C'è stato un periodo, nella storia dei videogiochi, in cui le cose che il giocatore faceva avevano importanza. Si ripercuotevano sul mondo che lo circondava, nel bene o nel male.
Poteva essere un dialogo mal impostato che ti costringeva - e qui magari si pecca per eccesso nel senso opposto - a ricaricare un salvataggio precedente perché l'interlocutore si era imbruttito e non era più possibile andare avanti.
Capitava che se uno cadeva da un cornicione moriva, o come si diceva tanto tempo fa, "perdeva una vita".
Un approccio più radicale, quasi primitivo, punitivo.
Azioni - conseguenze.
Oggi? Beh, oggi è tutta un'altra storia.
Se cadi, qualcuno ti recupera al volo. Non serve neanche più "riavvolgere" il tempo, che pure è un "aiutino" mica da poco.
Se ti capita di dire una fesseria, "poco male, facciamo finta di niente e riproviamo".
In questo modo la frustrazione diminuisce, siamo d'accordo. Del resto, non credo che sia più concepibile al giorno d'oggi un videogame nel quale se finisci le vite devi ricominciare tutto daccapo.
Ma è innegabile le azioni abbiano perso parte del loro peso.
Non importa cosa si fa, perché tanto si "va avanti" comunque.
In fin dei conti è solo questo che conta, no? Andare avanti, sbloccare achievement, vedere il filmato finale.
Ci sono ancora tanti titoli che fanno delle conseguenze il loro punto di forza. Ma colpisce il fatto stesso che questo sia diventato un punto di forza e non più qualcosa di assodato.