:sisi:
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E non solo.
Comunque secondo me non è possibile fare un paragone tra i giochi di 20 anni fa e quelli di adesso.
E' come tentare di fare un confronto tra Piola, Riva e Ibrahimovic. Che senso ha? Ognuno è vissuto nel suo contesto, ha giocato nella sua squadra ed ha fatto la sua storia.
Ai "tempi" giocavamo con dei giochi "casual" semplicemente perchè erano i giochi che c'erano.
Piola, con il suo modo di essere calciatore, oggi non giocherebbe neppure tra i professionisti eppure ha vinto due mondiali.
Semplicemente, quello che oggi sembra casual, venti anni fa era il top. :)
Io credo che i videogiochi, come già la musica, il cinema, ed altri settori, stia subendo (o meglio, ha già subito) un processo di etichettatura che, come spesso accade in questi casi, produce più mostri che vantaggi.
Si creano etichette per definire, per incasellare meglio qualcosa ad uso e consumo del linguaggio e del mercato, ed ecco che come per magia spuntano come funghi ideologie che si stringono attorno all'etichetta.
Oggi noi parliamo di casual game e di hardcore game, attitudini ludiche che alla prova dei fatti tendono a sfuggire ad una spiegazione esauriente circa le loro caratteristiche (come ci ricorda Stefano Silvestri nell'editoriale di questo mese), ma che pure tiene banco nelle discussioni, che muta il modo di porsi verso il videogioco, che porta in concreto a scegliere uno magari a scapito dell'altro.
Etichette che influenzano il nostro modo di vedere i videogiochi, al punto che non pochi finiscono col condannare l'uno o l'altro quasi aprioristicamente, oppure appoggiati ad argomenti pretestuosi che in fin dei conti tradiscono l'antico, vecchio, immortale bisogno di sentirsi parte di un qualcosa avverso a qualcos'altro.
Noi e loro.
E dunque mi e vi chiedo: ragionare per etichette accresce la nostra esperienza di appassionati o la limita? Magari nessuna delle due :)
Un numero pieno di gioconi.
Drakensang è una bella sorpresa, The Sims 3 non mi piace anche se sarà fatto bene.
M'incuriosisce molto Demigod, specialmente se non ha l'attivazione online.
E' molto bella quella lettera di risposta all'editoriale di SS su GTA, complimenti all'autore.:)
Pollice verso per il demo di DOW 2:capisco l'attivazione online per il gioco completo, ma richiederla per un demo è eccessivo.
preso! :)
finora ho letto soltanto l'editoriale di SS
la recensione di Braid mi ha fatto veramente venire voglia di provarlo.
esiste una demo? è significativa o da solo uno scampolo di gioco?
volevo ribadire che l'idea di mostrare il gioco del prossimo numero è molto saggia :sisi:
Finalmente l'ho preso. Ho dato una prima sfogliata, numero molto interessante :sisi:
Ho controllato, non sono io :)Citazione:
sei il Villa?
Ah, sì: versione liscia per me, ovviamente :sisi:
Ho installato stasera Universe At War insieme alla patch consigliata su TGM e,che dire...il gioco sembra davvero fantastico sperando che la patch abbia risolto tutti i problemi con i comandi che si evidenziarono nella demo:sisi:
Non ho ancora letto l'editoriale, e magari mi farà cambiare idea, tuttavia ciascuno di noi vive quotidianamente con abitudini o stili di vita che in un qualche modo egli stesso cerca di definire univocamente, al fine di puntellare la propria identità. Tu stesso hai un nick che in un qualche modo richiama alla mente una serie di caratteristiche associate alle parole "bardo" e "internauta". Con questo NON voglio dire che l'etichetta esaurisca quello che tu hai voluto comunicare con la scelta del tuo nick, ma per approssimazione le persone che prestano attenzione alle parole, un'idea se la sono fatta.
Con termini come casual, hardcore o conscious non si possono identificare univocamente degli stili di gioco o delle modalità con le quali ci si approccia sistematicamente al videoludo, tuttavia sono sinonimi di un'approccio "mentale" al gioco. E quell'etichetta (ovvio che il discorso riguarda qualunque forma di habitus) serve non solo agli altri, ma anche a te stesso per permettere un processo di legittimazione identitaria senza la quale nessuno (forse sono esenti solo gli illuminati) riesce a vivere.
Ciascuno di noi (chi più chi meno) è inserito in una sovra struttrazione di senso. Nessun essere umano (nemmeno Tarzan) ne è esente.
Il processo, come credo tu sappia bene, può essere minimizzato con un esempio:
Sono Italiano -> figlio -> maschio -> etero -> sposato -> interista -> appassionato di vg -> fumatore -> lettore assiduo di fantascienza -> amante degli spazi aperti -> collezionista di console e vg -> amo nuotare -> laureato -> etc. etc.
Tutte queste cose, unita alla percezione che di queste ne abbiamo, formano un qualcosa di molto simile alle etichette sui vestiti (cotone 70%, lana 20%, poliestere 10%, lavare a 30° in lavatrice, non stirare, made in china, marca Levis)
Letto ieri sera l'editoriale, veramente bello; complimenti al Silvestri. Questo mese mi è piaciuto molto, personalmente mi ha dato da riflettere :sisi:
una perplessità:
nel TGM after mi accorgo spesso che i voti riportati alla fine dell'articolo sono diversi a quelli effetivamente dati:look:
ex: crysis warhead aveva preso 80, ma su questo numero avete scritto 84:uhm:
why?
Mio errore, convinto avesse preso 84.
preso poco fa la rivista e devo dire che, effettivamente, non avrei trovato la pubblicità di Stalker se non l'avessi cercata :asd:
parlo da profano di grafica ma da profano penso che, se ci fosse stato un bordo tipo quello della copertina della rivista, si sarebbe visto di più :uhm:
Sia chiaro, non sostengo si debba rapportarsi al videogioco, o a qualsiasi altra cosa facendo a meno delle etichette. Come sostieni anche tu - e condivido - non potremmo vivere senza.Citazione:
quell'etichetta (ovvio che il discorso riguarda qualunque forma di habitus) serve non solo agli altri, ma anche a te stesso per permettere un processo di legittimazione identitaria senza la quale nessuno (forse sono esenti solo gli illuminati) riesce a vivere.
Ciò che lamento è l'abuso.
Le etichette, in ambito creativo (come lo il videoludo, la musica e quant'altro), sono uno strumento utile, tanto al linguaggio quanto al mercato, ma dannatamente incline alla degenerazione. Dando loro un peso tutt'altro che strumentale, esse finiscono per generare sentimenti di fazione che non sempre coincidono con lo spirito critico ed il gusto di chi si relazione con l'oggetto catalogato (nel nostro caso, il videogioco).
Battaglie "ideologiche" quali metallari vs. punk, metallari vs. emo, classica vs. resto del mondo, o nel nostro caso casual vs. hardcore, penso non siano il manifesto di una scelta identitaria, di una convinzione dettata dal gusto (o comunque non solo questo), quanto piuttosto un modo per sentirsi speciali, un ripetersi di quell'odioso "noi vs. loro" che io credo in generale non giovi a nessuno.
Stabilire se un gioco sia casual o hardcore può anche avere senso, generare discorsi interessanti come quello del Silvestri (che per l'appunto non parte da basi di fazione), ma il rischio è che caricando di eccessiva importanza tali etichette, si finisca per generare una forma mentis nell'appassionato/consumatore che porti inevitabilmente l'industria a lanciare sul mercato giochi che siano o l'una o l'altra cosa, lasciando poco spazio a titoli più trasversali e personali.
Quante volte sentiamo lamentele circa la mancanza di originalità dei giochi? Eppure siamo noi stessi, con la nostra pigrizia mentale (io per primo eh :)), fomentata a parer mio anche da un modo di ragionare sclerotizzato dall'abitudine (e le etichette a parer mio alimentano tale fenomeno), a contribuire affinché le cose vadano in un certo modo.
I giochi originali non esistono fuori o dentro la nostra mente? :)
P.S. grazie per il tuo intervento, ormai disperavo di poter trovare uno spunto di discussione :)
P.P.S mi ha incuriosito l'etimologia del mio nickname che hai trovato. Io gli davo un significato diverso, ma devo ammettere che la tua spiegazione mi è piaciuta :)
oh ma avete sentito che esce GamesVillage 1° numero? ma lol
e che ci sarebbe allegato?
http://www.gamesvillage.it/news/news/detail[n=15633].html
Penso che non tutti vedano il diverso come nemico... Io ritengo di essere un giocatore sufficientemente consapevole, tuttavia non mi sento in conflitto con un ToSo o un SS che fanno lunghissime sezioni di WoW o di un Adso che lo immagino al supermercato mentre simula un fps cercando le strategie migliori per asfaltare gli altri utenti...
Li vedo come miei simili, perquanto la mia assiduità non possa essere paragonabile alla loro... Non so se mi sono spiegato correttamente.
:asd: Sta diventando un'abitudine...Citazione:
P.S.
:sisi: x qualche strana ragione non l'ha messo nel link...[details]ecc
comunque l'è sto QUI
Già meglio :sisi:
D'accordo con te, ma penso tu sia anche consapevole di essere un'eccezione in un oceano di opinioni spesso faziose, spicciole e insofferenti alla diversità... ;)Citazione:
Penso che non tutti vedano il diverso come nemico... Io ritengo di essere un giocatore sufficientemente consapevole, tuttavia non mi sento in conflitto con un ToSo o un SS che fanno lunghissime sezioni di WoW o di un Adso che lo immagino al supermercato mentre simula un fps cercando le strategie migliori per asfaltare gli altri utenti...
Li vedo come miei simili, perquanto la mia assiduità non possa essere paragonabile alla loro... Non so se mi sono spiegato correttamente.
Perché la faccenda casual vs hardcore ci sta così a cuore, in fondo? Perché abbiamo bisogno di delimitare il campo, stabilire i confini, definire cosa è uno e cosa è l'altro?
E' un esercizio accademico, di interesse squisitamente "intellettuale" o è un altro modo per creare un noi vs. loro che vede l'appassionato integerrimo, il reduce degli 80s, l'orgoglioso colleziona-esperienze opporsi alla superficialità della casalinga, del collega d'ufficio, della ragazza che passa i pomeriggi sui giochini di Facebook? :)
Un pò come i concetti geografici (nord Africa, medio Oriente, Europa) che non esistevano prima che noi Europei li esportassimo. C'è un libro molto bello (di cui ora non rammento il nome) che descrive quanto l'identità medio orientale e nord africana siano state inventate da noi occidentali per definirci diversi. In quel caso, però, c'erano interessi economici ed espansivi... Nel nostro caso, presumo possa inserirsi un concetto di invidia/autoconservazione che vuole nel diverso da noi un qualcosa che non solo non si desidera ma che è anche controproducente per la passione dei vg, quando invece a tutti i casual piacerebbe essere hard e viceversa. Però mi sembra un po' azzardata, come digressione...
...ma soprattutto, e se parlassimo un po' anche di TGM di giugno, qui? ;-)
Un altro pezzo interessante è il nuovo gioco di Larry.
A parte che il vampiro nell'articolo mi sembra lo Tzmisce di Bloodlines (l'unica parte bella del gioco), mi chiedo come hanno fatto a concepire un "giocone" come questo.
Forse sarebbe stato eccitante nel Settecento, prima dell'uscita delle opere del Marchese de Sade:jfs2:, ma oggi un gioco simile non ha senso.
Non vale la pena neppure di scaricarselo pirata, figuriamoci prenderlo originale.
Tocca rimandare la discussione ad un thread apposito, temo :)Citazione:
Però mi sembra un po' azzardata, come digressione...
Ammetto candidamente e senza vena polemica che non mi ero accorto di essere OT. Pensavo che essendo la discussione affine all'editoriale del Silvestri fosse lecito continuarla, ma in effetti capisco che i commenti al nuovo numero devono avere la precedenza. Quindi... :jfs3: