Originariamente Scritto da
cetra
Dio, è una delle cose più belle che io abbia mai visto.
Ma dai, per favore. Non partiamo con il pippotto tra il raccontare e il mostrare in narrativa, nel cinema. Sono aperto al dialogo, davvero, e non voglio nemmeno convincerti che sia stato un bel finale, perché se non lo hai apprezzato o meno sinceramente a me non ne viene in tasca niente.
Però.
Ecco, però mi sembra che il tuo atteggiamento sia davvero poco costruttivo. Puoi fare tutte le faccette che vuoi, e buttarmi tutte le freccette che desideri, ma a questo punto sono io a chiederti cosa hai visto, cosa hai letto, quanto ne sai di tecniche narrative, di punto di vista.
Lost non dice, Lost mostra. Show, don't tell. Buona parte del cinema usa questa regola, per cui - anche nei gesti più semplici - è lo spettatore a interpretare e farsi attivo. Non è un subire passivamente gli eventi, ma comprenderli. Farsi carico del messaggio.
Qual è il rapporto tra gli eventi che vedi e la verità? La storia è parziale, ma in Lost il gioco con la verità è ancora più soggettivo. Non c'è un narratore, c'è un punto di vista, c'è un occhio mobile che si sposta. Lost non solo non dice, ma quando lo fa possiamo scommetterci che stia mentendo: quante volte le spiegazioni nude e crude fatte da un personaggio all'altro si sono rivelate enormi bugie? Cos'è quindi la verità?, cosa succede davvero su quell'isola?
Lo stesso Fellini, proprio quello che ha girato tutti i Vacanze di Natale che ho visto e rivisto
, diceva che lui non voleva dire nulla nei suoi film, ma solo far vedere, solo mostrare. Ed è quello che succede in quella scena, se poi non hai la sensibilità di capirlo, oh, fa nulla davvero.
Altre frecciatine, ma che palle.
Innanzitutto non capisco la polemica con i manga o i fumetti, visto che io ho letto anche fumetti che posso orgogliosamente mettere sulla scrivania di fianco ai libri.
Seconda cosa, ti assicuro che la tua esperienza di sceneggiatura in cameretta non ha nulla a che vedere con la scrittura professionale.
Io esperienze di sceneggiatura ce le ho, con budget da centinaia di migliaia di euro. E quindi? Stiamo giocando a chi ha il pisello più grosso? Dai...
Il punto è che la scrittura televisiva è complessa, deve tenere conto di mille variabili.
L'errore più grande fatto dagli autori di Lost è, a mio avviso, non essere stati chiari durante le interviste, ma forse perché nemmeno avevano il pieno controllo della serie. Dirci per due stagioni che tutto si sarebbe risolto con una spiegazione logica non ha aiutato, così come non hanno aiutato i commercial di inizio anno in cui dicevano che ogni segreto sarebbe stato rilevato. Ma - appunto - sono variabili su cui non hanno controllo.
Ci hanno accompagnato passo passo. Ogni stagione aveva un grande tema, ogni stagione ha un taglio diverso dalle altre: per questo motivo c'è chi ama la seconda, chi la quarta. Non direi che non è stata coerente, piuttosto che ha privilegiato diversi aspetti a seconda della serie. Sicuramente, se è questo che vuoi dire, si è persa molte cose. Ed è una colpa di Lost, poi c'è chi sente più la mancanza di alcune risposte, chi meno. Sono il primo a dire che ha fallito su diversi fronti (il tempio, per dirne una su tutte), così come sono il primo a dire che molti personaggi sono stati rovinati in corso d'opera (Richard, Ben, Sawyer come già detto, per non parlare dell'inguardabile Kate).
Insomma, non è un'opera perfetta, ma non possiamo nemmeno dire che sia stato un insieme di cose buttate a caso. È sicuramente piena di sottotrame mai chiuse, ma personalmente non ne sento il bisogno. E quando leggo queste critiche, posso anche accettarle, capirle. Ma sentirmi dire che non vuoi nemmeno fare lo sforzo di comprendere le interazioni tra i personaggi, be', allora giochi sporco.
Ciò detto, riprendo delle parole di Eco, scritte nel 1995, parlando di Casablanca e delle Opere di Culto (tra le quali, volenti o nolenti, ci inserirei Lost).
Premessa: per Eco l'opera di culto non significa per forza opera dal valore artistico, e altrove mette in relazione l'Amleto (opera frammentaria, non completa, ma di grande successo e dall'alto valore artistico) al Rocky Horror Picture Show (schifezza, la definisce, non sgangherabile, ma sgangherata).
Surrounding this dance of eternal myths, we see the historical myths, or rather the myths of the movies, duly served up again. [...]
But precisely because all the archetypes are here, precisely because Casablanca cites countless other films, and each actor repeats a part played on other occasions, the resonance of intertextuality plays upon the spectator. Casablanca brings with it, like a trail of perfume, other situations that the viewer brings to bear on it quite readily, taking them without realizing it from films that only appeared later, such as To Have and Have Not, where Bogart actually plays a Hemingway hero, while here in Casablanca he already attracts Hemingwayesque connotations by the simple fact that Rick, so we are told, fought in Spain (and, like Malraux, helped the Chinese Revolution). Peter Lorre drags in reminiscences of Fritz Lang; Conrad Veidt envelops his German officer in a faint aroma of The Cabinet of Dr. Caligari -- he is not a ruthless, technological Nazi, but a nocturnal and diabolical Caesar.
Thus Casablanca is not just one film. It is many films, an anthology. Made haphazardly, it probably made itself, if not actually against the will of its authors and actors, then at least beyond their control. And this is the reason it works, in spite of aesthetic theories and theories of film making. For in it there unfolds with almost telluric force the power of Narrative in its natural state, without Art intervening to discipline it. And so we can accept it when characters change mood, morality, and psychology from one moment to the next, when conspirators cough to interrupt the conversation if a spy is approaching, when whores weep at the sound of "La Marseillaise." When all the archtypes burst in shamelessly, we reach Homeric depths. Two cliches make us laugh. A hundred cliches move us. For we sense dimly that the cliches are talking among themselves, and celebrating a reunion. Just as the height of pain may encounter sensual pleasure, and the height of perversion border on mystical energy, so too the height of banality allows us to catch a glimpse of the sublime. Something has spoken in place of the director. If nothing else, it is a phenomenon worthy of awe.