo già piegati, stremati, rotti a tutto, con in bocca la metà dei denti, la fedina penale che è diventata lunga come un rosario e tra le gambe uno sciame di ragazzini da sfamare, o peggio dai quali essere sfamati?
Come la prenderemmo, se arrivati a quarant’anni ci rendessimo conto che la nostra vita, grosso modo, è finita là, che da quella vita non abbiamo fatto in tempo a prendere niente di bello, che ci sarà capitato di farci una dormita o una cagata in pace, senza essere circondati dal sudore e dal fiato di altri disgraziati come noi, sì e no una decina di volte in tutto, che alla fine siamo diventati, nostro malgrado, la feccia che gli altri andavano dicendo che fossimo fin dall’inizio?
Come la prenderemmo se guardandoci indietro, attraverso le generazioni, non vedessimo che sgomberi, persecuzioni e deportazioni di massa?
La prenderemmo male, io penso.
La prenderemmo così male che molti di noi, forse io per primo, andrebbero fuori di testa. Impazzirebbero, proprio. Altro che chiedere l’elemosina o rubare in qualche appartamento. Individui senza scruopli, branchi di belve assetate di sangue, diventeremmo, disposti alle peggiori nefandezze pur di prenderci per forza tutto quello che ci è stato negato, pur di far esplodere la nostra rabbia, come una granata, su tutto quello che ci ha ridotto così.
La verità è che gli zingari, come li chiamate voi, sono fin troppo pacifici rispetto a quello che subiscono. Da secoli, mica da ieri. Come diceva De André, meriterebbero il premio Nobel, perché da sempre girano il mondo disarmati e spogli dai propositi di vendetta che probabilmente animerebbero chiunque altro al posto loro.
Gli zingari danno fastidio, rubano, non lavorano. E’ tutto vero.
Ciononostante, continuo ad avere la sensazione che siano molto migliori di noi.